mercoledì 23 febbraio 2011

Nel mio mondo

Nel mio mondo, conta quello che sai fare, la tua faccia, la tua credibilità.
Nel mio mondo, diventi responsabile di un settore solo se dimostri coi fatti di dominarne tutti gli aspetti.
Nel mio mondo, nessuno si mette a disquisire di cose che non sa, che non capisce: chiunque ci provasse, verrebbe zittito immediatamente e tacciato di essere un ignorante.
Nel mio mondo, se vuoi convincere qualcuno della bontà dei tuoi ragionamenti, non basta dire che è scritto da qualche parte: devi citare Autore, titolo, rivista e data di pubblicazione.
Nel mio mondo, il rispetto lo guadagni sul campo, con ore e ore di duro lavoro, con sacrificio, con lacrime e sangue, con le poche soddisfazioni cresciute come i fiori cantati da De Andrè nella merda e nel sudore di tutto il sonno perso per l'angoscia.

Il giovane uomo con davanti il mio faldone e un foglio di carta protocollo su cui prende incessantemente appunti solleva un attimo la testa e mi guarda sorridente. 

"La voglio incazzato", mi dice con sguardo luminoso e duro, ma sembra veramente divertito dalla mia faccia che è trascolorata dallo smarrimento iniziale alla rabbia.
E sai cosa c'è, amico mio? Sono davvero arrabbiato. Anzi, se mi passi il termine, sono incazzato nero.
Sono su un treno in corsa, e mi ci ha buttato un miserabile fallito perdente e ignorante che non sa nulla di come si fa il mio lavoro. Uno che, nel mio mondo, non avrebbe nessun tipo di spazio, ma lì sì, lì trova qualcuno che lo considera degno di ascolto nella misura in cui aderisce a uno schema precostituito.
Io so che, alla fine, proprio le stronzate che ha scritto quell'idiota - e che io smonterò pezzo per pezzo, con la tigna che so mettere in ogni cosa che faccio - saranno la vanga con la quale si scaverà la fossa.
Perché alla fine saranno le regole del mio mondo a prevalere.
Mi vuoi incazzato, giovane uomo con il mio faldone fra le mani?
Credimi: sono già incazzato

sabato 19 febbraio 2011

Lettera a mio figlio

Cos'è l'adolescenza?

È un momento magico e difficile in cui devi iniziare a ballare.

Adolescenza è prepararsi per scelte dure, impegnative, in cui inizi a mettere in gioco te stesso e le tue ambizioni; come, per esempio, la difficile scelta della scuola superiore.

Nella scelta della scuola superiore ci metti tutto: le tue inclinazioni, la tua cultura personale in formazione, la tua ambizione a misurarti con l'ampio campo dello scibile. E se putacaso scegli il classico - ed è una scelta ragionata e sofferta, dopo aver inizialmente privilegiato lo scientifico ad indirizzo biologico perchè t'avevano detto "che non c'è il latino" - è perchè hai scoperto che non c'è limite al desiderio di conoscenza dell'uomo.

È per il classico che tu, figlio mio, abbandonerai finalmente quella scatoletta bianca rettangolare e piatta con cui passi la maggior parte del tuo tempo libero.

È nel classico che forse conoscerai i primi tormenti d'amore per la persona che farà per prima palpitare il tuo cuore magari condividendo con te la "Critica alla ragion pura" di Kant o le orazioni di Demostene per gli affari del Chersoneso.

E chissà, sarà forse nel classico che imparerai per la prima volta a chiamare "merli" quelli che stamattina, gioioso e garrulo, hai definito: "passeroni neri con il becco arancione"

