sabato 22 ottobre 2011

I globetrotter del pestaggio


Domani è in programma, nella pacifica Chiomonte, una pacifica manifestazione di pacifici valligiani che si opporranno - pacificamente, si capisce - ai lavori per la TAV.

Naturalmente, siccome sarà una manifestazione pacifica, il fatto che un black bloc distintosi nei recenti atti vandalici di Roma stesse facendo le valige per la Val Susa assume una connotazione marginale. In sintesi: i rompicoglioni ci saranno, lo sappiamo benissimo, ma i valsusini saranno bravi e non si faranno manipolare da questi professionisti globetrotter della devastazione a domicilio.
Voglio dire: stiamo o non stiamo parlando di una manifestazione pacifica di pacifici valligiani? Quindi, di cosa abbiamo paura, delle solite quattro o cinque centinaia di picchiatori professionisti che si spostano su invito e anche spontaneamente laddove ci sia da rompere i coglioni?

Fuori dall'ironia da quattro soldi, solo un ingenuo poteva pensare che questa gente se ne stesse fuori dalla festa, come se non fosse invitata dal comitato organizzatore. Tanto per rinfrescare la memoria, il 29 luglio ci furono in analoga situazione 6 feriti - tutti fra le forze dell'ordine - assaliti da gente con la faccia coperta che lanciava bulloni, bombe carta, biglie, fumogeni e fuochi d'artificio.
Valligiani anche quelli? O black bloc, o altri rompicoglioni professionisti?
Un no-TAV in assetto da guerriglia 
E d'altra parte - conveniamone - è difficile credere aprioristicamente alla programmata non violenza del pacifico evento, atteso che l'endpoint primario è arrivare a tagliare le reti del cantiere.
Staremo a vedere; magari queste sono tutte precauzioni inutili.
Nel frattempo, vale la pena di sottolineare la poliedricità dei professionisti del pestaggio che sposano indifferentemente cause politiche a sfondo anarco-insurrezionalista e gretti interessi locali anche se colorati di ecologismo; e poi c'è il solito segaiolo che si ostina a delirare sulla rabbia giovanile che deflagra...
Almeno quelli dei miei tempi, a parità di rotture di coglioni, avevano maggior dignità; e non si nascondevano dietro a propositi pacifisti

martedì 18 ottobre 2011

Son sessant'anni, o vecchio, che tu servi...

Dopo essere stato un po' polemico col "Giornale" che fu di Montanelli e che da un bel po' di anni sembra un po' troppo un organo di partito, devo fare ammenda con Alessandro Sallusti che, dando prova di giornalismo serio e responsabile, ha aiutato le forze dell'ordine ad arrestare lo spregevole pezzo di merda noto come Er Pelliccia; il quale, novello Enrico Toti, prima getta l'estintore (arma per conflitti sociali sdoganata come tale dieci anni fa) oltre l'ostacolo, poi festeggia mandando a fare in culo chi gli sta di fronte, infine - arrestato - se la fa nelle mutande e rinnega la Missione.
C'è da dire però che i tempi sono passati per tutti, anche per i rivoluzionari comunisti, quelli giovani e quelli vecchi. 
Rispetto ai loro antecedenti che, quando venivano arrestati, si qualificavano "prigionieri politici", questi ragazzotti si dissociano immediatamente: "Non sono un black bloc - si è affrettato a precisare il coraggioso Pelliccia - e l'estintore l'ho usato per spegnere l'incendio".
La rabbia sociale si spegne nella codardia, nel ruggito del coniglio di fronte alla DIGOS: e basterebbe questo per smentire Valentino Parlato, classe 1931, co-fondatore del "manifesto" e autore di un editoriale imbarazzante persino per i (pochi) compagni che cercano di giustificarlo. 
Il vecchio rivoluzionario da scrivania ha affermato che è meglio che ci sia stata la violenza, "segno dell'urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile".
Ci sono quasi sessant'anni di anagrafe fra il Pelliccia che - da miserabile vigliacco qual'è - rinnega l'urgenza di uscire dal presente e che lo ha indotto a brandire l'estintore, e questo patetico vecchietto che crede di essere ancora nella Russia zarista del 1917; e il passato, anziché non ripetibile, sembra essersi cristallizzato - solo per lui e per qualche sfigato - in una sorta di specchio che restituisce al rivoluzionario fallito, che ha visto crollare pateticamente il proprio Ideale, l'immagine distorta di un mondo che esiste solo nella propria mente e in quella dei quattro rincoglioniti che ancora gli credono

