Immagino che la cosa sarà sfuggita ai più, ma in questi giorni è uscito – e dopo tanti anni di distanza dal precedente – il nuovo album dei Kiss. Aggiungendolo ad altri nuovi album di altri complessi rock (hard, glam o classic che sia) come gli AC/DC, quando non francamente heavy come gli Iron Maiden, abbiamo un dato piuttosto interessante che mi induce a riflettere sul geronto-rock come nuovo evento culturale degli ultimissimi tempi.
Ma kis-sono i Kiss? Io ne devo la conoscenza al già citato Sandro, mio amico di Liceo e curatore di http://citarsi.splinder.com; oggi non lo ammetterà mai, ma ai tempi era un fan piuttosto sfegatato della band.
A stare a quanto afferma la sempre precisa ed affidabile Wikipedia, si tratta di un complesso musicale statunitense, fondato dal bassista Gene Simmons e dal chitarrista Paul Stanley nel 1972 dalle ceneri dei Wicked Lester di cui facevano parte. Al gruppo si unirono poi il chitarrista Ace Frehley e il batterista Peter Criscuola, poi più noto come Peter Criss. Il complesso ha praticato diversi generi: Wikipedia parla di hard rock, glam rock, heavy metal, pop metal, hair metal e shock rock, ma io aggiungerei anche la disco music che ha sicuramente influenzato il brano con cui si sono fatti maggiormente conoscere dal grande pubblico della radio, e cioè “I was made for lovin’ you”. La loro fama si è basata soprattutto sull’eccessivo make up facciale volto a ricreare dei personaggi che, sul palcoscenico, ne combinavano di ogni: gli sputi simil-ematici di Gene Simmons, peraltro dotato di lingua lunghissima (e non solo la lingua, a giudicare dalle 5600 donne con cui si sarebbe a suo dire accoppiato nei sinora 60 primi anni della sua vita), scintille (ebbero addirittura in dotazione la macchina per scintille del primo film di Frankenstein del 1931), fumo e fuoco e altre dotazioni che, teoricamente, con la musica c’entrerebbero pochino. Abbandonarono il make-up nel 1983 ma vi ritornarono nel 1996; cambiarono varie volte i due elementi del gruppo che non facevano parte della premiata ditta Simmons-Stanley; pubblicarono l’ultimo disco in studio prima dell’attuale nel 1998 (si trattava di “Psicho Circus”).
Complessivamente una band di notevole successo fra gli appassionati, che ha sempre suonato una bella musica trascinante, che ha sempre puntato su uno spettacolo un po’ kitsch ma indubbiamente d’effetto e che – possiamo dirlo sommessamente? – non ha inciso in modo particolarmente rilevante sulla Storia della Musica. Se non ci fosse stato il trucco esagerato e le allusioni erotiche; se non ci fosse stata l’ambiguità sul nome (si diceva che Kiss fosse l’acronimo di Knight In Satan’s Service), peraltro mai smentita completamente; se non ci fossero state quelle due S finali che somigliavano, nella grafica, ad altre e più tenebrose SS di rimembranza nazistoide; se non ci fossero state le alluvioni di sangue finto di Gene Simmons ad ogni concerto; se fosse mancato tutto ciò – insomma – i Kiss se li sarebbero filati davvero in pochi. Invece così riuscirono a ottenere molto più credito di quanto meritassero i loro motivi, non sempre orecchiabili e non sempre di ottima lana.
Avremmo pianto disperati se la loro produzione discografica si fosse fermata al 1998? Francamente no; anzi, ci sarebbe stato – per loro – di che leccarsi abbondantemente le dita, considerando che con le non moltissime idee (musicali) messe insieme avevano comunque ottenuto un certo numero di dischi di platino.
Sentivamo il bisogno di un nuovo LP? Ancora una volta, la risposta non può che essere negativa. Il tempo li ha abbondantemente superati, gli appassionati di un tempo sono invecchiati con loro e i giovani di oggi – il teorico target della loro musica – sono troppo smaliziati per farsi circuire dal Barnum che mettono in piedi ad ogni concerto.
