Il Barba - al secolo Stefano Luigi Barbetta, giornalista sportivo, scrittore ed editore - ha benignamente accettato di collaborare con questo blog in un modo che mi auguro non sporadico. Ho il privilegio di essergli amico da circa 40 anni, per cui posso sembrare di parte, ma amo il suo modo di porgere la frase e spero che lo amerete anche voi, in modo da convincerlo a essere qualcosa di più che un collaboratore occasionale.
Per questo suo primo articolo ha scelto di parlarci a modo suo della gita che ha fatto con moglie Elena e figlia Giulia (il maschio primogenito, Filippo, ha avuto facoltà di non aggregarsi alla comitiva) all'outlet di Serravalle.
Gli lascio la parola: buon divertimento!
Partiti. E sai già che le ore a venire saranno indimenticabili. Il cruscotto segnala una velocità media intorno ai 90 km/h e, mai come in questo viaggio, la destinazione appare più vicina della realtà. I numeri sono un pensiero ricorrente di questa mattinata iniziata ad un orario tutt'altro che estivo. Quelli che hanno studiato la chiamano budgettizzazione delle uscite; i più pratici prefigurano il numero di strisciate su ciascuna carta di credito o bancomat disponibili.
Non si può nemmeno sbagliare strada, visto che le segnalazioni rassicurano i viaggiatori con continui aggiornamenti della decrescente distanza.
L'outlet è un non-luogo. Quando ti si staglia innanzi ti fa capire di essere prossimo a una dimensione spazio temporale posticcia. Pure l'aria sembra diversa, e l'impressione è che dei bocchettoni magistralmente nascosti pompino (accento sulla prima "o", please) sostanze capaci di stimolare la pulsione all'acquisto.
Saggiamente, le aree di parcheggio regalano un biglietto da visita gradito ai maschietti: per chi arriva da Milano una spianata di righe bianche a propria disposizione è la classica oasi nel deserto. Mossa subdola: inizi ad abbassare la guardia.
Varchi la soglia e ti rendo ben presto conto che è l'inizio della fine. Bvlgari, Prada, D&G. Come un cavallo bolso sul quale puntai una fortuna anni fa, dall'improbabile nome Your worst nightmare.
È entusiasmante constatare come, in questo non-luogo, il valore del danaro non segua il verso abituale. Se duecentosessanta euro in qualsiasi angolo del Paese sono una cifra che genera apprensione se associata a un bene surrogabile e superfluo, qui rappresentano un'occasione di spesa irrinunciabile. E tu ti senti messo in mezzo, incapace di reggere lo sguardo di una moglie e di un'addetta alle vendite coalizzate inscindibilmente. Fossero state gemelle non avrebbero avuto lo stesso feeling. E manca poco che una delle due, quella che ti conosce da più tempo, ti butti in faccia quella volta in cui al fantacalcio hai speso oltre cento milioni di euro per Ibrahimovic.
Hai perso. Abbassi lo sguardo abbozzando e giuri a te stesso che quest'anno col cazzo che partecipi, al fantacalcio.
Non c'è high tech, non c'è un'edicola o qualcosa che possa distrarti. Strano che non abbiano schermato lo spazio circostante per isolarti dalla realtà.
Cinque ore. Un dead man walking con un corridoio lungo trecentocinquanta interminabili minuti. E i sacchetti che si moltiplicano, che prendono il posto della piccolina sul passeggino. E la piccolina, anni tre, che essendo donna (benché in fieri) cede volentieri il posto per avere maggiore autonomia nel decidere la direzione da seguire.
Quando la carta di credito emette il triplice fischio comprendi che il turno non l'hai passato, che lo score recita di una sonora batosta.
Metti le borse in macchina (un monovolume sette posti appena sufficiente a contenere i nuovi acquisti) e inizi a pensare al modo in cui porgere ad amici e conoscenti la novità.
I casi sono due: o ti fai compatire o punti alla pandemia.
Sono stronzo: mi sono divertito, ti tirano dietro la roba. Vacci, mi raccomando!
di Stefano Barbetta
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