venerdì 18 febbraio 2011

Io in un faldone

Dopo tanti anni passati a fare questo strano lavoro.
Dopo mille e più volte che ho impugnato quell'aggeggio che mi è servito a farmi strada in situazioni innominabili.
Dopo aver provato sulla mia pelle, nel mio cuore e nella mia anima il significato della sofferenza altrui, la difficoltà della partecipazione di una diagnosi difficile, di giudizi clinici che ogni tanto sembravano condanne e che qualche volta pesavano più di un macigno.
Dopo aver pianto e gioito con pazienti che, nel mio cuore, col passare degli anni sembravano sempre più amici o fratelli.
Dopo tutto, oggi è arrivato anche per me il momento di sedermi a un tavolo, di fronte a due persone giovani, dinamiche e sorridenti, che parlano un linguaggio difficile che non è il mio, fatto di sigle che non sono le mie, ma che mi fanno domande su questioni che invece sono proprio le mie.
E al centro del tavolo intorno al quale siamo seduti, in un vecchio salotto di un vecchio studio nel centro di Milano, al centro esatto di questa mia vita, c'è un faldone con su il mio nome sul dorso, ed è pieno di documenti, e quel faldone contiene una vicenda che ha fatto parte solo marginalmente del mio passato ma che potrebbe condizionare il mio futuro.
Ecco: se penso a tutta questa vicenda, ciò che maggiormente mi angoscia non è la sensazione d'impotenza davanti alle falsità costruite ad arte da un ignorante che solo nominalmente fa il mio mestiere, né l'idea di essere stato trascinato ingiustamente in qualcosa che non ho controllato io; no, ciò che maggiormente mi sgomenta è l'idea che la mia vita sia un faldone di carte, appoggiato su un tavolo

martedì 8 febbraio 2011

God shave the Queen

E' interessante notare come esistano alcune categorie di esseri viventi che pensano di guadagnare visibilità puntando solo sull'epifania delle proprie funzioni corporali.
In altre parole: perché studiare, o rischiare con lavori pesanti, faticosi e nell'occhio del ciclone, quando posso sfruttare i miei orifizi naturali per apparire? Badata bene: a beneficio di escort e talent scout delle medesime, non sto parlando dell'utilizzo sessuale di detti orifizi.
Pensate che questo tipo di performance sia tipico solo del Paese che ha dato i natali a talenti come Alvaro Vitali, Bombolo o i Fichi d'India?
Sbagliereste, credetemi: le isole del Regno Unito, terra di prestigiosi collegi universitari e di personcine deliziosamente forbite, hanno nei loro palinsesti un format in cui i giovani che pensano di avere un talento lo propongono a tre giudici severissimi e al pubblico in delirio. Per completezza e giustizia, vi dirò che l'abbiamo anche in Italia: quando si tratta di cazzate, non ci bastano le nostre, amiamo importarle anche dall'estero.
Certo di farvi cosa gradita, ve ne fornisco una crestomazia.


Ecco il primo. Non riscalda le corde vocali con vocalizzi prima di un'esibizione al Covent Garden, questa è proprio tutta la sua performance. E' appena il caso di notare che la sua esibizione è stata visualizzata su Youtube da un milione e ottocentomila persone:



Agli inglesi piace immensamente il troglodita che potete ammirare qui sotto, anch'egli concorrente di Britain's got talent, qui però colto in una sorta di campionato mondiale di rutti. Ne ha fatto la sua specialità essendo probabilmente il suo unico talento:



Ma per straordinari che possano essere questi sudditi del Regno Unito (e nessuno ci venga più a scaramellare i coglioni con la storia di "Italiani pizza e mandolino"), trovo che il Signor Metano sia colui che meglio ci racconta lo stato attuale di quello che una volta fu il Grande Impero Britannico e il Commonwealth. Ammirate come la signorina bionda della giuria rida tutta contenta. A titolo d'informazione, vi segnalo che il video qui sotto è stato scaricato da circa sette milioni e mezzo di persone:




Il grande Gianluca Nicoletti allocherebbe queste manifestazioni nell'ambito dei casi quasi umani.
Io, che con una sfilza di persone sono reduce da una rischiosa e difficile performance di oltre 10 ore, vedendo queste teste di cazzo sono costretto a reiterare - e non per la prima volta - la vecchia domanda sul "chi-me-lo-fa-fare" atteso che, tutto sommato, a quanto mi dice chi divide il talamo con me, quanto a gas intestinali putrefatti non sarei secondo a nessuno

domenica 6 febbraio 2011

Ah, dov'è il perfido!

Questa è la storia di un accentratore pazzesco, un libertino audace che vive solo per soddisfare le sue brame, soprattutto in fatto di donne. Le preferisce giovani, acerbe, da spiumare, ma non disdegna quelle più vecchie per il solo "piacere di porle in lista".
Uno che non disdegna di far fuori quelli che si frappongono fra lui e il conseguimento del suo obbiettivo, e che disdegna la Legge, sia essa umana o Divina poco conta: conta solo lui.
Intorno a lui, una sfilza di persone di nessun talento né spessore, che vivono solo in sua funzione, per lui o contro di lui poco conta: cesseranno di esistere nel momento in cui lui non ci sarà più.
E lui, che continua la sua carriera di libertino, che si beve la vita conscio dell'approssimarsi della fine di essa, riesce ad assumere una dimensione torva e quasi eroica di fronte alla pochezza, alla nullità di coloro che lo circondano, sino al momento in cui il terribile Giudice - il Commendatore - lo trascinerà all'inferno.
Vi sembra qualcosa di già sentito?
Sfido, io: è la trama del Don Giovanni, di Lorenzo Da Ponte e Wolfgang Amadè Mozart.
E poi c'è chi dice che le opere liriche non sono attuali

