mercoledì 28 ottobre 2009

Un giorno in Pretura


Insisto nel dire che se uno cerca il peggio che l'essere umano può dare, non deve fare molto sforzo. Ieri sera al TG, per esempio, ne ho sentita una carina. Al processo Thyssen Group in corso a Torino sono stati sentiti due dirigenti che si sono avvalsi della facolta' di non rispondere. E mentre riflettevo sul fatto che appare ben bizzarra la scelta di non rispondere da parte i un imputato o testimone e che, se fossi giudice, la valuterei malissimo, e' arrivata anche la spiegazione: i due, che si chiamano Harald Espehnahn e Gerard Priegnitz (mica Mario Rossi e Giuseppe Bottazzi, insomma), i due alti dirigenti della Thyssengroup sono tedeschi e non capivano le domande del PM. Imputati a Torino per il rogo che nel 2007 uccise sette operai, hanno spiegato che non conoscono l'italiano tanto bene da affrontare un interrogatorio in assenza di un interprete. La corte, che inizialmente aveva respinto tale richiesta della difesa, ha deciso di ascoltarli con l'interprete il 4 novembre. La seduta e' quindi spostata alla settimana ventura, quando la Procura mettera' a disposizione un interprete.

Si fa - e giustamente - un gran parlare delle spese giudiziarie, delle lungaggini spaventose di un processo, di quanto costa ogni singola seduta. E poi, ecco, si portano in aula due testimoni tedeschi, che non parlano una sola parola d'italiano, si riunisce la Corte e si scopre che occorre l'interprete. Anzi, peggio: lo si sarebbe potuto scoprire prima, se si fosse data retta alla difesa.
Come pensavano di capire e di farsi capire? A gesti? Oppure pensavano di chiedere se in aula ci fosse qualcuno che se la cavava col tedesco?
Io - farsa per farsa - continuo a preferire Totò e Peppino in questo episodio de "La cambiale" che propongo anche alla vostra attenzione

domenica 25 ottobre 2009

Un chirurgo per il PD


Sono molto incuriosito dagli esiti delle primarie del PD. All'una oltre ottocentomila persone avevano votato nei chioschetti dimostrando con i fatti una voglia di "far politica" che non può che fare onore, soprattutto se consideriamo il momento attuale in cui, alle ninfette ed escort del Premier, vengono contrapposti trans e drag queen dell'opposizione. Il che, se ci pensiamo, non dovrebbe stupire: a parte la corrente teo-dem della Binetti, esiste nel PD un'anima trasgressive che si contrappone alla fallocrazia berlusconiana.
A parte le facezie, devo dire che sono rimasto discretamente colpito da Ignazio Marino. Sarà che mi accomuna a lui la professione, ma devo dire che c'è stata molta dignità nelle considerazioni che ha fatto al solito giornalista che gli chiedeva se si sentisse ago della bilancia nella sfida fra gli altri due contendenti: "Io non voglio essere l’ago della bilancia come dicono. Dario, Pierluigi davvero siete così intrisi delle vecchie posizioni da non capire che qualcuno vuole correre solo per le sue idee?".
Ecco: a Sinistra c'è qualcuno che parla di idee! Poi, si capisce, l'antiberlusconismo non manca mai, ma c'è finalmente qualcuno che rifiuta i modelli precostituiti e mette in campo le proprie idee!
Non quindi - per dire - un Franceschini che di idee non ne ha mai avute e che il meglio che ha pensato, per stimolare gli elettori a votarlo, è di promettere di eleggere come vicesegretari una donna e un africano. E neppure un Bersani che, al di là della simpatia umana che mi suscita per il suo essere un vecchio comunistone emiliano col sigaro in bocca e le maniche della camicia arrotolate come un Peppone qualsiasi, dimostra di essere ancora arroccato sul Sinistrese come unico mezzo di comunicazione.
Marino mi sembra la vera novità di questa simpatica kermesse che ormai segna in modo democratico le scelte del partito omonimo ma che - per inciso - mi pare che porti una sfiga orrenda al medesimo. La mia speranza è che ce la faccia e che la gente lo scelga per le sue idee, visto che Berlusconi sta subendo l'attacco finale e - mia idea, potrei ovviamente sbagliare - non credo che arriverà indenne alla fine della Legislatura

