giovedì 25 febbraio 2010

Io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole



Ho scoperto Guccini in età avanzata.
Da giovane non lo sopportavo: la tiritera spesso ripetitiva, la "erre" rotacica, il vocione, quelle tematiche politiche sempre reiterate, le canzoni talvolta vagamente menagramo.
Poi un giorno l'illuminazione, ascoltando "Don Chisciotte", tratto da "Stagioni", uno degli album più belli. E via via tutte le altre sino a quella che per me è il suo capolavoro, "Cirano", che qui vi propongo.
Profonda riflessione sulla figura dell'Artista solo davanti al mondo conformista che non lo capisce, che lo rifiuta, che lo detesta.
Profonda riflessione sull'amore redentore, fatto da uno dei Poeti più disillusi della nostra generazione e di quella precedente, quella che ha sognato e ha dovuto confrontarsi con il risveglio.
Non ho mai avuto particolare simpatia per quel tipo di figura: da quel pragmatico che sono, non ho molto in simpatia i sognatori, specialmente gli idealisti di sinistra, sempre in bilico fra il socialismo umanitario e la canna del mitra. Ma Guccini appartiene all'epoca della mia gioventù e, anche se io ero idealisticamente schierato su altri fronti, ero in fondo invidioso del fatto che la Sinistra avesse un cantore così profondo del disagio che vivevamo tutti noi che, all'epoca, non importa su quale sponda del fiume avessimo piantato le tende, sentivamo che già che ci sarebbero mancati gli ideali.


E poi c'è Rossana, ovviamente.
Tutti noi abbiamo una Rossana a cui abbiamo dedicato dei versi e questo Poeta ormai anziano, che guarda commosso indietro alla sua vita, che pensa alle sue battaglie, che ha schifo dei conformisti, riesce a commuoversi pensando alla sua "dolcissima signora".
C'è forse un po' di retorica piccolo borghese anche in un ex rivoluzionario?
Non credo.
C'è la commozione, la tenerezza, il pudore di chi - nonostante l'abito fiero e lo sdegnoso canto - si sente piccolo di fronte al mistero di due occhi profondi, che ti cambiano la vita



Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perchè con questa spada vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti poeti sgangherati,
inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza
avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finchè dura,
che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna,
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!


Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto del qualunquismo un arte,
coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto, assurdo bel paese.
Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato,
piacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!


Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz' ora da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d' essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,
ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perchè Rossana è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...


Venite gente vuota, facciamola finita,
voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito,
guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso,
che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;
tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!


Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole,
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano

martedì 23 febbraio 2010

Ce l'hanno sempre tutti con me


C'è una vecchia canzone che s'intitola "Bisogna saper perdere".
Applicata all'Inter di oggi, bisognerebbe capovolgerne titolo e significato e chiamarla "Bisogna saper vincere", perchè sembrerebbe che gli alti quadri dirigenziali di via Durini non abbiano ancora capito come gestire il successo meritatamente arriso alla squadra.
Sgombriamo il campo agli equivoci e identifichiamo subito i responsabili della figura pietosa che incombe sull'Inter: Moratti e Mourinho.
Il primo è il presidente che si puo' permettere il lusso di spendere tutti i soldi che vuole per soddisfare i capricci suoi e del suo allenatore. Ha speso per lo più molto bene; talmente bene da poter teoricamente allestire tre squadre di eccellente livello. Alle volte ha speso più per capriccio che per necessità: perchè ha visto in un filmato un giocatore che l'ha colpito, per esempio, e l'ha acquistato senza chiedersi o chiedere ai suoi collaboratori se fosse necessario alla squadra. L'esempio di tale Vampeta - che i tifosi nerazzurri ricorderanno ancora con orrore - potrebbe chiarire il problema meglio di altri concetti.
Altre volte ha comprato giocatori solo per sottrarli alla concorrenza, per esempio tale Suazo che infatti si è poi rivelato totalmente inutile e - di fatto - inutilizzato.
Questo è l'uomo, ed è anche lo stesso che - memore di 20 anni passati in atteggiamento contemplativo dei trionfi altrui - ha coltivato un atteggiamento livido e rancoroso che lo ha portato a diventare delatore pur di trovare uno spazio per la sua squadra. Per carità, va benissimo: doveva essere fatta un po' di piazza pulita di vecchi privilegi che, in quanto tali, non avevano ragione di essere. Il problema è che il Nostro - ergendosi per il vero assai impropriamente ad unico onesto in mezzo ad una banda di farabutti - ha fatto della Federcalcio una specie di versione adulta della "signora Maestra" cui egli forse si rivolgeva nella sua infanzia quando Carlino gli lanciava dal secondo banco della terza fila i petrioli (proiettili conici di carta lanciati con la cerbottana) o Arturo le palline di carta inzuppata di saliva.
In altre parole: se avesse imparato a difendersi da piccolo, oggi non sarebbe ancora preso dalla "sindrome da primo della classe" che si sente guardato con odio da tutti i suoi compagni e sente la necessità di legittimare ogni suo gesto con il ricorso ad un'autorità superiore. Ieri la signora maestra, oggi Abete con la Federcalcio.