sabato 15 ottobre 2011

Serenamente. Pacificamente

Teppisti.
Giovani dei centri sociali.
Black-bloc.
Incappucciati.
Mille nomi diversi per indicare un gruppo di giovanotti, che anima - per così dire - i cortei che a vario titolo si organizzano per protestare, per mille motivi, senza mai indicare una soluzione praticabile e ragionevole.
C'è da mettersi di traverso contro i lavori della TAV? 
C'è da bloccare l'attivazione di qualche nuova discarica non gradita ai comitati di zona che, invece, preferiscono inviare la rumenta altrove? 
C'è da infondere un po' di brio ad una noiosissima manifestazione pacifica di indignados?
Pronti: c'è sempre a disposizione qualche centinaio di teste di cazzo che vanno a lanciare sassi e a incendiare qualche auto o cassonetto.

L'estintore, special weapon del vero black bloc
Li chiamano incidenti, dando per scontato che si tratti di qualcosa che nessuno si aspetta, di non voluto.
Accidenti, stavamo facendo una manifestazione pacifica e improvvisamente arrivano quelli lì che mettono a ferro e fuoco la città! Oh cavolo, e chi se lo aspettava? E chi mai andava a pensare che questi facessero cose così brutte?
Eh certo! Arriva qualche centinaio di gentlemen con caschi in testa, spranghe, molotov e nessuno si aspetta che le cose possano degenerare.
Improvvisamente la manifestazione non è più pacifica: peccato, stava andando tutto così bene! Nessuno, a parole, si aspettava una deriva violenta.
Curioso, in fondo, perché i black bloc li conoscono tutti molto bene e non sono affatto pacifici: sono autonomi della sinistra extraparlamentari, nati in Germania negli Anni Ottanta a supporto della RAF, le brigate rosse tedesche. Sapere che arrivano quelli - e lo sanno tutti con largo anticipo, non veniamo a raccontarci puttanate - vuol dire di fatto prenotare il giorno di distruzione metropolitana, esattamente com'era successo a Genova dieci anni fa e come succede tutte le volte che si muove la protesta inizialmente pacifica; l'unica differenza con Genova è che stavolta non c'è stato il morto, ed è stato tutto merito delle forze dell'ordine. 
Il morto, annunciato da Di Pietro, è stato comunque meticolosamente cercato: ecco un link con il sito web del "Giornale" in cui viene riportato un comunicato comparso il 14 ottobre sul sito di Indymedia, network della sinistra oltranzista, che invita a prendere il controllo della piazza anche a costo che qualche compagno muoia. 
C'è sempre una piazza Alimonda e un estintore per ogni vero rivoluzionario