giovedì 22 ottobre 2009

In queste tenebre


Ogni tanto salta fuori il "negazionista": solitamente un povero coglione che, per soddisfare il proprio desiderio di apparire, inventa teorie secondo cui l'Olocausto non si sarebbe mai verificato, le camere a gas sarebbero servite per sterilizzare i vestiti, i forni per fare il pane e via elucubrando.
Questa volta è il turno di un fine intellettuale, di nome Antonio Caracciolo, un ricercatore 59enne di filosofia del diritto dell'università La Sapienza di Roma. Quest'ometto, che fisicamente ricorda il ben più celebre Enzo Cannavale - protagonista di celebri film con il parimenti noto Bombolo (ricordiamo fra gli altri "Una vacanza del cactus") - dimostra di essere molto meno divertente del modello, pur se di quello assai più surreale nell'eloquio.
Il Rettore della Facoltà lo ha invitato a farsi una passeggiata a Dachau; l'ometto riferisce di aver già visitato il posto, trovandolo molto più aggraziato di certe cittadine calabresi.
Nell'invitarlo a mia volta a leggere lo splendido "In quelle tenebre" di Gitta Sereny (Ed. Adelphi), esemplare intervista dell'autrice a Franz Stangl, comandante dei campi di Sobibor e Treblinka, esprimo il mio personale rammarico per il fatto che il professore di filosofia non sia nato qualche anno prima, e invece che in questo cazzo di Paese ove ognuno può dire qualunque cosa gli passa per la testa (con buona pace di chi pensa che non ci sia libertà d'opinione), magari proprio in Germania e in epoca assai meno libertaria dell'attuale. In tale contesto, esprimere opinioni a vanvera solo per il gusto di apparire, l'avrebbe portato dritto filato in quegli stessi luoghi di cui nega l'esistenza

domenica 11 ottobre 2009

Educazione sentimentale


Ci sono alcuni momenti della cinematografia che sono a buon diritto non solo entrati nella Storia, ma che hanno in vario modo contribuito alla crescita spirituale di chi vi si è - per così dire - abbeverato.
Lo spezzone che vi propongo in questa sonnacchiosa domenica ha giocato un ruolo fondamentale per molti di quelli della mia generazione che hanno da esso tratto spunto per apprendere l'arte della seduzione di una donna. Ancora una volta il protagonista è un grande attore italiano che qui ha accettato di fare una simpatica comparsata, un cameo che ne valorizza le capacità istrioniche. Riconosciamo facilmente in lui il nostro Peter O'Toole. Se un regista italiano avesse scelto di tradurre in immagini "I sette pilastri della saggezza", solo questo grande istrione sarebbe potuto essere la personificazione di TH Lawrence: lui, l'immortale creatore di Donatella Erezione

E' domenica


Si sa, la domenica tutti cercano il calore della famiglia; in casa si spargono i deliziosi profumi del buon cibo, quello che ormai viene cucinato solo nelle occasioni in cui ci si ritrova tutti insieme, impresa sempre più difficile da realizzare per gli impegni lavorativi di ognuno.
Ed è per festeggiare degnamente la domenica che offro ai lettori di questo blog un breve spezzone tratto da un vecchio film di un grande attore italiano. Bastano poche frasi sapientemente assemblate da un fine dicitore e subito, come per magia, si viene proiettati nell'atmosfera di una bella giornata di festa

venerdì 9 ottobre 2009

I primi della classe

Sto ultimando in questi giorni una lettura particolarmente interessante. È un ottimo libro di Luca Ricolfi, pubblicato da Longanesi, e si intitola “Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori prima e dopo le elezioni del 2008”.