Ma per quanta simpatia umana possa ispirare un caso quasi umano così complesso e variegato come quello del petroliere milanese, nulla sembra giustificare gli atteggiamenti strafottenti, intimidatori e perennemente sopra le righe di Jose' Mourinho, che dell'onesta compagine milanese è allenatore.
Arrivato nel capoluogo lombardo sulle ali di una fama meritata in altre contrade, lo Special One (nessuno che ci abbia mai spiegato cosa abbia di tanto speciale...) si è segnalato - nell'ordine - per: mettere bene in campo una squadra con la quale avrebbe vinto anche Agroppi; NON vincere la Champions League; insultare tutti gli avversari; elucubrare su una supposta, ridicola, ingiustificata e di fatto inesistente atmosfera di ostilità contro la squadra da lui allenata.
Posso essere del tutto onesto e sincero e dire le cose con le esatte parole con cui le penso? Lo Special ha abbondantemente rotto i coglioni.
Posso anche essere in astratto d'accordo con chi - i tifosi interisti, ovviamente - si indigna per la stangata toccata agli onesti colori nerazzurri, ma giustifico ampiamente chi, esasperato dalle continue provocazioni di questo astuto mercenario abilissimo venditore di fumo, ha deciso di dargli una lezione. Non si deve meravigliare se gli appioppano tre giornate di squalifica: è il minimo che si merita uno come lui che passa i tre quarti delle sue conferenze stampa ad insultare gli avversari e il restante quarto ad evocare i poteri occulti che tramano contro l'Inter in genere e contro lui in particolare.
E' bravo? Che lo dimostri sul campo. Sino ad ora ha convinto solo i suoi fans più turibolari, quelli che vanno in solluchero anche di fronte alle sue scoregge.
Domani incontrerà Carlo Ancelotti, tecnico vero, bravo, dotato, intelligente, uno che ha vinto bene in Europa avendo a disposizione una squadra molto, ma molto meno dotata di quella che Moratti gli ha messo in mano. Provi, lo scaltro Mou, ad osservare il suo modo di fare, la sua educazione, la sua classe adamantina e superiore. Chissà che non impari, una volta tanto, che il modo migliore per fare scoregge in un ascensore affollato senza farsi notare è essere silenziosi. Molto silenziosi

NdR: l'immagine - molto carina - è di Skytoon. Apprezzo in particolare il colore che il disegnatore ha attribuito a Moratti

domenica 21 febbraio 2010

Autoritratto domenicale sul Powerbook

In preda ad una crisi di vanità tipica dell'ultraquarantenne che in fondo sono, ho deciso di approfittare di una funzione del mio Powerbook che si chiama Photo boot, e di autoscattarmi una foto.
La mia autostima non cambia, ovviamente; ma era ora di fare un po' di piazza pulita del vecchiume che allignava anche in questo blog e di proporre una mia versione aggiornata ai lettori che stanno un po' aumentando, in questi ultimi tempi.

Chi sono?
Un essere pigro, grasso, accidioso, romantico, divertente e divertito, appassionato delle cose che fa, accanito lettore, insonne, amante dell'opera e forse - sotto sotto - da essa anche discretamente influenzato, libero pensatore, anarchico (ma forse sarebbe meglio dire: apolitico, come l'orologiaio Binella del paese di Don Camillo), vero liberale in fondo al cuore.
Sono fondamentalmente buono e assai poco vendicativo, anche se ogni tanto m'incazzo come un po' quasi tutte le formiche, nel loro piccolo.
Ho il mio lato oscuro, come chiunque altro. Tutti ne abbiamo uno. Forse è per quello che amo immensamente scrittori come Stephen King, che coi lati oscuri ci si sono costruiti una fama imperitura; o più datati come Simenon e Maugham, che sui lati oscuri ci ironizzano.
Il mio lato oscuro è il sangue. Tranquilli, non sono un pazzo psicopatico: è solo la spiegazione razionale del mio lavoro, di quello che mi dà e di quello che mi toglie. Ed è il motivo per cui, d'estate, mi ritrovo sotto l'ombrellone di Celle Ligure ad "annodare l'aria", come dicevo in qualche post precedente.
In breve, sono uno qualunque. Le mie osservazioni - il mio modo di vedere i fatti della vita che mi circonda - vi stanno interessando, vi divertono, vi strappano un sorriso? Se questa constatazione vi meraviglia, ricordatevi che uno degli eroi del nostro tempo è Homer Simpson, colui che maggiormente ispira la mia fisicità e il mio modo pigro, grasso e sentimentale di vedere la vita.
E fanculo a George Clooney e Raoul Bova!

