mercoledì 24 agosto 2011

Taccagni liguri (e non solo...)

Questa mattina, al supermercato di Celle, il conto della spesa è di euro 9.24. Mollo il deca e poi frugo nella monetaglia, in cerca di quei centesimi che - in tutta Europa - servono solo qui, unicamente in questa regione i cui abitanti sono noti (e a ragione, garantisco) per essere veri micragnosi.
Non so chi di voi abbia esperienza di Liguria: per parte mia, io so che quando vengo qui devo riabituarmi a queste monetine del cavolo che, dalle mie parti, non si usano più, visto che i conti vengono limati alla decina superiore o inferiore, a seconda. 
In Liguria invece no, come mi fu fatto notare una volta da un cassiere, il che mi indusse (e mi induce spesso tuttora) a pagare il centesimo con una moneta da un euro, se non addirittura con una banconota, solo per dispetto e per costringere il suddetto cassiere a fare i numeri per darmi il resto. Che poi, ovviamente, gli riconto sotto il naso. 
Ma oggi c'è qualcosa di più. Vado a prendere il Corriere ed ecco in prima pagina un rimando a ben due articoli interni sui centesimi che nessuno vuole (o vorrebbe, a seconda della regione). 
Il tutto nasce dalla giusta polemica del parroco di Atella (Potenza) che avrebbe insistito nel corso dell'omelia sulla taccagneria dei suoi fedeli che mettono le monetine da 1 o 2 centesimi nella buschetta delle offerte. Scopro che, al di là delle consuetudini (il mio panificio da cui mi servo nella città in cui abito non le distribuisce né le accetta più da anni), ci sono alcuni Stati come la Finlandia che le hanno abolite de iure da subito. Mi sembra giusto: pesano, valgono poco, ma soprattutto non possono essere considerate unità di misura di nessun costo della nostra vita. 
Ma ecco che invece tale Gianni Toniolo, nella pagina dei commenti, ricordando nientemeno zio Paperone come esempio di capitalista che ha costruito la sua fortuna dal primo decino (cioè 10 centesimi: per quanto, è già dieci volte di più), dà al parroco di Atella di "poco saggio" e "scortese" per aver rifiutato le monetine di rame. Io credo che questa sia una visione un filo ipocrita. 
Non ci credete? Facciamo due conti: un giornale come quello su cui Toniolo ci ammanisce la sua moralità costa 120 di quelle monetine che lui raccomanda di capitalizzare; un cellulare come quelli che i fedeli di Atella fanno squillare durante la messa costa da 40000 a 70000 (a seconda dei modelli) di quelle monetine; una vacanza alle Maldive, per cui i fedeli del parroco di Atella possono arrivare a fare un mutuo, anche 600000, esclusi gli extra. 
Vogliamo stare sul pratico, sulla vita di tutti i giorni? Per una spesa di base, occorrono 1000 monetine di rame; quante messe ci vogliono per tirarle su? E parliamo solo di cibo, tralasciando il resto... Professor Toniolo, ci stiamo forse prendendo per le terga? O facciamo finta di non sapere che la carità non è mai in cima alla lista delle priorità di nessuno? E che ci ricordiamo dei ramini solo quando andiamo a messa?
Cos'è che ci fa pensare che il nostro prossimo possa costruire una fortuna partendo dalle monetine che noi non utilizziamo e disprezziamo?... 
È vero: tutto il mondo è paese, ma non tutto il mondo è Liguria. 
Fortunatamente