Massimo D'Alema con i baffetti curati con gli occhiali scuri con il sorrisetto tutto tirato da un lato pronuncia la fatidica sentenza: "Berlusconi se ne deve andare" ma, non diversamente da un qualsiasi Leporello, non sa che altro proporre. 
Anche lui andrà in osteria a cercarsi un padrone migliore; non credo saprebbe fare altro

venerdì 4 febbraio 2011

Roma e la solitudine della grappa


Tepore quasi primaverile. 
Cielo terso e luminoso di giorno, ma non lo posso apprezzare più che tanto perché sono al congresso. La sera esco un po' prima e m'incanalo verso il centro. Sfrutto la metropolitana, di una bruttezza e squallore che noi milanesi avevamo dimenticato. Le porte dei vagoni hanno un bottone, di cui non m'è completamente chiaro il significato: le porte in effetti si aprono spontaneamente, ma tutti - nessuno escluso - li schiacciano, ma non per fare più in fretta perché tutti sembrano muoversi con calma; forse lo fanno solo per l'illusione di avere il controllo.
Clochard a ogni angolo; uno, di cui non riesco a identificare né sesso né età, dorme sdraiato sul fianco destro, con un giubbotto blu tirato sul volto. Accanto ha un tupperware con qualche moneta di poco conto che nessuno incrementa; poco oltre una donna anziana col naso adunco guarda avanti, verso un punto indefinito della sua vita.

È la mia terza e ultima sera a Roma. Sono solo, per cui decido di camminare sino a sfinirmi.
Mercoledì Luca mi ha portato a mangiare abbacchio in una trattoria a Trastevere.
Ieri sera Andrea è venuto appositamente da Orvieto per ridarmi un soffio di gioventù. Dopo 12 anni che non ci vediamo, parliamo talmente tanto da sovrapporre le nostre voci; avremmo bisogno di molto più tempo, come siamo abituati a fare, come facevamo sulla spiaggia di Santa Liberata, ma è un lusso che non ci possiamo permettere. Andiamo in un ristorante suggerito da Stefano, Babette. Il locale è scarno ed essenziale come una specie di loft di Manhattan, ma anche intimo, familiare. I tavoli sono presidiati da una regina africana dal sorriso smagliante che si aggira flessuosa come una pantera, bellissima. Mangiamo divinamente e io concludo con un bicchiere di Oban di 14 anni, di colore ambrato scuro e di fragranza intensa e torbata, che mi sembra adattissimo a concludere una serata all'insegna dell'amarcord. Andrea non lo vuole: è più serio di me.


Ma questo è il mio venerdì solitario.
Sono sceso prima in via Ottaviani. La percorro sino al colonnato del Bernini. E' buio, adesso, e la basilica di San Pietro così illuminata sullo sfondo mi mette soggezione; non riesco a entrarvi, è troppo tardi. I negozi che vivono in modo simbiotico con il Tempio si affrettano a chiudere a loro volta: se la Chiesa serra i battenti la loro esistenza è priva di senso.
Riprendo la metropolitana; scendo alla fermata di Fontana di Trevi, ma non riesco a orientarmi: è buio, c'è caos, troppi stranieri, nessuno sa. Decido di fare autonomamente e risalgo via Veneto, poi piego lateralmente e arrivo in cima a Trinità dei Monti; mi affaccio alla balconata e ho Piazza di Spagna nelle mie mani. Mi metto l'iPod nelle orecchie e mi ascolto Tosca, quella diretta da De Sabata. Fa uno strano effetto camminare per il centro di Roma ascoltando Tosca.
Le schermaglie fra Maria Callas e Tito Gobbi mi accompagnano dalla Barcaccia a via Margutta; sullo sfondo, Pippo Di Stefano canta il suo triste addio alla vita e nessuno gli dà retta tranne me.
Non ho molta fame; se devo mangiare, voglio che sia speciale. 
Stasera Babette è pieno zeppo; ripiego sull'osteria M. Il crostino al lardo con la marmellata d'arance è insulso e mi irrita,  ma la tagliata al rosmarino è paradisiaca, così come la grappa di Barolo in cui annego la mia solitudine, perché il mio essere solo richiama prepotentemente la virile grappa, non il fatuo single malt del simposio di ieri sera. Sono schiacciato dall'atmosfera falso-bohémien che si espande dai quadri disimpegnati appesi in modo fintocasuale alle pareti, e dagli altoparlanti che diffondono un morbido be-bop. 
Mi accorgo di rimpiangere l'essenziale esistenzialismo di Babette e il sorriso smagliante della regina africana. 
Ma forse è solo nostalgia di Andrea e della mia gioventù. 
Comme quand on était mômes, comme quand on était beaux