Putrefazione


I fischi al patetico triolescano caratterizzato dalla presenza dell'indomito eroe di "Gelato al cioccolato" e del principe senza corona e senza terra.
Una presentatrice che passa la metà del suo tempo ad implorare un applauso per le battute pietose che elargisce nell'altra metà.
Il pubblico che fischia indignato per le scelte dell'organizzazione sanremese, spacciate per "voto della giuria popolare", a meno che per "giuria popolare" non s'intendano le ragazzine in fregola.
I foruncoli purulenti del laido vincitore che, con la sua faccetta da schiaffi e la sua vocetta mielosa, ha confermato tutta la prevedibilità di un evento stereotipato e sorprendente solo nelle dichiarazioni della sua conduttrice.
La lingua guizzante nella bocca sdentata di un anchorman che ha pensato bene di festeggiare il suo ritorno in RAI trasformando la finale di un concorso canoro nell'ennesimo "Ah nel comun tripudio sallo Iddio quanti infelici soffron!..." (G. Verdi, "La traviata", Atto III) e ritagliandosi un siparietto di un buonismo insopportabile.
La presenza ossessiva e compulsiva dei talent - quelli della moglie del tipo dalla lingua guizzante, ma non solo - come serbatoi di vocette plastificate che cantano canzoncine talmente pietose da riabilitare per sempre Raoul Casadei e Nino D'Angelo prima maniera (quello di " 'nu jeans e 'na maglietta").

Tutto questo è stato il Festival Sanremo di quest'anno, uno spettacolo ripugnante, miserabile, inverecondo, molto peggio di quello cui eravamo abituati, e di cui ricorderemo con piacere solo i dieci minuti iniziali della prima serata solo perché non facevano parte dello spettacolo, essendo stati gestiti da Paolo Bonolis e Luca Laurenti.
Ai patetici replicanti che hanno offerto il peggio di sé, augurandomi preliminarmente che quest'anno "Amici" di Maria De Filippi venga vinto da un ballerino e possibilmente non sardo (che almeno così non parteciperà a concorsi di canto), dedico due brani immortali interpretati rispettivamente dalla voce e dalla chitarra di Roberto Murolo, uno che Sanremo fortunatamente l'ha incrociata solo di sfioro; e da Luigi Tenco, uno che invece con la Sanremo schifosa, fetente e ripugnante che conosciamo, ci si è purtroppo scontrato






venerdì 19 febbraio 2010

Tipi di stronzi



Credo che nell'elenco degli "animali di affezione" di cui parlavo nel mio precedente articolo siano entrati a mia insaputa anche il rinoceronte, l'elefante, l'ippopotamo e il bufalo maremmano. Sono infatti gli unici animali le cui dimensioni giustificano l'enormità degli stronzi (nel senso di deiezioni) disposti a mucchietto - anzi, a montagna - che ho trovato oggi nel solito prato ove porto il bassotto per le sue passeggiate igieniche.
Superata la prima comprensibile fase di sconcerto, mi sono detto che il padrone di un animale di questo genere in fondo ha le sue giustificazioni se non ne raccoglie gli escrementi: ci vorrebbe un sacco di quelli per i rifiuti condominiali, anziché i comodi sacchetti colorati che utilizzo io.
Viceversa, per buttare via definitivamente gli stronzi (stavolta nel senso di esseri umani) che lasciano per terra le deiezioni di bestie così enormi, non basterebbe nemmeno la discarica municipale con tanto di termovalorizzatore.
Ad essi - ai padroni, ovviamente, non ai cani - vada il mio più sentito "vaffanculo": è grazie soprattutto a loro se il mio bassotto, educato e blasè, non viene accettato in ristoranti ed altri luoghi di assembramento civile

