sabato 30 aprile 2011

Feeding brains, training for life

L'anno scorso, in questo stesso periodo, partecipavo al congresso SICO di Milano. Fu un disastro: povertà di contenuti, autoreferenzialità spinta al massimo, sforamenti dei relatori (malcostume questo tipicamente italiano: parlare per 45 minuti quando ne hai a disposizione 12, portare 90 slides e dire continuamente "Ho finito" al chairman che ti rimbrotta). L'unico raggio di luce fu il discorso di Umberto Veronesi: troppo poco per giustificare un congresso. 

Rileggo sul mio iPhone gli appunti presi in altro congresso italiano cui partecipai nel mese di Dicembre: autoreferenzialità (ancora!), maleducazione nella presentazione, continui e untuosi ringraziamenti a comitato organizzatore e moderatori, continuo riferimento a necessità di futuri e fantomatici studi prospettici randomizzati specie in malattie localmente avanzate, quando il retrospettivo ha dimostrato la superiorità di un trattamento, ritardo nell'arrivo in sede congressuale e nell'inizio dei lavori, diapositive scritte in italiano (con ospiti stranieri) e con l'accento al posto dell'apostrofo... appunti in ordine sparso di un partecipante profondamente annoiato dalla reiterazione di cliché ormai insopportabili e squisitamente italiani.
Oggi, invece, ho terminato la partecipazione al congresso ESTES (European Society of Trauma ed Emergency Surgery), organizzato dal mio amico Mauro Zago: un evento di spessore culturale e scientifico decisamente superiore.
Sobrietà nei contenuti, esposti peraltro in modo dinamico e stimolante; sessioni interattive; voglia di confrontarsi con la platea degli uditori, spesso giovani e molto giovani; la lingua inglese che unisce professionisti di tutto il mondo; la gioia di ritrovarsi con la consapevolezza di essere sempre gli stessi e anche meno, perché i ricambi non sono pari per numero alle defezioni. 
Ci si conosce tutti, ormai, e si ha la sensazione di essere in una specie di famiglia. Rivedo la faccia sorridente di Pietro Padalino che, senza baffi, sembra più rotonda; e, per contro, il viso spigoloso e buono da eterno ragazzo di Gregorio Tugnoli, con cui parlo del bel corso di Chirurgia del Politrauma che organizza a Bologna e cui avevo partecipato nel 2003, con quella meravigliosa mangiata di tortellini la sera; i lineamenti da folletto di Piero Chiara e l'andatura dinoccolata di Pietro Bisagni; Michele Carlucci mi stende la mano sorridendo; Hayato che mi abbraccia accogliendo il mio corpaccione nel comodo cuscino della sua pancia e poi Diego, sempre buono e tranquillo; Andrea gira per tutte le sale del congresso a sparare istantanee; e poi c'è Mauro, onnipresente, con le braccia protese sempre in avanti, con gli occhi che ridono, che stimola, provoca, incanta, affabula, da quel meraviglioso scienziato della chirurgia d'urgenza che è, perché è lui che - unico fra tutti noi - è riuscito a elevare la chirurgia d'urgenza al rango di scienza e la tiene sempre viva nei nostri cuori di professionisti che ci occupiamo di "altro" ma che abbiamo un rapporto di odio e amore con l'urgenza, quella cosa strana che - chissà perché - si svolge soprattutto di notte.
Penso a Fabio che dice che la chirurgia d'urgenza scomparirà fra un po' di anni, "costretta" come sarà fra trattamenti non operativi, angiografie e endoprotesi, e forse ha ragione, ma non sarà sempre così per tutto e una milza bisognerà sempre tirarla fuori da una pancia, e avremo sempre paura come la prima volta, quando ognuno di noi si trovò di fronte al proprio primo paziente emorragico con la sensazione che non fosse il momento giusto, e invece no, cazzo, quello era proprio IL momento, era arrivato, e la Vecchia Nemica vestita di nero e con la falce in mano era lì in un angolo della sala operatoria ad aspettare sorridente e silenziosa, e tu lo sapevi, ma tu, per quella volta, gliel'avevi fatta, avevi vinto tu. E ti chiedi come riuscirai a trasmettere questo a chi viene dopo di te, perché un'ernia a uno giovane gliela puoi insegnare, una colecisti anche, per il colon ci vorrà un po' più di tempo, ma per il sangue sai che non potrai fare nulla, perché il giovane arriverà al suo appuntamento con il sangue da solo e, come te, non si sentirà pronto e si dirà che non è il momento, ma lo sarà.
Con Mauro abbiamo diviso tanti momenti e speranze, prima che le strade della vita ci separassero. Sono stato felice di rivederlo alla testa di questo splendido congresso; e, nei miei sogni, c'è l'idea e la speranza che queste strade si possano riunire nuovamente, prima o poi