Il disco è brutto? Sì e no. Un bel rockaccione ruspante, con qualche finezza di mestiere, ma nessuna ispirazione che renda almeno un brano orecchiabile. Non a caso, i nostri hanno assemblato una specie di “paghi uno, prendi tre”: il disco con i brani nuovi, un altro disco con un’antologia di vecchi successi e un dvd con estratti di concerti. Esaurita in poco più di dieci minuti la curiosità di vedere cosa riesce a combinare ancora la gloriosa band di vecchietti, si corre subito al cd di evergreen per godersi ancora “Detroit rock city” e “Rock’n’roll all nite” che non saranno i Grandi Capolavori della storia del rock ma che, almeno, hanno il pregio della riconoscibilità immediata.
Il caso dei Kiss è particolarmente emblematico perché c’è sempre stato l’aspetto coreografico che spesso ha fatto premio sulle intrinseche qualità musicali; ma non diversa mi pare la situazione degli AC/DC, arzilli vecchietti australiani con anzianità di servizio uguale a quella della band americana ma anagraficamente appena più giovani (hanno comunque passato abbondantemente la cinquantina). Rispetto ai Kiss, mi sembra di poter dire che gli AC/DC hanno fatto musica complessivamente migliore: si pensi, per esempio, a brani come “Riff raff”, “Whole lotta Rosie” oppure “Hells bells”. Ciò che invece li accomuna è l’assenza – nell’ultimo disco – di quella scintilla di ispirazione che trasformi un prodotto da onesto a memorabile; senza di che, mi sembra inutile ostinarsi a cercare di replicarsi a tutti i costi in un’età in cui – dato anche il genere praticato – non sarebbe male appendere la chitarra al chiodo (e anche i calzoncini, per il vero ormai piuttosto patetici, nel caso di Angus Young)
Qui sotto un esempio dei Kiss più genuini e ruspanti: "100000 years" da un concerto del 1976
Ma kis-sono i Kiss? Io ne devo la conoscenza al già citato Sandro, mio amico di Liceo e curatore di http://citarsi.splinder.com; oggi non lo ammetterà mai, ma ai tempi era un fan piuttosto sfegatato della band.
A stare a quanto afferma la sempre precisa ed affidabile Wikipedia, si tratta di un complesso musicale statunitense, fondato dal bassista Gene Simmons e dal chitarrista Paul Stanley nel 1972 dalle ceneri dei Wicked Lester di cui facevano parte. Al gruppo si unirono poi il chitarrista Ace Frehley e il batterista Peter Criscuola, poi più noto come Peter Criss. Il complesso ha praticato diversi generi: Wikipedia parla di hard rock, glam rock, heavy metal, pop metal, hair metal e shock rock, ma io aggiungerei anche la disco music che ha sicuramente influenzato il brano con cui si sono fatti maggiormente conoscere dal grande pubblico della radio, e cioè “I was made for lovin’ you”. La loro fama si è basata soprattutto sull’eccessivo make up facciale volto a ricreare dei personaggi che, sul palcoscenico, ne combinavano di ogni: gli sputi simil-ematici di Gene Simmons, peraltro dotato di lingua lunghissima (e non solo la lingua, a giudicare dalle 5600 donne con cui si sarebbe a suo dire accoppiato nei sinora 60 primi anni della sua vita), scintille (ebbero addirittura in dotazione la macchina per scintille del primo film di Frankenstein del 1931), fumo e fuoco e altre dotazioni che, teoricamente, con la musica c’entrerebbero pochino. Abbandonarono il make-up nel 1983 ma vi ritornarono nel 1996; cambiarono varie volte i due elementi del gruppo che non facevano parte della premiata ditta Simmons-Stanley; pubblicarono l’ultimo disco in studio prima dell’attuale nel 1998 (si trattava di “Psicho Circus”).