mercoledì 17 febbraio 2010

Io sto con il coniglio


Beppe Bigazzi, conduttore della trasmissione "La prova del cuoco" è stato sospeso dalla Rai per aver parlato di un possibile modo di cucinare il gatto, nei panni (invero poco ambibili per esso) di succedaneo del coniglio. Negli anni Trenta e Quaranta in Val d'Arno (e non solo, per inciso: pensiamo a Vicenza e a tutte le aree rurali dove abbondavano fame e felini) si mangiava il gatto e nessuno si scandalizzava. Poi il comune sentire è cambiato e così, in tempi più recenti - negli Anni Settanta - ricordo lo scandalo legato alla chiusura di una celebre trattoria maremmana molto famosa per il suo coniglio alla cacciatora, blindata dai Carabinieri per aver servito gatto per coniglio. Ma dico: perchè scandalizzarsi per il gatto e non per il povero coniglio, animale simpatico e reso famoso da personaggi delle favole come il Bianconiglio, o dei cartoni animati come Bugs Bunny, che molti di noi pure utilizzano come animale di compagnia? Lo Stato tutela gli "animali d'affezione" con la Legge 281 del 1991: il gatto lo è e il coniglio no? Cosa sono queste discriminazioni?
Be', a stare a guardare qualche differenza c'è.
Il gatto miagola, quindi può commuovervi, il coniglio per lo più sta zitto per cui nessuno ci fa caso; oddio, sembra che emetta qualche verso (si dice "zigare") quando si accorge che lo stanno per uccidere, ma bisogna essere molto attenti per accorgersene, per cui si può anche far finta di niente.
Il gatto fa le fusa, il coniglio no: un altro punto a sfavore del coniglio.
Il gatto gioca con i gomitoli di lana, il coniglio no.
Il gatto - se non fosse obeso per tutti gli Sheba al patè di fegato d'oca con cui lo rimpinziamo - caccerebbe i topi, il coniglio è un roditore egli stesso.
Il gatto vi sta acciambellato sulle gambe facendo "la pasta" (sarebbe quel movimento ritmico fatto con le zampe anteriori), il coniglio tende a scappare saltellando: questo è un grave errore tattico e il coniglio non l'ha ancora capito.
Per quanto riguarda i danni domestici siamo più o meno alla pari: il coniglio - da buon roditore - rosicchia quello che trova sul suo cammino e caga in giro senza nessun ritegno; il gatto in compenso si fa le unghie sulla tappezzeria e sui divani di casa, ma defeca nella cassetta, il che è molto più fine, conveniamone.
Per quanto riguarda infine le ricette, sono molte di più quelle che riguardano il coniglio, ma su questo punto ci andrei cauto: decapitato e spellato, il gatto assomiglia al coniglio, e chi ci dice che almeno una volta nella nostra vita non ci siamo cibati di qualche randagio che, sino a pochi giorni prima, vedevamo aggirarsi vicino alla macelleria del quartiere?...

Insomma, se stiamo a valutare i singoli punti a favore e quelli contro, il gatto la vince nettamente sul coniglio che merita di morire per alimentarci senza che nessuno se ne preoccupi più che tanto. Se invece volessimo fare un ragionamento un po' più articolato, credo che saremmo costretti a riconoscere magari obtorto collo che, in questa levata di scudi contro il malcapitato Bigazzi - non in cima alla lista delle Persone Più Simpatiche della Televisione - c'è molta di quella "ipocrisia gattara" buonista e radical chic che tende a portare sugli scudi il felino domestico. Perché?
Perché nel Medioevo era animale del demonio ed abbinato alle streghe: oscurantismo clericale.
Perché è tormentato da perfidi nemici degli animali che lo torturano o ne fanno materia da esperimento: vivisettori.
Perché, quando è randagio, vive fiero della propria libertà ai margini della società in una specie di comune in cui la lotta per la ricerca del cibo contro l'uomo sfruttatore e prevaricatore diventa lotta di classe: proletario.
Perché la sua indipendenza e apparente albagia fanno di lui una specie di intellettuale snob che, se leggesse un quotidiano, sceglierebbe "Repubblica" (non a caso la testata più sfruttata per le lettiere fai-da-te): libero pensatore.
Ora, siamo onesti: si può mangiare un resistente intellettuale snob indipendente e libero pensatore? Certo che no: lo si ospita in casa e si discute con lui.
A tavola, mangiando insieme il coniglio

martedì 16 febbraio 2010

Lo sai che i papaveri...