giovedì 28 aprile 2011

Paulo minora canamus


Ricevo da Armando - e ovviamente pubblico - questo simpatico poemetto dedicato alla seconda squadra di Milano.

Mi fa piacere pubblicarlo per due motivi: il primo è perché sono milanista e godo profondamente delle sconfitte dell'Inter; il secondo è perché ogni tanto bisogna parlare di argomenti più leggeri, e il calcio si presta magnificamente a questa finalità.
Eccovelo; l'autore mi è ignoto. C'è qualche licenza nella prosodia, ma ci si può accontentare:


Dopo il derby non di poco perduto
il martedì vien per loro in aiuto

Grande ottimismo, grande schiamazzo:
"Noi siamo in Champions, voialtri un c****,

Lo Schalke è tedesco e di poco valore
a noi di sicuro parecchio inferiore...

in finale ci andremo senza problemi,
a dire il contrario si è solo blasfemi!"

La disputa parte ed è subito strano
un serbo fa un gol con un tiro lontano

Leonardo ripensa a recenti interviste
riguardo talune situazioni impreviste:

"Un gol come al derby, subito al via
taglierebbe le gambe persino a mia zia"

Pensan di avere ormai in mano la gara
quand'ecco nell'area una grande caciara:

respinto di cùlo un gran colpo di testa
ma Matip la mette, abbassate la cresta!

Si gioca e d'un tratto l'interista ha un amplesso
segna Milito, quel principe cesso!

"Siam troppo forti, dei maghi, dei draghi"
Ma di reti così a miliardi fa Inzaghi.

"Il bomber ritorna, gioiamo, cantiamo..."
ma arriva un fastidio a pervadere l'ano:

Edu si invòla e un rumeno si beve
ed ecco il 2 a 2 nel giro di breve!

Al riposo si va, stanchi e sudati
Leonardo colloquia coi suoi fidi immigrati:

"E' pur sempre corretto che noi siamo i campioni
ma oggi mi sa che passiam per coglioni

Torniamo, orsù, nel rettangolo verde
e onore rendiam al soprannome di mèrde!"

Scossa da siffatta favela giudaica
riprende a giuocare la squadra-discarica

Un sussulto, un tiro di Diego Milito
la palla va fuori, che gol che ha ingerito!

Ora si gran fiducia pare tornata
ma per tale compagine ci sarà l'inculata...

dopo poco, diffatti, va da via el cùl:
segna l'ispanico, Gonzalez Blanco Raul!

La gente oramai è ben triste e indignata
segna l'anfibio... ma è la porta sbagliata!

Il risultato è pesante, la differenza è troppa...
rosso per Chivu! Dopo il derby anche in coppa!

Prosegue il confronto, anche il palo li salva
ma la moglie di Pandev... pure lei è così calva?

Le mèrde in affanno, salvataggio maldestro
Edu la insacca nell'angolo destro!

Di prendere il sesto la paura li assal
ma questo è calcio o lo sport di Nadal?

Fischio finale, la partita è finita
per loro servita una tedesca manìta

Leonardo dichiara, al microfon di Sky:
"Adesso per noi ci saran solo guai"

Nemmeno la Staller fu così inchiappettata..
Bentornata Inter.. ci eri mancata!

venerdì 15 aprile 2011

Gianfranco V.