Per chi non lo conoscesse, Luca Ricolfi è Professore straordinario di Metodologia della ricerca psicosociale, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino nonché direttore dell'Osservatorio del Nord-Ovest. Segni particolari: è un uomo di sinistra, giustamente preoccupato della piega pericolosa presa dalla sua parte politica. Contrariamente a molti uomini di sinistra, si preoccupa anche di cercare di capire le cause della flessione della sua area politica e le ragioni del successo della parte avversaria. Ne è nato questo libro – che si legge molto facilmente grazie ad una chiarezza espositiva che trova pochi confronti nella letteratura politica – che è una disamina acuta, precisa e ficcante delle ragioni che hanno portato la Sinistra ad una sconfitta pesante nel 2001, alla vittoria risicatissima del 2006 (quando, per usare un francesismo, avrebbero dovuto spaccare il culo ai passeri) che ha portato al fallimentare governo Prodi bis e ad una sconfitta catastrofica nel 2008.

Ricolfi ha un’impostazione molto lucida che lo porta ad identificare quattro problemi, i primi tre dei quali sono verbali:

  1. l’utilizzo di schemi secondari. Si tratta delle “scuse” con cui giustificare i propri fallimenti: qualcosa di simile a quello che dovettero inventare i Testimoni di Geova quando non si verificò la fine del mondo preconizzata da Rutherford. Di questo ambito fanno parte anche le giustificazioni per i massacri stalinisti, giudicati una fase transitoria e necessaria, e analogamente le repressioni di Praga, la strage di Piazza Tienanmen o i massacri di Pol Pot. Di questa categoria, inoltre, fanno parte tutte le ragioni che dovrebbero spiegarci perché un determinato lavoro pubblico fatto da Prodi sarebbe una grande opera, e fatto da Berlusconi sarebbe un atto mafioso
  2. la paura delle parole e la ricerca angosciata e continua del politically correct. Questa tendenza è stata mutuata dall’America, ma non un’America reale, bensì quella immaginata dai nostri uomini di sinistra in modo non diverso da quella cui pensava Nando Mericoni/Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”: quella cioè in cui al posto degli strani piatti inventati da Nando ci sono gli “I care”, i Kennedy reinterpretati da Veltroni, Clinton esponente oltreoceano dell’Ulivo planetario e via elucubrando. È quella tendenza per cui il cieco diventa “non vedente”, lo spazzino “operatore ecologico”, l’handicappato prima “disabile” e poi addirittura “diversamente abile”. È un linguaggio molto elegante e forbito, cui però non fa riscontro una realtà quotidiana
  3. il linguaggio codificato, quello che dovrebbe servire per parlare fra addetti ai lavori, e che in realtà serve solo a confondere le acque in casa propria, per nascondere agli stessi militanti il vuoto pauroso di idee e di mete da identificare
  4. il complesso di superiorità etica. Questo è l’aspetto più interessante, perché è intrinseco alla vocazione esclusiva della sinistra. C’è un atteggiamento sprezzante nella sinistra che parla sempre alla parte migliore del Paese, dando per scontato che la parte peggiore sia quella che ha dato il voto all’odiato Berlusca. Nell’ambito della parte politica avversaria la Sinistra identifica il cosiddetto elettorato motivato (quello, cioè, leghista e post-fascista), costituito dai duri e puri che non sono potenzialmente arruolabili; e l’elettorato affascinato, quello sostanzialmente rincoglionito dalla televisione ma potenzialmente redimibile. Questo criterio, che Ricolfi definisce “esclusivo” perché tende ad escludere aprioristicamente un’area giudicata degenere che non potrà mai essere recuperata alla causa dell’umanità, va contro decisamente al criterio definito “inclusivo” che invece è tipico di questa destra, che chiama alla raccolta tutti i potenziali elettori.