Due sono gli eventi che animeranno la serata odierna. Uno, il più importante, è la sfida degli ottavi di finale di Champions fra il Milan e il Manchester United; e qui non vorrei dilungarmi, nonostante la mia provata fede milanista, per la scarsa fiducia che ho attualmente nelle potenzialità della mia squadra del cuore. L'altro è la superflua reiterazione annuale del rito di Sanremo, quello su cui si avvita tutta la programmazione televisiva settimanale, a dispetto di chi non ama il Festival e non ha Sky, digitale terrestre ed altre amenità analoghe.Sul Corriere di oggi Aldo Grasso rievoca un'età dell'oro in cui i garzoni dei fornai del Ponente ligure uscivano dalla bottega in sella alle loro biciclette fischiettando "Vola colomba" e "Nel blu dipinto di blu" (e basta chiamarla sempre "Volare"!...). A parte il solito bozzetto oleografico da laudator temporis acti per cui tutto ciò che è passato è anche, ipso facto, sempre meglio del presente, in questo rimpianto di una mitica età dell'oro un po' di vero c'è, se consideriamo che, fra i cosiddetti big di oggi, ci saranno:
- tale Valerio Scanu, altro bamboccio sardo foruncolodioso creato dal talent di Maria De Filippi, che si presenta con una canzone assemblata con tutte quelle melensaggini stile Moccia-Muccino che già avevano permesso l'anno scorso la vittoria del suo sodale Marco Carta; è pertanto il favorito d'obbligo
- il buon vecchio Pupo in coppia con SA il principe Emanuele Filiberto, quest'ultimo alla perenne ricerca di una visibilità pret-à-porter che non lo impegni troppo nei contenuti
- Toto Cutugno, creatura canora eminentemente festivaliera, che ormai sta insidiando a Pippo Baudo il record delle presenze sulla Riviera
- Arisa, l'anno scorso spiritosa ed autoironica sorpresa vintage, quest'anno nei panni dell'autoreplicante in una parodia che ha già abbondantemente stufato
- l'irritante e ruffianissimo Povia che, dopo i gay, ha deciso di attaccarsi al carro della povera Eluana Englaro pur di apparire come quello che "dice cose scomode"
L'elenco potrebbe continuare a lungo, magari mettendoci i nomi mancanti (Albano Carrisi, Iva Zanicchi, i Ricchi e poveri), ma poco conterebbe perchè si arriverebbe alle solite desolanti due considerazioni: la parte vera, nobile e importante della canzone italiana non passa da Sanremo; il Festival non fa vendere più i dischi. Date per scontate queste due evidenze, cosa ci sta a fare ancora una manifestazione di questo genere? Nulla. In fondo forse ha ragione Grasso nel ricordare i bei tempi dei panettieri che fischiettavano il refrain di Franca Raimondi "Aprite le finestre al nuovo sole".

Ma c'è un aspetto inquietante da considerare, ed è quello che probabilmente tiene in piedi il Festival: quello del neo-romanticismo.
Gli italiani, popolo di eroi, santi, poeti e navigatori, sono anche e ancora, nonostante tutto, inguaribili romantici sognatori.
Creato nel Dopoguerra, il Festival forniva agli italiani amareggiati, disillusi, "poveri ma belli", la colonna sonora per accompagnare una vita non sempre facile e per dimenticare le tristezze. I brani orecchiabili parlavano di fiori che facevano male (ma erano pur sempre graditi), di lune che si vestivano d'argento e persino di papere che si innamoravano di papaveri alti, alti, alti. L'amore era il tema dominante nelle sue varie forme: intenso, appassionato, disperato, scanzonato, deluso, corrisposto, da lontano, da vicino, sempre casto, sempre etero. Siamo passati attraverso la contestazione degli Anni Settanta, l'edonismo degli Ottanta, il menefreghismo dei Novanta, il tecnicismo dei Mila, e siamo ritornati a chiudere il cerchio con l'amore, il sentimentalismo brufoloso e vagamente onanista. Tutti si amano anche al cinema: Federico Moccia, uno che sta alla ruffianaggine come Rocco Siffredi all'anal (praticamente un'alta specializzazione), torna a proporre una storia pietosa in cui un ultraquarantenne finirà per sposarsi con la ragazzina che si era già fatto nella puntata precedente e che gli dava lezioni morali ("Tra un po' io avrò la maturità. Certo sto male, non sto riuscendo a studiare ma forse la prenderò. Ce la voglio fare. Invece vorrei tanto sapere quando tu prenderai la tua maturità...Sai Alex in tutti questi mesi tu mi hai riempito di regali ma alla fine ti sei ripreso il più bello. La mia favola").
Questa vaccata ignobile se la sta battendo ai botteghini con il ben altrimenti dotato Avatar, capolavoro visionario di James Cameron, ed è tutto dire. I gusti sono gusti per cui, in questa voglia tutta italiana di buoni sentimenti, trova una sua logica collocazione anche questa kermesse anacronistica.
Che cosa ci vuoi far?...
Non ci resta che ascoltare!

