domenica 29 marzo 2009

Gran Torino

Era - se non ricordo male - la macchina di Starsky & Hutch (quelli veri, Paul Michael Glaser e David Soul, non le patetiche imitazioni di oltre vent'anni dopo).
Evidentemente, per il cinema più che una macchina è un simbolo: lo è anche per l'immenso Clint Eastwood nel suo ultimo film da protagonista, almeno a stare a quello che dice lui (e non so quanto ci sia da credergli).
Una Ford Gran Torino del 1972 giace nel box di Walt Kowalski, reduce della guerra di Corea e pensionato della Ford, fresco vedovo con problemi di comunicazione con figli e nipoti che non capisce e con qualcosa più dell'idea di una morte imminente (ha probabilmente un tumore ai polmoni che sta cercando di negare principalmente a se stesso). Walt vive in un quartiere ormai occupato da asiatici di etnia Hmong: è l'ultimo bianco rimasto a presidiare la propria villetta come un fortino; ma è il vicino peggiore che si possa immaginare in un contesto del genere, perché oltre a essere scontroso e aggressivo, è pure un acceso reazionario ipernazionalista xenofobo. Ci penseranno due ragazzi di una famiglia Hmong vicina a casa sua a fargli cambiare idea, in un vortice emozionale che non racconto per non togliere alle centinaia di lettori di questo blog il desiderio di passarsi due belle ore alle prese con uno di quei film che riconciliano con il cinema.

Film splendido, infatti, spietato ed epico, che ripercorre alcune delle tematiche del vecchio Eastwood giustiziere, e altre più tipiche dell'Eastwood vecchio: fra queste ultime, la paura della morte, la difficoltà nei rapporti con i figli, la solitudine della vecchiaia e il rapporto con i giovani, il superamento dell'incomunicabilità dei pregiudizi, persino il modo più che sospettoso di rapportarsi alla religione (ma, come in Million dollar baby, c'è sempre un prete intelligente che sa farsi strada nel cuore arido del vecchio disilluso).
Forse questo film non arriva alle vette immense di Million dollar baby - manca ovviamente anche l'apporto di Hillary Swank e Morgan Freeman, comunque i due ragazzi che fanno ala al vecchio cowboy sono veramente grintosi - ma si respira un'epopea da Vecchia America, qualcosa che sta finendo sotto la spinta della globalizzazione e di cui il reazionario Eastwood sembra sentire la mancanza. Glielo perdoniamo? In fondo sì: questo film riesce a commuovere per il sorriso disincantato con cui il vecchio e roccioso Clint, dalle mille rughe e dai muscoli d'acciaio, si spoglia dei suoi pregiudizi per diventare il paladino di una famiglia oppressa. E quando spiana la '45 sotto il naso dei balordi arroganti, o quando demolisce a calci un altro vigliacco buono solo a stuprare le ragazzine, noi facciamo ancora il tifo per questo vecchio yankee incartapecorito senza filtro, che fuma mille sigarette e sputa per terra, con gli ultimi pezzi dei suoi polmoni, anche il disprezzo per tutte le ingiustizie