Quale scenario si prepara? Difficile da dire. Ricolfi molto saggiamente ammette che questa sinistra, per com’è messa, sembra vivere solo in funzione dell’esistenza di Berlusconi: ha perso da molti anni il suo elettorato tipico, la classe operaia è ormai definitivamente andata in paradiso oppure vota per la Lega, non è stato ancora identificato un nuovo elettorato e nel frattempo ci si continua a rifugiare in un linguaggio che sembra uscito dalla scuola dei dirigenti delle Frattocchie.

Potranno anche farlo fuori – di fatto ci stanno forse riuscendo – ma poi bisognerà sostituirsi a lui, riprendere a parlare, essere credibili, evitare gli schemi secondari, abbassarsi al livello dell’elettore (qualunque elettore), smettere di pensare di essere la parte migliore, quella che ha nel suo bagaglio genetico la superiorità morale, quando invece raccontano palle tanto quanto gli altri. Ricolfi cita – e giustamente – la promessa elettorale di Prodi. Nel corso del dibattito televisivo da Vespa, il pretone di Scandiano affermò categoricamente “Noi non met-te-re-mo le mani nelle tasche degli italiani”, agitando il ditone tanto per sottolineare il concetto. Infatti. Escalation spaventosa della pressione fiscale a cura dei due vampiri Padoa Schioppa-Visco; il cosiddetto “tesoretto” con cui hanno preso per il culo tutta la nazione; la presunta lotta all’evasione fiscale smentita clamorosamente dai fatti riportati da Ricolfi.

Si sveglino, i compagni: forse i tempi sono maturi ma, finito Berlusconi, non avranno più niente di cui parlare

mercoledì 7 ottobre 2009

C'è chi chi non ci sta e chi ci deve stare


Oggi la Corte Costituzionale ha espresso un importante giudizio sul lodo Alfano, quello cioè che stabilisce per postulato l'impunità per le quattro più importanti cariche dello Stato per tutta la durata del loro mandato.
E' - a mio modo di vedere - una decisione assolutamente giusta che afferma la bontà di uno dei principi costituzionali di base, e cioè che tutti gli uomini sono uguali davanti alla Legge e che rispondono delle loro azioni anche e soprattutto nell'esercizio di quelle funzioni che gli elettori hanno attribuito loro direttamente o attraverso il voto alle coalizioni che li sostengono.
E' una sentenza politica?
Dipende: se la applichiamo a un Mario Rossi qualunque, sicuramente no; se la applichiamo a Silvio Berlusconi, sicuramente sì, ma in fondo chi se ne frega? Se ha la coscienza tranquilla, non ha bisogno di un lodo Alfano per difendersi; se ha la coscienza sporca, allora è giusto che risponda alla Legge.
Il caso si potrebbe chiudere qui e non fornirebbe materiale per il blog di uno qualunque (come ho scelto di chiamarmi in onore di quel Giovannino Guareschi che da sempre è per me un modello di riferimento), se non fosse che questa sentenza della Consulta, giusta e doverosa, mi ha riportato alla memoria il buon vecchio Oscar Luigi Scalfaro, noto ai più per aver insultato a morte nel 1953 la Signora Edith Mingoni Toussan rea di offendere la morale girando per Roma con le spalle scoperte e per essersi coperto di disonore avendo indegnamente ricoperto la carica di Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999. In data 3 novembre 1993, alle 22.30 in un messaggio trasmesso a reti unificate, il vibrante moralista novarese pronunciò con voce commossa il famoso: "A questo gioco al massacro io non ci sto!", riferendosi all'indagine per i fondi SISDE che, durante la sua permanenza al Viminale, avrebbero portato 100 milioni di vecchie lire (mica bruscolini) nelle sue tasche. Il pio Oscar attribuì l'accusa ai cascami dei disciolti partiti della Prima Repubblica che avevano complottato contro di lui e si avvalse, per sostenere la sua linea di difesa, di un "lodo Alfano" ante litteram: i magistrati ricorsero ad un'interpretazione piuttosto estensiva dell'articolo 90 della Costituzione che recita che "Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione". La faccenda dei fondi del Sisde non aveva nulla a che fare con le funzioni di Oscar Luigi Scalfaro quale Presidente della Repubblica, trattandosi di fatti avvenuti diversi anni prima, quando il Nostro sedeva ancora al Viminale. Ma la linea estensiva prevalse (citazione da www.loccidentale.it).
Nel 2008, l'ex Presidente della Repubblica che aveva scansato l'inchiesta con la sua forza di volontà e con l'intercessione di magistrati quanto meno compiacenti, dimostrando di possedere una faccia con un taglio verticale tale da ricordare altra sede anatomica, così si espresse in un'intervista al Corriere della Sera (sempre dal sito sopra citato): "Caro presidente [riferito a Berlusconi, ovviamente, ndr] - dice Scalfaro dalle colonne del quotidiano di via Solferino -, nell'interesse del nostro popolo, faccia un grosso sacrificio e affronti la sofferenza di una procedura dove penso che le sue dichiarazioni e l'appoggio dei suoi avvocati possano giungere a una soluzione di verità. Il servizio alla cosa pubblica molte volte porta a pagare un prezzo elevato, ma questo è infinitamente più meritorio che assumersi la paternità di una rottura e precipitare il Paese in uno scontro di cui non si comprenderebbe l'esito".