domenica 14 febbraio 2010

I came out of Facebook and I shall return

Chiedo scusa ai miei amici e lettori per la decisione piuttosto impulsiva che ho preso oggi, giorno di San Valentino: ho momentaneamente (non è una decisione definitiva) chiuso il mio account di Facebook.
Perché l'ho fatto? Ci sono tante ragioni, alcune di esse sono molto personali, ma una fra tutte è la seguente: fra gli accessi dal pc e quelli tramite il mio fedele BlackBerry, mi sono accorto che questo giochino mi stava rubando un sacco di tempo e di energie. Ho quindi deciso di sospendere la frequenza con questa pagina geniale - lo è veramente! - e di riprendere a dedicare il mio tempo informatico alle risorse in cui voglio mettere la quota di maggior creatività, vale a dire il mio sito internet d'opera lirica e questo blog.
Avrei dovuto avvisare prima gli amici? Forse sì - in effetti ho avvisato solo una persona - ma poi ho ragionato da chirurgo e ho dato un taglio netto prima di dovermi impegolare in sfilze di "Mi dispiace" o "Ripensaci" o anche (il che forse sarebbe stato peggio per il mio orgoglio) "Fai bene, non se ne poteva più di te" o raggelanti "E chi se ne frega".
E' una decisione indolore? Assolutamente no, anzi, ne sono già moderatamente pentito, ma era l'unico sistema per riprendere il mio tempo, il ritmo della mia vita che - farà sorridere i miei lettori - nel suo lato "libero" (quello cioè esente dalle turnazioni del lavoro e dalle esigenze della famiglia) era ormai cadenzata da questo giochino.
E qui è necessario capirsi un attimo e fare qualche riflessione.

Non conosco Twitter, il social forum concorrente, ma Facebook è un giochino bellissimo. Se non ci credete, provateci; a condizione di avere un bel po' di tempo libero, vi darà soddisfazioni notevoli.
Dopo un periodo snobistico, quando tutti già ci andavano e io ancora no, mi ci sono accostato un po' obtorto collo per cercare il già stra-citato mio ex compagno di Liceo Sandro; è bastato che mettessi il mio nome per ricevere, nel giro di qualche ora, le famose richieste di amicizia che ben conosce ogni utente di questo social forum. A decine.
Ora, moltissime erano - e sono - di persone che lavorano nell'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano ove anch'io "faccio il dottore" da oltre un decennio; ma qualche sorpresa di persone che non vedevo da un sacco di tempo c'è stata, ed è il motivo più importante per cui si decide di partecipare ad una vicenda del genere.
L'altro motivo, che non è così importante ma in compenso è quello veramente divertente, è frequentare non solo gli amici, ma soprattutto i semplici conoscenti, quelli che sul lavoro salutiamo distrattamente, e scoprirne tutti i lati che normalmente non appaiono, perché sono coperti dal ruolo che tutti giochiamo nella vita, o perché non se ne ha tempo. Facebook invece ti costringe a metterti in gioco, a condividere i vari aspetti della tua vita: foto, preferenze, ammissioni, odi, lacrime e risate. E' un gioco di ruolo meraviglioso, in cui puoi scegliere di impegnarti poco o tanto, e riceverai a seconda di quello che metti in gioco.
Su Facebook ho stretto rapporti importanti, alcuni addirittura fondamentali, meravigliosi, che hanno segnato la mia vita: non ho nessuna riserva a dirlo e, indipendentemente da come sono finiti alcuni di essi, non ho nessun rimpianto. E se era un po' di tempo che il mio naturale riserbo mi risparmiava approfondite relazioni umane, sia benedetto Facebook che mi ha costretto a rimettermi in gioco. Il termine gioco può implicare come conseguenza vittoria o sconfitta ma poco conta: come diceva De Coubertin, l'importante è partecipare, e ho partecipato con tutto me stesso.
Su Facebook ho linkato praticamente tutti gli articoli di questo blog, facendo conoscere un aspetto di me che è stato gradito da molti miei amici, alcuni dei quali non vedo più perché le circostanze della vita ci hanno allontanati ma che si fanno sentire quando scrivo e che mi hanno detto che aspettano sempre con discreta impazienza un mio nuovo articolo.
Su Facebook ho fatto fatica a respingere decine e decine di inviti ad eventi di cui non m'importava una pera, o catene di sant'Antonio di agghiacciante stupidità; avete fatto caso che ormai nessuno le recapita più tramite la posta elettronica? E' solo perché ormai sono tutte lì, oppure sull'a me per ora (non si può mai dire) sconosciuto Twitter.
Su Facebook mi sono fatto delle risate colossali, ma ho anche condiviso lacrime di disperazione con persone che mi hanno aperto gli abissi più insondabili della loro anima.