giovedì 3 febbraio 2011

Sui treni e nelle stazioni

Fa una strana impressione ritrovarsi su un treno dopo vent'anni. Il Frecciarossa è una meraviglia che va a 300 all'ora, confortevole, pulito. Il controllore non ha la vecchia macchinetta che faceva un buco a forma di stella sul biglietto, ma un palmarino su cui controlla un codice alfanumerico del mio ticket. E poi è una donna, peraltro molto carina: ci tengo a essere in regola, qualunque violazione sarebbe, prima di tutto, una rottura dell'armonia in cui anche lei si inserisce come una nota di bellezza.
I posti sono assegnati, ma il treno è semivuoto; le toilette (una volta, sui vecchi arnesi sferraglianti delle Ferrovie Nord, si chiamavano ritirate) profumano di detergente dato di fresco. Accendo l'iPod e spiego il Corriere; leggo le solite brutture di ogni giorno, nemmeno il Milan ha vinto. Davanti a me si siede una donna al tramonto della sua gioventù, di forme abbondanti e di una strana bellezza che non percepisco a prima vista ma solo dopo un po', ancora intuibile ma estenuata, quasi sfiorita. Le manca un dito della mano sinistra ed è indaffarata con un cellulare un po' antiquato, come lei. Parla concitatamente con qualcuno - un marito? Un fidanzato? Una madre? - ma non sento cosa dice: non voglio violare la sua intimità, è il treno che ha momentaneamente reso contigue le nostre vite.
Sfoglio qualche pagina del libro di Simenon che ho comperato da Feltrinelli, in una Stazione Centrale di Milano talmente bella, pulita, rinnovata e piena di negozi che ho fatto fatica a riconoscerla. Il libro si intitola "In caso di disgrazia": una storia torbida delle tante raccontate dal grandissimo scrittore belga. Non c'è spazio per l'amore e il sesso è prevaricazione o istinto di sopravvivenza a seconda delle situazioni. 
Ma non sono ispirato: non leggo molto e passeggio su e giù, sino alla carrozza bar; non è come sull'Orient Express è il caffè è freddo, oltre costar caro ma mi accontento, anche perché mi viene in mente la scenetta di "Chiedimi se sono felice", quella in cui Giovanni scassa le palle al venditore di panini "Sì, ma quale formaggio? Ci sono tanti tipi di formaggio". E l'altro che risponde: "Lei da che ora è sveglio". Risposta: "Dalle sei". "Io dalle tre. A far panini". O qualcosa del genere.
Tutto diverso.
I panini sono preconfezionati.
Dal finestrino del vagone-bar guardo indietro verso i passeggeri della carrozza contigua: non ci sono più gli scompartimenti con le poltroncine in similpelle; i sedili sono come quelli degli aerei a gruppi di due. E sono comodi. I pochi passeggeri leggono o lavorano sul laptop.
Anche il treno, in fondo, sembra preconfezionato e mi risveglia quell'angoscia sottile che - lo so - mi aveva tenuto lontano da stazioni e ferrovie per tutti questi anni.
Torno al mio posto. Simenon mi aspetta rovesciato sul sedile accanto.
Di fronte a me, la mia dirimpettaia s'è accasciata sul giubbotto piegato sul sedile accanto. Dorme e sembra serena, finalmente.
I capelli prima raccolti adesso sono sciolti e le piovono scarmigliati e scomposti sulla guancia lievemente arrossata.
Sembra quasi bella e mi fa tenerezza; guardo per un po', rapito, il suo sonno profondo e fiducioso.
Si sveglierà poco prima di Termini e se ne andrà senza nemmeno salutare, ignara dello sconosciuto che ha vegliato sul suo sonno