Senza commenti: qui l'esigenza era solo documentaria a beneficio di coloro che pensassero che il lodo Alfano fosse solo un'invenzione di Berlusconi.
La supposta (e l'aggettivo qui è fortemente voluto) autorità morale della Sinistra sarà oggetto del prossimo articolo che, lo premetto, prende spunto da uno splendido libro di Luca Ricolfi, sociologo e uomo di Sinistra che, se si presentasse alle elezioni, voterei oggi stesso ad occhi chiusi.
Nel frattempo, una volta di più e per ritornare a bomba: sono d'accordo con la sentenza della Consulta. Il lodo Alfano era un obbrobrio e doveva essere eliminato. Personalmente sono sempre stato contrario all'immunità parlamentare sin dai tempi della Prima Repubblica.
Ma, sempre nel frattempo, non ce li scaramellino (i coglioni, ovviamente) con lezioncine morali, perché abbiamo memoria lunga. Molto lunga.
E non ci stiamo

lunedì 5 ottobre 2009

Ancora pugili suonati: il gerontorock


Immagino che la cosa sarà sfuggita ai più, ma in questi giorni è uscito – e dopo tanti anni di distanza dal precedente – il nuovo album dei Kiss. Aggiungendolo ad altri nuovi album di altri complessi rock (hard, glam o classic che sia) come gli AC/DC, quando non francamente heavy come gli Iron Maiden, abbiamo un dato piuttosto interessante che mi induce a riflettere sul geronto-rock come nuovo evento culturale degli ultimissimi tempi.