Gianfranco V. è mancato: me l'ha detto oggi l'amico che me lo portò per un tentativo veramente un po' al limite del possibile, per una malattia che - oggi lo realizzo con più chiarezza - era già scappata al controllo. Mi convinsi della fattibilità di un tentativo chirurgico e mi ci buttai con entusiasmo, un mese fa, e avevo di fronte Antonella e Simona che mi aiutarono con tutto la forza e la splendida umanità di cui sono capaci, ed era un venerdì pomeriggio di fine febbraio. Ci trovammo davanti a più malattia del previsto, ne togliemmo un buon 90% programmando di asportare il resto dopo una bella tornata di chemioterapia. 
Ci sembrò complessivamente una buona strategia; anzi, avemmo pure da ridire sulla gestione di chi ci aveva preceduti, che aveva gettato la spugna con largo anticipo comunicando al paziente che non c'era più nulla fare, e infatti Gianfranco si era buttato su terapie alternative, giusto per avere l'idea di continuare a fare qualcosa, nonostante tutto.
Avevamo fatto i conti senza l'oste. 
Quasi a ricordarci che le nostre sono spesso vittorie di Pirro, Madre Natura ha imposto le sue leggi generando la più spaventosa progressione di malattia che io abbia mai visto. 
In meno di un mese.


Ci sono momenti in cui ci troviamo a riflettere sulla nostra professione, su quella che gli altri definiscono una missione e che, nonostante il mio disprezzo per questo termine applicato alla Medicina, in fin dei conti forse lo è davvero. E' in occasione di circostanze come queste, che mi rendo conto di alcuni aspetti della nostra professione che sono talmente totalizzanti da annullare qualunque altra considerazione. Sì, è vero: ci affezioniamo ai pazienti, vogliamo loro bene, ci preoccupiamo per la loro salute e ci affliggiamo quando le cose non vanno come avremmo desiderato.

Ma non è solo questo. Naturalmente c'è anche la considerazione della inanità dei nostri sforzi quando la malattia come nel caso di Gianfranco galoppa in modo tale da farci riflettere su quanto i nostri sforzi possono essere inutili quando Madre Natura decide di dettare le sue regole. 

Ah, che illusi che siamo, alle volte!...
Il fatto di curare patologie così impegnative come le carcinosi peritonali, neoplasie considerate incurabili sino a poco fa, genera in chi le tratta l'idea di essere entrato in una sorta di salotto buono per pochi privilegiati e iniziati che parlano un linguaggio quasi misterioso. Come essere umano fatto e finito, con tutti i miei pregi e miei difetti, non meglio né peggio di tanti altri come me, non nego di aver sporadicamente pensato di essere arrivato  in posti alle soglie dei quali i miei Maestri si erano fermati.

Eppure non ho mai disconosciuto il potere vero della Natura, che è la sua capacità di porsi come termine ultimo di tutti i nostri sforzi, la sua violenza che immagino non inconsapevole quando decide di farsi beffe della nostra hybris.


Oggi il dottor P.,  quello che l'ha portato  nella nostra sala operatoria, quello che l'ha tenuto per mano in tutto il suo decorso, quello che ha diviso con noi la speranza di poter fare qualche cosa, mi ha ringraziato per la scintilla di speranza che abbiamo provato a offire a Gianfranco. Il quale Gianfranco, qualche istante prima di morire, gli ha anche detto di salutarmi.
Non so se basta a farmi sentire meglio, al termine di una delle settimane più faticose di tutta la mia vita, ma ci proverò: Gianfranco era un uomo sorridente e ottimista, merita che io lo ricordi con allegria

domenica 10 aprile 2011

Ai confini della vita


Sono vecchio, ormai; e non solo del mestiere. La mia età avanzata mi porta ad avere uno spiccato tropismo per i giornali murali, qualcosa che fa parte della tradizione della Sinistra di provincia. Ricordo a Orbetello (Gr) il murale de L'Unità - storico organo del Partito Comunista Italiano - con accanto la pubblicità dei viaggi-pellegrinaggi nella vecchia Unione Sovietica: e io, lettore onnivoro, sbirciavo sempre tutto. 
Oggi, domenica mattina, Sesto San Giovanni, una volta nota come "La Stalingrado italiana". Vicino alla piscina dove Giacomo deve gareggiare c'è il murale di Liberazione, succedaneo della vecchia Unità, ormai ridotto sempre di più non solo nel formato. E lì, in un taglio alto di una pagina qualunque, la notizia che vedete nella foto, quella dell'ennesimo sfregio alla mia professione sempre più schifosa, sempre più bastarda.