Adesso però è necessario un minimo di periodo sabbatico. Il gioco è una meraviglia - ripeto - ma, allo stesso modo di Leland Gaunt, malefico protagonista di "Cose preziose" del solito, inimitabile Stephen King, in cambio di quello che ti dà può anche rubarti l'anima.
E' il momento in cui devo riprendere a riflettere, e riappropriarmi del mio tempo libero e della mia fantasia, e smettere di continuare a guardare se si è accesa la lucina rossa del BlackBerry per segnalarmi l'arrivo di una nuova notifica su "Face".
E' il momento di smettere di guardare in modo compulsivo cos'ha fatto Tizio, Caio o Sempronio, per capire se hanno letto, visto o ascoltato quello che ho messo online.
E' il momento di smettere di pensare se la frase messa online da Pinco Pallo ha il significato che avrebbe letteralmente, oppure quello che vorrei avesse.
Non finisce qui, ovviamente. Lo so.
Parafrasando quello che disse il Generale Douglas MacArthur dopo la ritirata del 1941, "I came out of Facebook and I shall return".
Avrò ancora voglia di questo giochino e di tutto il mondo divertente e un po' alienato che appare sullo screen che, anche in questo momento, ho davanti a me. Avrò ancora voglia di test strampalati, di pescare bigliettini ingannevoli, di aprire cozze, biscottini e salsicce della fortuna. E forse avrò ancora voglia di guardare nelle foto degli altri, come Seymour Parrish, interpretato dal grande Robin Williams, di "One hour photo".
Ecco, se c'è un appunto che si può fare, è che alle volte su Facebook si ha la sensazione di artificiosità, di un voler caricare i toni ed esasperare i contrasti; una specie di gara a chi la spara più grossa. Ma basta un solo scambio di quelli veri ed importanti per ripagarti di tutta la falsità e la finzione che anche lì alligna sovrana.
E in fondo, questo mettersi in gioco, questo cercare nonostante tutti i rischi il rapporto umano importante... è il sale della vita, no?
Au revoir dans Facebook, les enfants

sabato 13 febbraio 2010

Mio tesoro, mio sangue

Di umore malinconico come sono oggi, era inevitabile che andassi a parare in qualche pellicola che assecondasse il mio spirito.
La scelta - grazie anche ai discorsi intavolati nel precedente post - è andata proprio sul capolavoro di Clint Eastwood, e cioè Million dollar baby, una riflessione profonda, asciutta e mai scontata sul tema dell'amore.
Il film è famosissimo, ma gioverà farne un piccolo cenno anamnestico per chi non vi si sia mai imbattuto. Meg (Hillary Swank) è una ragazza di provincia, con una famiglia orribile alle spalle, che vive facendo da vent'anni la sguattera in un fast food; Frank (Clint Eastwood) è un allenatore di boxe in una palestra di terz'ordine, che vive solitario; avrebbe una figlia cui scrive ogni giorno, ma le lettere gli ritornano indietro senza essere state aperte, e così il suo unico interrlocutore è Scrap (Morgan Freeman), a sua volta ex pugile che vive nella palestra per respirare ancora un po' di aria di lotta. Per uno di quei casi in cui il Destino gioca spesso (non sempre) un ruolo, Meg e Frank si incontrano dando luogo ad un rapporto strano: sono due sconfitti che si riconoscono e si aggrappano disperatamente l'una all'altro. All'inizio Frank insegna, Meg impara; poi, procedendo nella vicenda, i ruoli si confondono, sino a che il rapporto fra i due diventerà così profondo da generare l'atto d'amore finale, quello più importante, quello che spezzerà la vita di entrambi.