giovedì 26 marzo 2009

Volenti o nolenti


Oggi vorrei citare questo articolo dal sito di “Repubblica” (www.repubblica.it) di oggi:
Non basta essere ubriachi al volante ed aver falciato due persone sul marciapiede per meritare una condanna per omicidio volontario. La Cassazione si oppone di fatto alla linea dura delle procure contro i pirati della strada e conferma una sentenza dei giudici di Salerno che trasformarono in omicidio colposo il reato contestato ad un automobilista ubriaco responsabile della morte di un passante. Le "bravate" dei giovani al volante, spiegano i giudici della suprema corte, sono spacconate, certamente meritevoli di condanna se producono vittime, ma non sono omicidi volontari. Cos’era successo? Era il luglio 2008; i pm salernitani arrestarono per omicidio volontario un giovane romeno che, in pieno centro di Salerno, finì sul marciapiede schiacciando contro la vetrina di un negozio una studentessa di giurisprudenza - Veronica Siniscalco, 28 anni - e il suo fidanzato di 34, Salvatore Alfano. Lui morì sul colpo, lei fu portata in ospedale e operata la cervello. Sull'auto, una vecchia Bmw acquistata appena quindici giorni prima, erano in tre, un muratore di 23 anni al volante, un ragazzo di 17 anni e un loro connazionale. Qualcuno dice che stavano inseguendo uno scooter, hanno perso il controllo della macchina e sono finiti contro il negozio lungo via dei Principati, nel centro della città. La gente voleva linciarli. Al test alcolimetrico l'automobilista risultò positivo. Fu arrestato per omicidio volontario, ma il giudice per le indagini preliminari mutò l'accusa nel meno grave omicidio colposo, ritendo che uccidere un passante da ubriachi non è più grave che investirlo per una distrazione. Interpretazione che indusse la procura a presentare ricorso in Cassazione. I giudici della quarta sezione penale non hanno però condiviso la linea dura dei giudici requirenti e in controtendenza rispetto all'indirizzo recentemente assunto dagli uffici giudiziari, ha ridotto la pena sottolineando gli aspetti "sociologici" del comportamento dell'automobilista. A loro parere, la condotta imprudente dell'automobilista è stata indotta dalla giovane età del conducente e dalla disponibilità di un veicolo di grossa cilindrata. Inoltre, agli occhi degli amici, il giovane doveva dimostrare "la padronanza dell'auto e della strada". Insomma, secondo la Cassazione, il ragazzo "non voleva l'evento": è stato vittima delle circostanze. E sullo stato di ubriachezza, i giudici della Cassazione scrivono infine che è l'alcol che "genera il senso di onnipotenza e può convincere un giovane ad essere invulnerabile". Insomma, anche se ubriacarsi e mettersi alla guida è una scelta, le conseguenze che ne derivano sono involontarie

Questo è quanto.
Giusto o sbagliato che sia, poco conta: così parla la Legge e bisogna adattarsi. Trovo particolarmente suggestiva l’idea che la “giovane età” e la “disponibilità di un veicolo di grossa cilindrata” siano viste come logiche circostanze attenuanti; ma bisogna farsene una ragione. Per non parlare della presenza in macchina degli amici, davanti ai quali il pilota era moralmente costretto a fare bella figura (suppongo che questo includa anche la solita fuga di fronte ai feriti: hai visto mai che la ragazza o gli amici pensino che ti sia rammollito a prestare soccorso alle vittime appena investite!).
Infine, l’idea più suggestiva: è l’alcol a generare il senso di onnipotenza. Quindi è una scusante, un’attenuante, una liberatoria.

