martedì 16 febbraio 2010

Lo sai che i papaveri...



Due sono gli eventi che animeranno la serata odierna. Uno, il più importante, è la sfida degli ottavi di finale di Champions fra il Milan e il Manchester United; e qui non vorrei dilungarmi, nonostante la mia provata fede milanista, per la scarsa fiducia che ho attualmente nelle potenzialità della mia squadra del cuore. L'altro è la superflua reiterazione annuale del rito di Sanremo, quello su cui si avvita tutta la programmazione televisiva settimanale, a dispetto di chi non ama il Festival e non ha Sky, digitale terrestre ed altre amenità analoghe.Sul Corriere di oggi Aldo Grasso rievoca un'età dell'oro in cui i garzoni dei fornai del Ponente ligure uscivano dalla bottega in sella alle loro biciclette fischiettando "Vola colomba" e "Nel blu dipinto di blu" (e basta chiamarla sempre "Volare"!...). A parte il solito bozzetto oleografico da laudator temporis acti per cui tutto ciò che è passato è anche, ipso facto, sempre meglio del presente, in questo rimpianto di una mitica età dell'oro un po' di vero c'è, se consideriamo che, fra i cosiddetti big di oggi, ci saranno:
- tale Valerio Scanu, altro bamboccio sardo foruncolodioso creato dal talent di Maria De Filippi, che si presenta con una canzone assemblata con tutte quelle melensaggini stile Moccia-Muccino che già avevano permesso l'anno scorso la vittoria del suo sodale Marco Carta; è pertanto il favorito d'obbligo
- il buon vecchio Pupo in coppia con SA il principe Emanuele Filiberto, quest'ultimo alla perenne ricerca di una visibilità pret-à-porter che non lo impegni troppo nei contenuti
- Toto Cutugno, creatura canora eminentemente festivaliera, che ormai sta insidiando a Pippo Baudo il record delle presenze sulla Riviera
- Arisa, l'anno scorso spiritosa ed autoironica sorpresa vintage, quest'anno nei panni dell'autoreplicante in una parodia che ha già abbondantemente stufato
- l'irritante e ruffianissimo Povia che, dopo i gay, ha deciso di attaccarsi al carro della povera Eluana Englaro pur di apparire come quello che "dice cose scomode"
L'elenco potrebbe continuare a lungo, magari mettendoci i nomi mancanti (Albano Carrisi, Iva Zanicchi, i Ricchi e poveri), ma poco conterebbe perchè si arriverebbe alle solite desolanti due considerazioni: la parte vera, nobile e importante della canzone italiana non passa da Sanremo; il Festival non fa vendere più i dischi. Date per scontate queste due evidenze, cosa ci sta a fare ancora una manifestazione di questo genere? Nulla. In fondo forse ha ragione Grasso nel ricordare i bei tempi dei panettieri che fischiettavano il refrain di Franca Raimondi "Aprite le finestre al nuovo sole".

Ma c'è un aspetto inquietante da considerare, ed è quello che probabilmente tiene in piedi il Festival: quello del neo-romanticismo.
Gli italiani, popolo di eroi, santi, poeti e navigatori, sono anche e ancora, nonostante tutto, inguaribili romantici sognatori.
Creato nel Dopoguerra, il Festival forniva agli italiani amareggiati, disillusi, "poveri ma belli", la colonna sonora per accompagnare una vita non sempre facile e per dimenticare le tristezze. I brani orecchiabili parlavano di fiori che facevano male (ma erano pur sempre graditi), di lune che si vestivano d'argento e persino di papere che si innamoravano di papaveri alti, alti, alti. L'amore era il tema dominante nelle sue varie forme: intenso, appassionato, disperato, scanzonato, deluso, corrisposto, da lontano, da vicino, sempre casto, sempre etero. Siamo passati attraverso la contestazione degli Anni Settanta, l'edonismo degli Ottanta, il menefreghismo dei Novanta, il tecnicismo dei Mila, e siamo ritornati a chiudere il cerchio con l'amore, il sentimentalismo brufoloso e vagamente onanista. Tutti si amano anche al cinema: Federico Moccia, uno che sta alla ruffianaggine come Rocco Siffredi all'anal (praticamente un'alta specializzazione), torna a proporre una storia pietosa in cui un ultraquarantenne finirà per sposarsi con la ragazzina che si era già fatto nella puntata precedente e che gli dava lezioni morali ("Tra un po' io avrò la maturità. Certo sto male, non sto riuscendo a studiare ma forse la prenderò. Ce la voglio fare. Invece vorrei tanto sapere quando tu prenderai la tua maturità...Sai Alex in tutti questi mesi tu mi hai riempito di regali ma alla fine ti sei ripreso il più bello. La mia favola").
Questa vaccata ignobile se la sta battendo ai botteghini con il ben altrimenti dotato Avatar, capolavoro visionario di James Cameron, ed è tutto dire. I gusti sono gusti per cui, in questa voglia tutta italiana di buoni sentimenti, trova una sua logica collocazione anche questa kermesse anacronistica.
Che cosa ci vuoi far?...
Non ci resta che ascoltare!

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