Questo non è un film sulla boxe: è il più bel film d'amore che sia mai stato girato.
Non c'è un bacio, non c'è una scopata; non c'è nemmeno quel sentimentalismo di bassa lega che, ad Hollywood come qui, sembra tornato di moda. Il film è asciutto e scabro, eppure riesce ad essere più intenso e commovente di tutte le favole d'amore che lo schermo - grande o piccolo che sia - ci abbia mai propinato in un secolo di vita.
La sensazione di "trovarsi" - cioè incontrarsi e riconoscersi - in un mondo talmente sbagliato da sembrare quasi finto, genera nei protagonisti un attaccamento infinito, pazzo, disperato. Viene ovviamente da pensare ad un rapporto padre-figlia, ma in realtà è qualcosa di ancora più profondo, perché è generato dal bisogno di completarsi con quello che ha l'altro, e questo sarebbe tipico di un rapporto amoroso classico fra uomo e donna: Frank non ha più il coraggio di affrontare la vita, lo si capisce dalla prudenza quasi paranoica che mette nell'organizzare gli incontri e dal suo motto, che ripete ossessivamente: "Proteggersi sempre"; Meg trova in Frank l'ordine che a lei manca e che ne imbriglia il talento, l'irruenza, l'aggressività.
Il rapporto si snoda in un crescendo emotivo che, in mano ad un altro regista, avrebbe dato luogo alla solita zuppetta sentimentale, ma che raccontato da Eastwood è asciutto, forte e sereno, anche nel momento del finale, quello in cui Frank rivela a Meg - in procinto di spiccare il volo - il significato di quella parola gaelica che lui le aveva dato come soprannome: "Mo cuishle significa: mio tesoro, mio sangue".
E' amore allo stato puro, e nessuno l'ha mai raccontato meglio di così

sabato 6 febbraio 2010

Gente così

Ci sono alcuni mestieri challenging, che fanno sangue a chi li pratica.
Il vantaggio di questa sfida quotidiana è l'entusiasmo che indubbiamente ci mette chiunque l'affronta; lo svantaggio è che il lavoro diventa come una droga, e uno non riesce più farne a meno.
Uno di questi mestieri è indubbiamente il lavoro medico; e, in questo ambito, le sfide maggiori sono quelle di chi pratica una specialità estrema: rianimatore o chirurgo.
Gente che, invece che di cibo, il più delle volte vive di caffeina e mastica stress e adrenalina come un chewing gum.
Gente che passa nella stessa notte dalla vita alla morte e ritorno.
Gente che stramazza sul divano dopo una notte di merda passata sul ferro.
Gente che non sa stare in vacanza, che sulla spiaggia comincia a muovere le mani quasi inconsapevolmente annodando l'aria.
Gente così.

Ora, se a qualcuno venisse in mente Vasco e la vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai, sappia che non tutto è poesia e canzone. C'è anche tanta, tantissima merda: la morte che ti sconfigge, gli avvocati che ti chiamano in giudizio, le litigate con tutti, la fatica di mantenere un sorriso sul volto anche quando non ne avresti voglia, lo sbadiglio trattenuto perché le tre del mattino sono un orario come qualunque altro. E i rapporti umani che alle volte si sfaldano mentre altri, magicamente, si costruiscono, in una notte vissuta gomito a gomito con le braccia immerse nel sangue altrui per poi sciogliersi in un pianto liberatorio, contemplando l'alba che sorge con in mano l'ennesima tazza di caffé, o di ginseng. A chi piace.

E' facile staccarsi da una vita del genere?
E' facile capire quando è il momento di dire "Basta"? E' facile svincolarsi e decidere quando è il momento di appendere i ferri al muro dei ricordi?
E' facile salutare quel mondo brulicante, fatto di luci finte, di sudore, di lacrime e sangue, di gioia e d'amore, di occhi riconoscenti e di odore di disinfettante?
No, non lo è affatto.
Ci pensavo ieri, quando mi hanno raccontato del "pensionamento obbligato" per oltrepassati limiti d'età di un Grande che ha cercato di rimanere abbarbicato al ring, anche a costo di trovare pugili molto più giovani e determinati pronti a gonfiarlo di cartoni. E' stato un atto di pietà umana nei confronti di questo Grande, d'accordo, ma cosa farà, adesso che la sua vita - spesa solo ed esclusivamente in Quello - s'interrompe per una legge naturale?
Mi viene da dire: "Dio mi scampi e mi faccia interrompere quando ancora potrò essere rimpianto, piuttosto che compatito". Mi viene anche da pensare che ho tanti interessi culturali e hobbistici che potrò coltivare dopo: tutti i libri che ho comperato e non ho ancora letto, il mio sito internet di opera lirica, magari anche questo blog, qualche viaggio.
Ma ho anche in mente lo splendido, indimenticabile Morgan Freeman in "Million dollar baby", che rimane in palestra gratis pur di continuare a respirare l'aria della battaglia e per dare una lezione, l'ultima, ad un ragazzo arrogante, e così so che allontanarmi, rinunciare al ring sarà per me, per noi che facciamo questa vita, la sfida più difficile