Adesso lasciamo per un attimo stare l’idea dell’automobilista ubriaco (e spesso anche tossico, ma non voglio aggiungere troppi bias al ragionamento) e consideriamo l’idea di una pistola carica. Da sola non fa niente, ma se qualcuno l’impugna di danni ne può fare, eccome.
Ora, immaginiamo che questo qualcuno sia “di giovane età”, magari in compagnia di alcuni amici o “colleghi di lavoro” davanti ai quali è “moralmente costretto a fare bella figura”. Aggiungiamoci l’idea che la pistola – magari d’ordinanza – sia di grosso calibro e ricordi da matti quella dell’Ispettore Callaghan che ancora esalta molti giovani. Quale potrebbe essere, usando una pistola, il corrispettivo di andare a 120 all’ora ubriaco perso, di tirare sotto due ragazzi e di scappare via dalle proprie responsabilità togliendo ad un ferito grave anche l’ipotetica possibilità di farcela con un soccorso tempestivo? Per esempio impugnare la suddetta pistola e sparare in direzione di un gruppo di tifosi che si stanno prendendo a pugni in un’area di servizio. Uno Spaccarotella qualunque, insomma: uno per la cui incriminazione per omicidio volontario nessuno trova da eccepire.
Si può onestamente affermare che ci sia stata maggior volontarietà in questo caso che in quello dell’automobilista ubriaco che va come un pazzo per fare il figo con gli amici, tira sotto due ragazzi innocenti e scappa via?
Secondo me, no.
C’è una responsabilità grave, pesante e inequivocabile in chi “impugna” l’automezzo come un’arma, sapendo già di principio che non avrà sufficiente padronanza dei propri riflessi: e non è diversa dalla responsabilità di chi spara in mezzo alla folla. E la responsabilità è ancora maggiore se, una volta commesso l’atto, il responsabile fugge e, di fatto, nega alla vittima anche la residua chance di salvarsi la vita. Scaricare de iure il peso delle responsabilità di chi usa l’automobile come un’arma, cercando giustificazioni sociologiche, è un atteggiamento incomprensibile: l’automobile è stata usata come un’arma – lo ripeto – da uno che consapevolmente si è messo in condizioni di non essere completamente padrone si se stesso, quindi pericoloso per se stesso e per gli altri. Non completamente compos sui, dicevo, ma almeno parzialmente sì: quanto basta, cioè, per scappare vigliaccamente, ed è questo l’aspetto più odioso di questa vicenda e quello che dovrebbe essere represso con maggior decisione.
Un soccorso rapido, tempestivo può essere l’unica chance di salvare la vita.
Negarlo ad una vittima per fuggire dalla responsabilità è una manifestazione di consapevolezza criminale che non può essere giustificata: questo è omicidio volontario, tanto quanto quello di Spaccarotella

martedì 24 marzo 2009

La Golia del Prof. Minari


Appassionato come sono delle varie manifestazioni in cui l'essere umano dà il peggio di sé, è ovvio che segua con discreto interesse il gran finale di quella kermesse che è "Amici" di Maria De Filippi. Non tanto per la trasmissione in sé - peraltro astuta e ben fatta quanto a quello che si prefigge - quanto per le ripercussioni che detta trasmissione ha sul quotidiano. Infatti, al di là della banale constatazione che il vincitore dell'anno scorso - il piccolo putto di Cagliari Marco Carta - è anche colui che ha vinto il Festival di Sanremo di quest'anno, c'è da rilevare che il taglio della trasmissione permette di cogliere un interessante spaccato di come la gioventù odierna si rapporterebbe agli adulti, specie se detti adulti si pongono nel ruolo di insegnanti. E qui è necessario mettere qualche piccolo distinguo.

La settimana scorsa, in uno sprazzo di lucidità (di solito mi addormento sul divano dopo ben 10 minuti di trasmissione) ho colto un'interessante querelle fra il personaggio più odioso di quest'anno - tale Valerio, dai boccoloni neri, aspirante cantante, anch'egli sardo - e una delle docenti, di nome Grazia Di Michele, di professione cantante, da lui apostrofata come "buffona". Ora, anziché tirargli un calcio nel culo e fargli fare un volo plastico fuori dalla trasmissione, ci si sono messi tutti a sollevare una serie di distinguo mentre il ragazzotto - novello Franti - continuava ad esibire la faccia da schiaffi che tanto manda in visibilio le ragazzine. Tutti tranne uno(a), ad onor del vero: Mauro Coruzzi, in arte Platinette, regina della Drag Queen italiane, dotato(a) di moltà più dignità rispetto alle mezze figure che popolano queste trasmissioni.
Comincio ad essere sufficientemente vecchio da guardare con un po' di irritazione questi ragazzini che mancano di rispetto agli adulti; ed è facile per me fare il paragone con gli studenti di medicina, che arrivano al briefing mattutino con tutta la calma dell'universo (ne ho cuccati un paio che si dicevano "Tanto per un quarto d'ora di ritardo non muore nessuno") e che danno del tu ai vecchi, cosa che io - ai tempi - mai e poi mai mi sarei permesso, tanto più ad un Aiuto, figura pressoché inavvicinabile. Ti danno del tu, dicevo: in compenso non sanno una fava, ed è facile fargli abbassare le orecchie sottoponendoli ad un fuoco di fila di domande di anatomia e fisiologia che danno al piccolo arrogante di turno l'esatta misura dei quintali di merda che dovrà ingoiare prima di potersi ancora lontanamente rapportare al proprio interlocutore. Il vecchio capitano Billa, della Caserma "Cesare Battisti" di Trento, avrebbe detto: "Missile banfante! Sei qui da ieri con decorrenza domani e hai anche il coraggio di parlare?".