Ma kis-sono i Kiss? Io ne devo la conoscenza al già citato Sandro, mio amico di Liceo e curatore di http://citarsi.splinder.com; oggi non lo ammetterà mai, ma ai tempi era un fan piuttosto sfegatato della band.
A stare a quanto afferma la sempre precisa ed affidabile Wikipedia, si tratta di un complesso musicale statunitense, fondato dal bassista Gene Simmons e dal chitarrista Paul Stanley nel 1972 dalle ceneri dei Wicked Lester di cui facevano parte. Al gruppo si unirono poi il chitarrista Ace Frehley e il batterista Peter Criscuola, poi più noto come Peter Criss. Il complesso ha praticato diversi generi: Wikipedia parla di hard rock, glam rock, heavy metal, pop metal, hair metal e shock rock, ma io aggiungerei anche la disco music che ha sicuramente influenzato il brano con cui si sono fatti maggiormente conoscere dal grande pubblico della radio, e cioè “I was made for lovin’ you”. La loro fama si è basata soprattutto sull’eccessivo make up facciale volto a ricreare dei personaggi che, sul palcoscenico, ne combinavano di ogni: gli sputi simil-ematici di Gene Simmons, peraltro dotato di lingua lunghissima (e non solo la lingua, a giudicare dalle 5600 donne con cui si sarebbe a suo dire accoppiato nei sinora 60 primi anni della sua vita), scintille (ebbero addirittura in dotazione la macchina per scintille del primo film di Frankenstein del 1931), fumo e fuoco e altre dotazioni che, teoricamente, con la musica c’entrerebbero pochino. Abbandonarono il make-up nel 1983 ma vi ritornarono nel 1996; cambiarono varie volte i due elementi del gruppo che non facevano parte della premiata ditta Simmons-Stanley; pubblicarono l’ultimo disco in studio prima dell’attuale nel 1998 (si trattava di “Psicho Circus”).
Complessivamente una band di notevole successo fra gli appassionati, che ha sempre suonato una bella musica trascinante, che ha sempre puntato su uno spettacolo un po’ kitsch ma indubbiamente d’effetto e che – possiamo dirlo sommessamente? – non ha inciso in modo particolarmente rilevante sulla Storia della Musica. Se non ci fosse stato il trucco esagerato e le allusioni erotiche; se non ci fosse stata l’ambiguità sul nome (si diceva che Kiss fosse l’acronimo di Knight In Satan’s Service), peraltro mai smentita completamente; se non ci fossero state quelle due S finali che somigliavano, nella grafica, ad altre e più tenebrose SS di rimembranza nazistoide; se non ci fossero state le alluvioni di sangue finto di Gene Simmons ad ogni concerto; se fosse mancato tutto ciò – insomma – i Kiss se li sarebbero filati davvero in pochi. Invece così riuscirono a ottenere molto più credito di quanto meritassero i loro motivi, non sempre orecchiabili e non sempre di ottima lana.
Avremmo pianto disperati se la loro produzione discografica si fosse fermata al 1998? Francamente no; anzi, ci sarebbe stato – per loro – di che leccarsi abbondantemente le dita, considerando che con le non moltissime idee (musicali) messe insieme avevano comunque ottenuto un certo numero di dischi di platino.
Sentivamo il bisogno di un nuovo LP? Ancora una volta, la risposta non può che essere negativa. Il tempo li ha abbondantemente superati, gli appassionati di un tempo sono invecchiati con loro e i giovani di oggi – il teorico target della loro musica – sono troppo smaliziati per farsi circuire dal Barnum che mettono in piedi ad ogni concerto.
Il disco è brutto? Sì e no. Un bel rockaccione ruspante, con qualche finezza di mestiere, ma nessuna ispirazione che renda almeno un brano orecchiabile. Non a caso, i nostri hanno assemblato una specie di “paghi uno, prendi tre”: il disco con i brani nuovi, un altro disco con un’antologia di vecchi successi e un dvd con estratti di concerti. Esaurita in poco più di dieci minuti la curiosità di vedere cosa riesce a combinare ancora la gloriosa band di vecchietti, si corre subito al cd di evergreen per godersi ancora “Detroit rock city” e “Rock’n’roll all nite” che non saranno i Grandi Capolavori della storia del rock ma che, almeno, hanno il pregio della riconoscibilità immediata.

Il caso dei Kiss è particolarmente emblematico perché c’è sempre stato l’aspetto coreografico che spesso ha fatto premio sulle intrinseche qualità musicali; ma non diversa mi pare la situazione degli AC/DC, arzilli vecchietti australiani con anzianità di servizio uguale a quella della band americana ma anagraficamente appena più giovani (hanno comunque passato abbondantemente la cinquantina). Rispetto ai Kiss, mi sembra di poter dire che gli AC/DC hanno fatto musica complessivamente migliore: si pensi, per esempio, a brani come “Riff raff”, “Whole lotta Rosie” oppure “Hells bells”. Ciò che invece li accomuna è l’assenza – nell’ultimo disco – di quella scintilla di ispirazione che trasformi un prodotto da onesto a memorabile; senza di che, mi sembra inutile ostinarsi a cercare di replicarsi a tutti i costi in un’età in cui – dato anche il genere praticato – non sarebbe male appendere la chitarra al chiodo (e anche i calzoncini, per il vero ormai piuttosto patetici, nel caso di Angus Young)