Complessivamente una band di notevole successo fra gli appassionati, che ha sempre suonato una bella musica trascinante, che ha sempre puntato su uno spettacolo un po’ kitsch ma indubbiamente d’effetto e che – possiamo dirlo sommessamente? – non ha inciso in modo particolarmente rilevante sulla Storia della Musica. Se non ci fosse stato il trucco esagerato e le allusioni erotiche; se non ci fosse stata l’ambiguità sul nome (si diceva che Kiss fosse l’acronimo di Knight In Satan’s Service), peraltro mai smentita completamente; se non ci fossero state quelle due S finali che somigliavano, nella grafica, ad altre e più tenebrose SS di rimembranza nazistoide; se non ci fossero state le alluvioni di sangue finto di Gene Simmons ad ogni concerto; se fosse mancato tutto ciò – insomma – i Kiss se li sarebbero filati davvero in pochi. Invece così riuscirono a ottenere molto più credito di quanto meritassero i loro motivi, non sempre orecchiabili e non sempre di ottima lana.
Avremmo pianto disperati se la loro produzione discografica si fosse fermata al 1998? Francamente no; anzi, ci sarebbe stato – per loro – di che leccarsi abbondantemente le dita, considerando che con le non moltissime idee (musicali) messe insieme avevano comunque ottenuto un certo numero di dischi di platino.
Sentivamo il bisogno di un nuovo LP? Ancora una volta, la risposta non può che essere negativa. Il tempo li ha abbondantemente superati, gli appassionati di un tempo sono invecchiati con loro e i giovani di oggi – il teorico target della loro musica – sono troppo smaliziati per farsi circuire dal Barnum che mettono in piedi ad ogni concerto.
Il disco è brutto? Sì e no. Un bel rockaccione ruspante, con qualche finezza di mestiere, ma nessuna ispirazione che renda almeno un brano orecchiabile. Non a caso, i nostri hanno assemblato una specie di “paghi uno, prendi tre”: il disco con i brani nuovi, un altro disco con un’antologia di vecchi successi e un dvd con estratti di concerti. Esaurita in poco più di dieci minuti la curiosità di vedere cosa riesce a combinare ancora la gloriosa band di vecchietti, si corre subito al cd di evergreen per godersi ancora “Detroit rock city” e “Rock’n’roll all nite” che non saranno i Grandi Capolavori della storia del rock ma che, almeno, hanno il pregio della riconoscibilità immediata.
Il caso dei Kiss è particolarmente emblematico perché c’è sempre stato l’aspetto coreografico che spesso ha fatto premio sulle intrinseche qualità musicali; ma non diversa mi pare la situazione degli AC/DC, arzilli vecchietti australiani con anzianità di servizio uguale a quella della band americana ma anagraficamente appena più giovani (hanno comunque passato abbondantemente la cinquantina). Rispetto ai Kiss, mi sembra di poter dire che gli AC/DC hanno fatto musica complessivamente migliore: si pensi, per esempio, a brani come “Riff raff”, “Whole lotta Rosie” oppure “Hells bells”. Ciò che invece li accomuna è l’assenza – nell’ultimo disco – di quella scintilla di ispirazione che trasformi un prodotto da onesto a memorabile; senza di che, mi sembra inutile ostinarsi a cercare di replicarsi a tutti i costi in un’età in cui – dato anche il genere praticato – non sarebbe male appendere la chitarra al chiodo (e anche i calzoncini, per il vero ormai piuttosto patetici, nel caso di Angus Young)
Qui sotto un esempio dei Kiss più genuini e ruspanti: "100000 years" da un concerto del 1976
Kiss? Non so di cosa parli.
RispondiElimina;)
In ogni caso, carino questo tuo omaggio alla rock band più tammarra mai apparsa sulle scene; e concordo con te, nessun bisogno di un nuovo LP, anche se così dicendo denunciamo la nostra età, visto che ora si dice CD.
Una curiosità: suonarono a Milano nel 1981 al Vigorelli; gruppo di supporto: gli ancora sconosciuti Iron Maiden, al lancio del loro secondo album (cantante, il tremendo Paul Di Anno); beh, in pochi anni si sarebbero mangiati fama e successo dei Kiss.
(Non c'ero... me l'hanno detto. Davvero!)
Non è tutto, o mio Maestro: ho anche aggiunto un video del Tubo con un bel "100000 years" del 1976 e con un signor assolo di Peter Criss alla batteria. Non è proprio la stessa versione dell'LP, ma ci tira molto vicina.
RispondiEliminaAdesso sei assolutamente libero di commuoverti pensando alla tua gioventù, naturalmente sotto lo sguardo ironico di Gaia...