Ma chi mi piace maggiormente ricordare in questo momento è il Prof Paolo Minari, insegnante di Educazione Fisica alla fine degli Anni Settanta al Liceo Ginnasio Carducci di Milano. Me lo ha fatto tornare in mente il sito www.carducciani.org che presenta, fra le altre cose, un ricordo di questo straordinario educatore: il miglior preparatore atletico che abbia mai conosciuto, e faceva lezione in giacca e cravatta! Ve lo posto preciso:

"Quarta ginnasio. Prime lezioni. Il professore di ginnastica è ancora per me un emerito sconosciuto.

Per creare una sana competizione il professore propone una gara a cronometro sul più veloce alla pertica.
"Primo premio .... UNA GOLIA" che tira fuori dalla tasca e alza come il prete con l'ostia.

Evidentemente mi scappa un sorriso perchè lui mi si avvicina, fissa i suoi occhi nei miei a distanza di dieci centimetri e mi sibila: "Quando tu vincerai una mia Golia potrai dire di essere un uomo, non prima!".
Abbasso gli occhi, tento di vincere quella golia ma non ci riesco.
Ne vinsi solo una in cinque anni, mi sembra in seconda liceo.

Altro episodio: nello spoglatoio, dopo una lezione faticosa in primavera inoltrata. L'aria è resa olfattivamente "pesante" dai sudori sportivi. Il prof, si mette a girare per lo spogliatoio spruzzando uno spray dedodorante gridando "Lavatevi al mattino, anche dove il prete dice di non toccarvi!".
Era fatto così!

Altro piccolo flash:
Quando individuava un "bullo" in una classe, lo ridimensionava agli occhi della intera classe proponendo ai ragazzi una gara con il "bastone di Jeagher": si trattava di tenere a braccia tese avanti al petto una sbarra di ferro del peso di pochi etti; all'inizio pesava oggettivamente solo qualche etto ma via via .... il peso diveniva insopportabile per una nota legge della fisica.
Il "bullo" ricorrentemente perdeva, spesso di fronte ad un ragazzo mite ma di carattere (quello vero).

Erano i suoi metodi, che venivano dal buon senso e da un grande amore per i suoi ragazzi.

Gabriele Montella, maturità 1966, sezione A"

Personalmente non mi ricordo di aver vinto una Golia, ma un pezzetto di quello che sono lo devo anch'io a quel personaggio che, ci fosse ancora nelle nostre scuole, avrebbe fatto strame di questi bambolotti arroganti ed ignoranti. "Amici" di Maria De Filippi non è sicuramente un modello di istituzione scolastica, ma riconosco nei suoi frequentatori molti degli studenti con cui mi confronto io e cui mai e poi darei la Golia del Prof. Minari.
Avete così da correre, ragazzi...

lunedì 16 marzo 2009

Il Prodino


C'è chi ricorda, e non senza ragione, che Romano Prodi ha sconfitto Berlusconi due volte su due che ha partecipato alle tornate elettorali. E' anche vero, però che nessuno dei due governi che ha presieduto ha avuto vita lunga, e questo nonostante (o forse proprio per questo) avesse alle spalle una coalizione che esprimeva tutto l'arco della Sinistra.
Infatti: la prima volta l'ha freddato il suo compagno di squadra D'Alema, ansioso di mettersi a capo del governo senza il voto del popolo; la seconda volta ci hanno pensato prima il rifondarolo Turigliatto e poi l'ex-DC Clemente Mastella da Ceppaloni, anch'essi entrambi della stessa squadra, a dimostrazione che chiamare prima Ulivo, poi Unione un'alleanza governativa del genere, era stata una singolare dimostrazione di ottimismo.