Qui sotto un esempio dei Kiss più genuini e ruspanti: "100000 years" da un concerto del 1976

venerdì 2 ottobre 2009

La signora ce l'ha panoramica



Anche ieri – per l’ennesima volta nella mia vita familiare – si è verificata la solita storia che proverò a sintetizzare come segue:

1.Cristina, mia moglie, mi chiede di cercare una determinata cosa nello stanzino

2. Io la cerco e non la trovo, per cui torno indietro e le chiedo timidamente e sottovoce se, per caso, è possibile che di quel determinato articolo non ce ne sia più assortimento in casa

3. La risposta invariabile è: “Ne abbiamo a decine” (notare il quantitativo, volutamente esagerato)

4. Io torno nello stanzino e continuo a non trovare la cosa in questione. Chiamo la moglie, le reitero la domanda su dove sia l’oggetto e mi sento rispondere: “E’ lì che ti guarda”

5. Dopo attesa inutile di faticosi tentativi da parte mia, arriva lei, preleva l’oggetto da sotto il mio naso lasciandomi a riflettere sull’inutilità dell’apporto maschile nella vita domestica


Credo sia noto a tutti che l’inveterata incapacità degli esseri umani di sesso maschile a trovare le cose sia dovuta, oltre che alla perfidia delle donne che fanno di tutto per nascondere oggetti come calzini, mutande e flaconi di detersivo, ad un fatto fisiologico ed ancestrale ben dimostrato. In pratica: gli uomini hanno una visione cosiddetta “a cannocchiale” (nessuno equivochi, per favore) le donne invece ce l’hanno “panoramica” (vedi nota fra parentesi precedente); questo perché nella notte dei tempi gli uomini andavano a caccia a procurare il cibo per la famiglia e dovevano inquadrare la preda, mentre le donne dovevano comprendere con un solo sguardo tutta la caverna per sorvegliare la prole dall’assalto di animali feroci. Non sono balle: è tutto provato in modo abbastanza scientifico e disponibile su alcune pubblicazioni di tipo divulgativo, come i bei libri di Allan e Barbara Pease (ovviamente marito e moglie nella vita di tutti i giorni) tipo “Perché le donne non sanno leggere le cartine e gli uomini non si fermano mai a chiedere?” oppure "Perché gli uomini lasciano sempre alzata l'asse del water e le donne occupano il bagno per ore?" (ce ne sono altri, molto divertenti), che mi sentirei di consigliare a tutti.

Poste queste premesse che sembrerebbero indirizzare il problema su un versante scientifico e quindi accettabile da chiunque, si tratta solo di convincere le donne della ragionevolezza del nostro punto di vista: e qui cominciano i problemi, come ognuno può verificare nell’ambito della propria realtà domestica.

Perché non riusciamo a convincere le mogli del fatto che non è colpa della nostra pigrizia intellettuale, bensì del fatto che siamo fatti diversamente? Perché andare sempre a pensare che siamo noi a non voler mai vedere le cose che ci guardano? Forse perché c’è un aspetto di delizioso sadomasochismo che rende particolarmente attraente la vita di tutti i giorni e che fa parte di quel gioco delle parti indispensabile ad ogni intesa riuscita?

Non lo so, e forse non lo saprò mai.

Il mio suggerimento è quindi di continuare così. Siamo autorizzati da Madre Natura a non trovare i calzini che ci guardano e a continuare a procurare prede con (e per) il nostro cannocchiale.

E hony soit qui mal y pense