domenica 21 agosto 2011

La Padania fra Vailate e Treviglio


Mi fa un po' specie sentire Bossi che ritira in ballo l'indipendenza della Padania perché "l'Italia va male".
Specie? No, scusate: il termine giusto è "incazzare".
Va bene: l'Umberto, ultimo dei veri comunisti di una volta (cresciuto, lo ricordo, nel gruppo del "manifesto"), tiene al consenso del proprio elettorato che si è sentito tradito dalla Lega proprio sul punto più nevralgico, e cioè l'indipendenza non già della Padania da Roma, ma della frazione di residenza dal comune di pertinenza.
Un esempio? Tanti anni fa, uscendo a cena con l'allora mia fidanzata Cristina siamo andati alla famosa Pizzeria Bar Sport di Vailate. Provincia di Cremona. L'errore tattico fu andarci con una macchina bianca targata Bergamo (comprata usata a Treviglio, peraltro al confine con Vailate). Risultato? Esco dalla pizzeria e trovo la scritta "Pirla" a caratteri cubitali in vernice spray nera sul cofano bianco della mia Citroen BX.
Siamo d'accordo: questa è una nobile guerra di province, ma queste province appartengono tutte alla grande e nobile nazione padana.
Questa è la Padania che Bossi vorrebbe unire; e questo, se vogliamo, sarebbe anche l'aspetto folkloristico della vicenda.
Ma ce n'è qualcun altro più serio:
Bossi parla da leader (bollito) di un partito di governo. Non solo: è ministro delle riforme istituzionali di tale governo, come Calderoli lo è della semplificazione, anche se non mi vengono in mente riforme istituzionali a firma Bossi né semplificazioni a firma Calderoli; quelle dell'abolizione dei comuni piccoli e delle province sarebbe la prima, e infatti non l'hanno scelta loro e non sanno come venderla ai loro elettori. Ora, se con le parole sconfessi davanti ai tuoi elettori quello che, coi fatti, hai ratificato al Consiglio dei Ministri, o sei ottenebrato o sei in malafede.
In entrambi i casi, non sarebbe male se te ne andassi a casa. E così:
  1. potresti parlare al tuo popolo in delirio da leader politico, e non da ministro dello stato che vorresti abbandonare; non, cioè, come pietanza di quel piatto in cui sputi
  2. ci libereresti dallo sgradevole onere di pagarti lo stipendio per qualcosa che non fai
  3. potresti finalmente provare a rendere indipendente la Padania; e, se ce la fai, a unificarla
E qui saranno i veri cazzi: chi farà marciare uniti sotto il sole delle Alpi i cittadini di Treviglio con quelli di Vailate? Bergamaschi e cremonesi o (Dio non voglia) bresciani?...
Se ci riuscirà, mi aspetto il risarcimento per la mia vecchia BX bianca

domenica 14 agosto 2011

Il vento caldo dell'estate

Giorno di bucato, oggi, a Celle Ligure.
Ammiro i boxer del mio pigiama stesi ad asciugare e rimango colpito da un pensiero che mi affretto a partecipare alla consorte.
Strano destino, quello delle mutande: sono l'indumento più nascosto fra quelli con cui ci copriamo; eppure sono sempre bersagliate da due tipi di vento: quello esterno, come quando vengono stese; quello interno, durante i momenti di maggior relax.
L'uno - il primo - asciuga; l'altro può inumidire.
L'uno è profumato, ma può far ammalare (poni caso che te lo prendi addosso quando sei un po' indisposto); l'altro è sempre segno di benessere, e non occorre citare il vecchio adagio popolare che tutti conosciamo bene.
L'uno ha ispirato poeti e musicisti; l'altro ispira solo frasi non particolarmente eleganti da parte delle consorti che vi vengano inavvertitamente a contatto ("Ma che cazzo avevi stanotte? Hai russato e scoreggiato come un maiale!").
Il primo, in definitiva, emenda i supposti danni del secondo. Ma entrambi - e questo è singolare, e mi colpisce - gonfiano l'indumento più nascosto che abbiamo.

Non so a voi, ma a me sembra un'osservazione di tutto rispetto da fare nel disimpegno di una vacanza.
Ma allora, mi (e vi) chiedo, che bisogno c'era di guardarmi disgustata e mandarmi a cagare?