E' alla luce di quanto sopra che sembra piuttosto strana la proposta che il redivivo Prodi, che per l'occasione abbandona momentaneamente i suoi impegni di nonno, sente il bisogno di dare all'erede Franceshini: di abbandonare i propositi veltroniani di correre da solo e di rispolverare l'Unione (o Ulivo che dir si voglia) perché uniti si vince.
Ma uniti a chi, benedetto?
A chi te l'ha già rinvangato in quel famoso posto?
A chi è stato depennato dal Parlamento a titolo di ringraziamento da parte dell'elettorato che ha capito benissimo da che parte stava la colpa?
E poi, anche ammesso che si riesca a vincere unendosi nuovamente a Mastella e sinistri vari, non è che il cimento finisca lì: bisogna governare. Che si fa, si lascia da parte Ferrero e i ceppalones per appoggiarsi nuovamente ai pannoloni dei senatori a vita?
Santa pace, ma non gliel'hanno detto che le riedizioni di programmi fallimentari sono destinate a fallire nuovamente? Non l'ha già vissuto a sufficienza sulla propria pelle?
Va bene levarsi dalle palle Berlusconi, ma non si può pensare a soluzioni meno fallimentari?
L'ultima cosa di cui sentiamo la necessità, è del prodino riscaldato

domenica 15 marzo 2009

Stragi


Due elementi di questo fine settimana riportati dal TG serale attirano la mia attenzione:
  1. la solita serie di incidenti stradali ormai tristemente noti come "Le stragi del sabato sera". Gli ingredienti sono sempre gli stessi: rincoglionimento in discoteca sino alle 4-5 del mattino e oltre, un bel cocktail di coca e alcol a velocità pazzesca sulle strade e l'idea che il Destino te la mandi sempre e comunque di culo. Non è così, posso testimoniarlo io che li vedo, a pezzi, nel Pronto Soccorso del mio ospedale quando mi viene richiesto di rimetterli insieme. E qualcuno si incazza pure se ci metto il mio tempo a farlo
  2. il solito bambino sbranato dai cani, in questo caso venti, randagi e ben noti alla cittadinanza locale, in quanto autori di qualche precedente agguato. Nessuno ha pensato di fermarli perché - si sa - non è mica colpa degli animali se mordono, perché gli animali non sono cattivi di loro. Stavolta ce l'hanno fatta a uccidere: tanto è bastato alle solerti forze dell'ordine locali per prenderli tutti e portarli al locale canile ove, nei prossimi giorni, saranno soppressi
Cosa accomuna questi eventi che si ripetono con sconfortante continuità?
Semplice: la prevedibilità.
Io so già di default che quando mi portano un ragazzo che si schianta in moto o in macchina alle 5 di domenica mattina, lo troverò invariabilmente imbottito di coca e di alcol. E m'incazzo, perché lo scempio di una vita presa e buttata nel cesso si sarebbe potuto evitare, ma non ci si può fare niente se non rimboccarsi le maniche e correre in sala operatoria a rimettere insieme i pezzi, sapendo che - bene che vada - non cambierà nulla.
Avevo salvato la pelle a M., una notte che si schiantò sul motorino con 4.5 di alcolemia (per capirci, già con 0.5 ti ritirano la patente). Mi ci vollero tre interventi. Aveva un bambino di un anno e una moglie che gli perdonava tutto.
L'ho rivisto un anno dopo e gli ho chiesto se avesse smesso di bere: lui mi disse di no. La bottiglia gli ha tolto la salute e la famiglia, e ancora non gli basta. Mi aspetto prima o poi di ritrovarlo sotto i miei ferri e mi domando a cosa serva tutto questo, se non sia possibile evitarlo non dandogli da bere. Sì, lo so, ci sono tanti sistemi per procurarsi la bottiglia, ma almeno non diamogli da bere tutte le volte che lo chiede. Cominciamo dalle discoteche. Facciamogliela difficile.