Proviamo a riassumere: tre medici romani, tre chirurghi, condannati in via definitiva per omicidio colposo per aver operato una giovane donna ammalata di un cancro al pancreas con metastasi diffuse.
Un caso inoperabile? Non lo so ma, messa così, appare probabile: e quindi, conseguentemente, aver operato una paziente così sembra essere un'idiozia bella e buona. Dico "sembra" perché non conosco esattamente i fatti e non mi fido. La Cassazione, ad ogni buon conto, non si limita a sancire ma si spinge oltre: afferma che operare un paziente che non ha nessuna possibilità di essere curato è deontologicamente scorretto e deve essere punito anche se l'intervento è stato effettuato con il consenso del paziente.
Naturalmente, questa decisione della Suprema Corte aprirà un nuovo fronte nella guerra senza esclusione di colpi contro ai medici. È facile prevedere, a questo punto, una nuova impennata di cause contro i medici che "non guariscono", perché di tumore si continuerà a morire, eccome. E in più ci sarà il problema di fissare un limite alla "curabilità" di una malattia e uno spartiacque con l' "incurabilità".
Chi stabilirà se una malattia sia o non sia curabile? E a che punto della storia clinica del paziente? Varrà per tutte le età o solo per le persone over 70? Varrà solo per gli interventi chirurgici o anche per la chemioterapia? E chi lo dice ai pazienti? E quando, per esempio, si stabiliscono i nuovi confini? Ogni quanto tempo? E su che base, se ci dovremo fermare tutti prima?
Io sono cresciuto professionalmente e filosoficamente con un chirurgo come Leandro Gennari che ha fatto, dello spostamento in là dei limiti di operabilità, non solo una scelta di vita ma quasi una professione di fede, una fede che per me non è nemmeno pagana tanto è profonda. Posso dire di aver imparato tante cose da lui e dal suo esempio, ma una su tutte: guardare oltre.
Nessuno pensa seriamente che sia giusto violare l'integrità fisica e trasformare il paziente in una sorta di animale da esperimento per gratificare l'ego smisurato del medico, ma non si possono buttare queste bombe invocando la deontologia a depositarsi, in guisa di coperta di Linus, sulle mancanze di una legislazione costruita solo sulle sentenze.
Prendiamo le peritonectomie fatte per tumori metastatici: è un argomento per me di massimo interesse, visto che me ne occupo (e non siamo poi così tanti in Italia a farlo) e ci ho anche costruito un sito internet
Sino a poco fa, la carcinosi peritoneale era considerata uno step terminale nella storia naturale di un tumore del colon e nessuno avrebbe pensato di operare i pazienti che ne erano affetti; oggi la peritonectomia con perfusione ipertermica è entrata nella ROL (Rete Oncologica Lombarda) come trattamento di scelta per queste patologie, quando curabili. 
Il problema è che si tratta di interventi difficili e rischiosi, fatti da pochi chirurghi in pochi Centri ben selezionati. E i pazienti che, nonostante gli sforzi, andranno in progressione di malattia o moriranno? L'averli curati si configurerà come una violazione deontologica?
E poi: quando definiamo "curabile" un paziente con carcinosi peritoneale? Certo, abbiamo dei parametri, ma chi dice che questi parametri possano andare bene per tutti?
Negli Anni Sessanta nessuno avrebbe asportato le metastasi al fegato, in particolare in Italia; oggi un mio collega - una delle massime autorità sul tema - arriva anche a toglierne 50 nello stesso intervento. 
È la sua una sfida alla biologia o, come dicono i giudici, alla deontologia? E se la malattia si ripresenta dopo 3 mesi, la "colpa" è sua che ci ha provato o della biologia che, sfidata dall'omuncolo, gli ha ricordato che non ha ancora fra le mani il modo per imbrigliarla e che le sue vittorie sono spesso provvisorie?
E il parere del paziente, in tutto ciò, cosa conta? La giovane donna con 50 metastasi al fegato andrà dal medico che rispetta non la deontologia, ma l'idea che di detta deontologia vorrebbero scrivere i giudici, o da quello che le dice "Ci proviamo"?