giovedì 6 ottobre 2011

Stay hungry. Stay foolish

Quando nel 1998 dovetti cambiare il PC, decisi di fare un'indagine di mercato e entrai, quasi per caso, in un Apple store di Milano, in via Lazzaro Palazzi. La mia era solo curiosità, non avevo intenzione di comprare un Mac, e ne uscii con in mano l'ordine di un iMac rev. B, colore azzurro bondi, l'unico disponibile.
Iniziai a documentarmi, a girare nel mondo dei forum di argomenti Apple, confrontandomi con i terribili Mac-evangelisti, alcuni simpatici e collaboranti, altri profondamente stronzi come tutti coloro che ritengono di essere investiti da una Verità superiore.
Al lavoro mi presero tutti in giro, a cominciare ovviamente da coloro che poi, seguendo l'onda, diventarono del tutto Apple-addicted: MacBook pro, iPhone e iPad contemporaneamente, hai visto mai che ti sfugge qualche app.
L'iMac rev. B: bello, eh?...
All'epoca, a dire la verità nuda e cruda, qualche ragione da vendere l'avrebbero anche avuta: il prodotto era esteticamente splendido, tecnologicamente innovativo (comparivano le prime porte USB e scompariva lo slot per i floppy disk, che credevamo indispensabili) ma ancora comunicava poco con il resto del mondo e in particolare con i software Microsoft.
In compenso: la connessione internet, ancora avventurosa con Windows (in quegli anni dovevamo connetterci con uno strano software che si chiamava Trumpet Winsock e solo dopo un po' comparve la più semplice  connessione remota, tutte cose che i bimbiminkia che oggi si reputano smanettoni non sanno nemmeno cosa siano), diventava semplicissima con quel testone azzurro che, per di più, non si prendeva i virus. Non si passava attraverso il vecchio Dos che, giova ricordarlo, è ancora la piattaforma di lancio di Windows 7, ultima attuale versione dell'ambiente operativo Microsoft, una scopiazzatura di un qualsiasi Mac OS. E poi, usare un Mac faceva fico: ti dava l'idea di appartenere a una comunità elitaria che davvero pensava differente, come diceva la pubblicità.

Oggi usare un prodotto Apple non è più pensare differente: è seguire l'onda, adeguarsi, convincersi di non poter fare più a meno di qualcosa che ha cambiato definitivamente la nostra vita, il nostro modo di guardare al mondo. A tal punto ci ha cambiato l'uomo di Cupertino che ha introdotto il concetto di personal computer.
Potremmo decidere di fare a meno alternativamente dell'iPhone o dell'iPad, ma difficilmente rinunceremo a entrambi. Io per esempio non uso l'iPad, ma l''iPhone è cementato nella mia tasca ed è diventato uno strumento indispensabile del mio lavoro - grazie a tutti gli applicativi medici - e del mio tempo libero, anche perché nella sua versione 4 le foto sono diventate veramente le migliori possibili per un telefono.
Oggi pensare differente potrebbe essere utilizzare un Nokia da 30 Euro che faccia solo il telefono e che sì, forse ti distinguerebbe come libero pensatore un po' snob ma poco credibili e un po' paraculo, come quelli che non tengono la televisione in casa e poi la vanno a vedere dagli amici o sul computer. 
Ma all'epoca noi eravamo diversi: come Steve Jobs, che oggi ci ha lasciati, ci mettevamo di traverso al conformismo delle anime morte che si riconoscevano nei prodotti plastificati di assemblaggio che davano l'illusione di costare meno e che poi erano sempre in manutenzione, mentre il mio testone azzurro non si ruppe mai, concedendosi solo ogni tanto qualche piccola "bombetta" di sistema: niente che non fosse ovviabile con una bella chiusura forzata.
Guardo tutti i ragazzetti che girano con il loro bravo iPhone in tasca e tutti i miei colleghi e amici più vecchi e rimbambiti che, all'epoca, mi prendevano per il culo per la mia scelta e adesso smanettano sull'iPad come facevano da adolescenti davanti ai fumetti di Lando e del Tromba: li compiango perché non sono mai stati affamati, perché non sono mai stati matti.
Dove eravate quando io pensavo differente?
Troppo comodo adesso



lunedì 3 ottobre 2011

Quel buon vecchio Hannibal

Ho resistito sinché ho potuto, ma stasera mi tocca proprio: devo compilare il censimento, una vicenda che mi porterà via moltissimo tempo fra domande insulse e domande più sottili che credo mirino a corroborare l'anagrafe tributaria.
Beninteso: ben venga il censimento se aiuterà a combattere l'evasione.
Ma per me questa stasera è una rottura mortale e non posso fare a meno di ricordare il buon vecchio Hannibal che, nel "Silenzio degli innocenti", raccontando all'agente Clarice Starling dell'ultima volta che un tizio ha cercato di fargli un censimento, coglie l'occasione per suggerirle l'interessante accostamento alimentare-enologico che tutti ricordiamo bene, perché ha inquietato le nostre notti