E' lo stesso per questi cani: sappiamo che prima o poi faranno un disastro, ma vanno protetti ad oltranza perché "non è colpa loro". Poi fanno il morto - di solito un bambino - e allora vengono soppressi.
Tanto, come dice Enrique Balbontin, son tutti finocchi col culo degli altri.
Andiamo avanti, va'

Son tutti finocchi col culo degli altri


Confesso di non seguire "Colorado Café", nonostante la presenza di una mia vecchia passione come Rossella Brescia. E così mi sono perso gli sketches di quella linguaccia di Enrique Balbontin e della sua scuola di vernacolo savonese.
L'altro giorno, mentre facevo la spesa al supermercato, mi sono imbattuto in un delizioso libercolo, edito per i tipi di Mondadori, che ha come titolo la frase riportata sopra e che significa, grosso modo: "E' facile parlare quando non si rischia del proprio".
Lo stile, forbito eppure deliziosamente triviale, sembra mutuato da quello del celebre Ettore Borzacchini che, sul "Vernacoliere", tiene (o teneva: è un po' che non lo prendo) una rubrica di lessico labronico: ciò non deve meravigliare, in quanto Savona, come Livorno, è una città industriale affacciata sul mare, e quindi soggetta ai medesimi input culturali.
Fra le frasi, tutte splendide per sapidità, mi sentirei di citare a mo' d'esempio:

IT: Giuseppe mantiene un atteggiamento signorile anche quando perde le staffe

SV: Giuse per mandarti affanculo ti chiama un taxi

IT: Sai, Gianni, i rapporti col vicino ultimamente si sono raffreddati
SV: Il vicino mi saluta che sembra sta cagando un cardo

IT: Lorenza è rimasta incredula e stupefatta
SV: La Lò sembrava Monica Lewinski alle prese con l'Uomo Invisibile

IT: Padre, la serata minaccia di essere veramente noiosa
SV: Belìn, frate! Sembra di andare a bagasce con Formigoni

Io, milanese di nascita e cellasco (di Celle Ligure, ridente paesino in provincia di Savona, ndr) d'adozione, riconosco in queste frasi tutta la sorniona eloquenza del savonese. E zone limitrofe

mercoledì 11 marzo 2009

Dopo


C'è un evento che periodicamente ritorna sulle prime pagine dei telegiornali: la strage dell'ex-studente. Se ci fate caso, gli ingredienti sono sempre gli stessi.
Avviene per lo più in America, ma non si escludono altre localizzazioni, di solito in posti ad elevato tenore di vita.
C'è un ragazzo che si ripresenta armato come Rambo presso la scuola ove aveva studiato e apre il fuoco su qualunque oggetto animato; alla fine, di solito, si suicida.
Gratta gratta scopri che: c'è spesso alle spalle una famiglia che non comunica; il ragazzo è silenzioso ma in qualche momento della sua vita aveva manifestato idee vagamente nazistoidi; c'era stata qualche manifestazione paranoica ma tutti avevano abbozzato, perché era sì un po' strano, ma in fondo era un bravo ragazzo che non rompeva le balle a nessuno.