C'è un'altra notizia oggi, sempre di area medica, ma questa sul Corriere: entro il 2015 mancheranno circa 8000 medici negli ospedali lombardi. Per le specialità di pediatria e ginecologia è già emergenza, con concorsi che vanno deserti. I direttori dei 6 atenei lombardi hanno aperto una sorta di "comitato di crisi" con il presidente Formigoni.
Nessuno vuol più fare il medico, tanto meno in ospedale.
Strano.
Chissà perché.

domenica 3 aprile 2011

La squadra dei milanesi

Ci sono momenti in cui la squadra per cui tifo arriva ad appuntamenti decisivi nei panni della vittima predestinata. Successe già per esempio nel 1994, finale di Coppa dei Campioni, contro il Barcellona allenato da Cruyff: i catalani si espressero in modo aggressivo nei confronti dei milanisti, preannunciando che avrebbero fatto strame delle nostre ambizioni. Finì 4-0 per noi: due volte Massaro, Savicevic e Desailly.
Lo confesso: era l'unica speranza che mi invogliava a seguire un derby che non mi attirava nemmeno un po' e per cui, prima dell'inizio, avrei sottoscritto il pareggio.
Ieri, sino alle 20.45, andava così; ma ecco che  Dentiera Nera e il Figlio di Mourinho non hanno fatto in tempo a sedersi che erano già sotto, grazie a una geniale intuizione del Genero.
A completare una serata perfetta, il Padre di Leonardo, una delle più miserabili faccedimerda mai apparse sui palcoscenici calcistici italiani e non solo, ridimensionava il proprio ego ipertrofico prendendole in casa contro l'ultima in classifica e costringendo così la dirigenza del Real - pari, per arroganza, solo a quella dell'Inter - a dover ammettere che la fama dell'allenatore che si sono pagati fior di milioni di euro è costruita, in realtà, solo sulle chiacchiere: Guardiola è su un altro pianeta.

E così, cari intertristi, eccovi qui. 
Credevate nella remuntada?
Pensavate di passeggiare vincendo con la chiavica scartata da noi dopo una stagione triste e miserabile?
Ritenevate di poter continuare a vivere di rendita sulle delazioni che vi hanno permesso di acquisire calciatori degli avversari a prezzo di liquidazione?
Volevate continuare a giocare solo contro squadre disfatte e derelitte?
Be', ragazzi, è finita la bazza: scendete dal pero e tornate sulla terra.
Non c'è sempre il culo a sorreggervi quando cadete, come è successo putacaso a Monaco di Baviera due settimane fa. 
Ogni tanto marca male. 
E ieri sera avete visto che, senza il culo, non arrivate da nessuna parte.

Resta un'ultima considerazione da fare, ed è un pensierino rivolto ad un presidente che, recentemente, dopo aver ricevuto l'Ambrogino d'oro dalla cognata (!) - perché i sindaci precedenti giustamente si erano rifiutati di prenderne in considerazione l'autocandidatura - ha avuto la spudoratezza di affermare che il vero milanese è interista.
Come milanese mi sono sentito profondamente offeso da un'affermazione falsa e vigliacca come questa.
L'Inter Football Club, nata nel 1908 da una costola di dirigenti del Milan traditori e secessionisti, salvata ignobilmente dalla serie B nel 1922 grazie a una gabola che già faceva intravedere in filigrana le truffe del futuro presidente nonché ignobile erede di quel poco di tradizione gloriosa che i colori nerazzurri riuscirono a mettere da parte negli Anni Sessanta, perdente predestinata per i vent'anni della mia giovinezza, squadra scarsa e dagli orizzonti limitati, gestita con un provincialismo culturale di bassissimo profilo, non è né mai sarà la squadra dei milanesi.
La squadra di Milano, l'Unica, l'Invincibile, è quella che simboleggio con le immagini qui sotto.
E' una questione di cuore, testa, mentalità, di coscienza del proprio ruolo e del posto che si occupa.
Per arrivare a occupare quel posto, non basta prenderne l'ex-allenatore dilettante che l'anno scorso ha fallito il compito affidatogli; e che, per inciso, ha poco o nullo feeling con la particolare atmosfera di un derby, visto che come allenatore ne ha persi tre su tre.
E anche solo aver pensato di diventare il Milan prendendo Leonardo...be', c'è tutta la spiegazione di un Ambrogino d'oro assegnato dalla cognata del presidente, non vi pare?
Au revoir, les enfants