lunedì 15 febbraio 2021

Duro e puro

 


Vorrei scrivere qualche considerazione in merito all’ennesima richiesta di lockdown duro avanzata dal solito Walter Ricciardi (il quale peraltro, un anno fa, diceva che il nuovo coronavirus era meno pericoloso dell’epidemia dell’influenza).

Non entro in meriti politici, perché mi sembra che la vicenda sia cavalcata abbastanza da diverse fazioni che stanno mettendo in campo interessi che poco hanno a che fare con la salute pubblica.

Non entro nemmeno in meriti epidemiologici e statistici, sui quali non ho nessuna esperienza professionale; mi limito a ragionare per conto mio, proponendo la riflessione su una serie di punti.


Primo: la pandemia ha fatto danni non solo sulla salute, ma anche sull’economia. Danni gravissimi, probabilmente incalcolabili, forse paragonabili agli effetti devastanti di una guerra mondiale. Credo che sia questa la ragione per cui i governi dei paesi meno abbienti (il nostro, per esempio) hanno provato a confrontarsi con la possibilità di navigare a vista dopo la “prima ondata”, quella appunto del lockdown duro e generalizzato che, di fatto, NON ha eliminato il virus; ne ha ridotto l'impatto, certo, ma provvisoriamente e permettendo la sua sopravvivenza in un "santuario" che ha fatto da serbatoio. 
In compenso, il lockdown ha fatto fallire un numero spropositato di persone che non sono state aiutate adeguatamente da chi avrebbe dovuto sovraintendere a un periodo tanto difficile


Secondo: il lockdown, in altre nazioni (Germania, per esempio), viene adeguatamente supportato dallo Stato. 
Da noi, i cosiddetti “ristori” erogati (in ritardo e in scarsa misura) per le categorie penalizzate, sono le proverbiali quattro pelli di peperone, che non servono a niente e a nessuno. Da noi, cade il governo. Da noi, i cittadini vengono abbandonati a sé stessi. Abbiamo la forza di sopportare una chiusura totale di almeno tre mesi, visto che i due mesi dell’anno scorso non sono serviti a niente (il miglioramento dei dati è stato solo transitorio…? Questa secondo me è la domanda vera cui dare una risposta


Terzo: il rischio della “terza ondata” è sicuramente reale, ci mancherebbe, ma attualmente siamo in una fase di oggettiva, discreta gestibilità di un contagio che – in questo momento – per preoccupante che possa essere, non ha i numeri di qualche mese fa. Per proporre una misura così drastica e drammatica, devi essere molto, molto credibile; e non in modo retrospettivo, ma prospettico, portando dati statistici attendibili
E questi dati mancano, perché non abbiamo la tracciabilità


Quarto: a questo proposito, Ricciardi afferma che un lockdown duro ma breve permetterebbe di riprendere il tracciamento che attualmente sfugge. Anche Nino Cartabellotta, della Fondazione GIMBE (altro grande sponsor del lockdown), afferma: Chiudere tutto per 2 settimane significherebbe abbassare la curva per poter riprendere il tracciamento
, ma secondo Cartabellotta, «non tutte le regioni sono pronte all’attività di testing e tracciamento. Dobbiamo decidere se siamo disponibili ad accettare una restrizione maggiore per abbassare la curva, oppure se accettiamo di avere un 2021 che andrà avanti con stop & go».


Quinto: la concentrazione delle risorse  sul solo Coronavirus come unico problema sanitario meritevole di cure, ha portato, come conseguenza, il peggioramento di altre malattie - i tumori, per esempio - che sono state trascurate, sia come diagnosi che come terapia e, ovviamente, follow-up. 
Il peggio si è verificato proprio durante e subito dopo il lockdown. I cosiddetti “centri hub“ (centri di elevata specializzazione nella diagnosi e cura di determinati cluster di patologie), si sono rivelati ampiamente insufficienti alla gestione delle patologie non Covid. Credo che solo fra molti anni riusciremo a fare il bilancio di tutte le morti che si sono verificate per colpa del Covid come causa indiretta di mancato accesso alla diagnosi e alle cure


 Sesto: il lockdown può durare due, tre, quattro, dieci settimane, anche venti o cento, tutto il tempo che vogliamo. Ma prima o poi finisce. E, a quel punto, è inevitabile che alla riapertura delle stalle, il bestiame si riversi in massa sull’alpeggio, con gli inevitabili assembramenti che abbiamo visto l’estate scorsa, quella dominata – in guisa di simbolo squisitamente italico – dalla decerebrata di “Non ce n’è coviddi”. Il problema poi non è solo nazionale: porti, aeroporti e stazioni ferroviarie permetteranno l’ingresso di tutte le varianti, quelle che già conosciamo e quelle che devono ancora arrivare, ma che si stanno già selezionando sulla popolazione di tutto il mondo