Ecco il punto: da sempre, si valuta la necessità di intervenire in senso preventivo solo sulla base di quanto uno rompe. Se se ne sta zitto, se si cova le proprie paranoie per conto suo, le probabilità che venga lasciato stare aumentano vertiginosamente: sono tempi difficili, perché cacciarsela per uno un po' strano ma fondamentalmente tranquillo quando ci sono a spasso decine di rompicoglioni che dobbiamo tenere a bada?
Non vorrei fare psicologia spicciola, ma prendiamo i serial killer, che non c'entrano in assoluto con gli ex studenti, ma che proprio a posto non sono: gente come Ted Bundy o John Wayne Gacy si sono sempre proposti come dei bravi ragazzi un po' sfigati o i classici tontoloni della porta accanto. Se si legge un libro profondamente irritante come "Un estraneo al mio fianco" di Ann Rule (un'amica di Ted Bundy che si rifiutò di riconoscere la realtà anche durante il processo), ci si rende conto del fatto che, se uno fa la parte del bravo ragazzo che non urla e non fa il matto, si può veramente fare di tutto pur di non veder la realtà. Comunque, stiamo tranquilli: nella maggior parte dei casi, dopo, salta sempre fuori qualche solone che ci dice che il ragazzo manifestava una preoccupante passione per le armi ma in fondo non faceva male a nessuno.
Adesso non voglio dire: le situazioni sono sempre facili da capire, dopo.
Ma se ci sono criticità anche in contesti apparentemente normali, si deve poter intervenire in senso preventivo senza farsi fuorviare dalla logica dell' "In fondo non disturba nessuno": se uno colleziona armi, se pubblica su Youtube video con propositi omicidi-suicidi, se legge biografie di criminali nazisti, vuol dire che prima o poi, forse, il danno lo farà, per cui è meglio darsi una mossa prima per non stare a piangere decine di morti dopo

martedì 10 marzo 2009

Figure


Non avrei mai creduto di poter arrivare a citare come esempio di saggezza e misura un guitto da avanspettacolo come Fabrizio Corona. Eppure questo personaggio, noto ai più per il matrimonio con la siliconata starlette Nina Moric e per essersi precipitato a Garlasco all'indomani dell'omicidio di Chiara Poggi per intervistare le cugine gemelle (quelle che avevano inventato l'osceno fotomontaggio in cui comparivano abbracciate alla povera ragazza), ha fatto qualche osservazione interessante a proposito di Daniela Martani: "Sono stato il primo a fotografare questa ragazza con Giletti. poi c'è stata la vicenda Alitalia, poi il grande fratello e poi ancora l'Alitalia. Non capisco come mai ce la ritroviamo ancora qui. Deve dimenticare il mondo dello spettacolo. Cominci a lavorare seriamente perché ormai le ha provate tutte, ma non è questa la sua strada". E ancora: "...La Martani, in tutto il bailamme dell'Alitalia è venuta fuori solo perché era la più carina. Ha giocato male le sue carte" (citato da Corriere della Sera del 10-03-2009).
Gioverebbe a questo punto ricordare chi sia Daniela Martani. La sua faccia diventò familiare durante la già citata vicenda Alitalia perché era sempre in prima fila davanti alle telecamere durante gli scioperi. Finita la vicenda Alitalia, la Martani - per il vero piuttosto belloccia e dotata di polpaccio tornito - rendendosi probabilmente conto che l'anagrafe la sfavoriva rispetto ad una qualunque delle ragazzine con cui doveva misurarsi nella sfrenata corsa alla visibilità mediatica, ha scelto la strada apparentemente più semplice, quella del reality. Dapprima, quindi, la partecipazione al ripugnante Grande Fratello ove peraltro la popolarità intellettuale maturata sul fronte delle lotte sindacali nulla poteva contro il muro delle prorompenti tette della concorrente avversaria; e poi, dopo l'inutile auto(?)-eliminazione, il volo in Brasile per la partecipazione-lampo ad un altro miserabile reality.
A margine, vale la pena di notare - sempre sul Corriere della Sera - il commento di Giletti che, dopo aver evocato la figura quasi mitologica della Martani novella Medea e predestinata alla tragedia (figura mitologica, lo ribadiamo: da non confondersi con le figure di merda che la Nostra ha invece inanellato nelle ultime settimane) ci ricorda che l'apparizione nella protesta sindacale le aveva spianato la strada alle Europee.
Ci sarebbe quasi da essere grati a chi ha inventato i reality, no?

domenica 8 marzo 2009

Banane e lamponi

Ho terminato la lettura di quello che - almeno sino ad oggi - dovrebbe essere l'ultimo libro di Marco Travaglio; il condizionale è d'obbligo, giacché il Nostro ha un ritmo di produzione da far impallidire Stephen King. Il libro, edito da Garzanti, è sostanzialmente una raccolta degli articoli che Travaglio ha scritto per L'Unità da Marzo 2007 a Settembre 2008 nelle rubriche Uliwood Party e Ora d'aria e che scandiscono il ritmo della fine del governo Prodi e il ritorno al potere dell'odiato Berlusconi, quasi mai citato per nome ma bensì per soprannomi (Bellachioma, Cainano, Al Tappone).
Lo stile è quello di un allievo di Montanelli: rapido, preciso, ficcante; Travaglio, poi, è sempre ben documentato ed è difficile prenderlo in castagna.
Dove sta l'inghippo, allora?
Il limite di Travaglio e di quelli come lui che si riconoscono nel "Girotondismo militante" come unica espressione lecita di opposizione, sta nell'antiberlusconismo come unico valore.
Altrimenti detto: in questa raccolta di scritti travagliani si percepisce un odio feroce contro Berlusconi e tutto ciò che il premier rappresenta e porta in dote; ma, per contro, non si ha nessuna proposta ragionevole, nessun elemento costruttivo, niente che "faccia sinistra" anche se Travaglio, che pure scrive sul giornale fondato da Gramsci, uomo di sinistra a stretta regola non è.
L'antiberlusconismo inteso come valore assoluto, senza nessun elemento aggiuntivo che caratterizzi un'opposizione frastagliata e senza meta sin dai tempi in cui era al governo e doveva appoggiarsi ai pannoloni dei senatori a vita, è proprio la ragione stessa per cui la Sinistra sta prendendo legnate pesanti alle tornate elettorali. Servirebbe porsi le solite domande - chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo - le cui risposte erano la ragione dei voti dei Cipputi di tutta Italia. Senza di queste domande, come ha detto il politologo francese Marc Lazar, la Sinistra italiana non ha nessuna chance e dovrà accontentarsi delle pernacchie: in inglese "raspberry", che in italiano però significa anche "lamponi" che si sposavano alle banane nella canzone di Gianni Morandi.
L'intelligente maestrino dalla penna rossa, tutto appuntito quando deve farci pesare la sua preparazione, continua nella sua battaglia monotematica senza dire nulla di sinistra.
Ci parla di banane, e raccoglie i lamponi

sabato 7 marzo 2009

Quello che è


Sarà quello che è un retaggio di quelli che sono gli studi classici, ma proprio non riesco a sopportare quelli che dicono "quello che è".
Ci avete fatto caso? Ormai è un bel po' di tempo che quello che è l'imbastardimento della nostra lingua ci ha portato in dote il terribile "quello che è" e, ovviamente, anche la sua variante plurale, cioè "quelli che sono": una cosa tremenda, oscena, che dovrebbe far fine senza impegnare, ma che a me ricorda con nostalgia quello che è il ben più simpatico Peppone di Guareschi col suo inimitabile "la quale".
Provate anche solo per gioco a contare quante sono quelle che sono le volte in cui alla radio o alla televisione viene ripetuta questa espressione: non vi sembra che chi la dice si atteggi sempre a splendido?
Preferisco Peppone

mercoledì 4 marzo 2009

Il finisseur


Mi corre fatto di parlare ancora di calcio, del che mi scuseranno le centinaia di lettori che afferiscono a questo blog.
Il destro mi è offerto dalla splendida performance di quel geniale finisseur che risponde al nome di José Mourinho, noto anche come "The Special One" - ma nessuno sa bene perché - e allenatore dell'Inter: nella conferenza stampa di ieri ha deliziato i giornalisti con un'elegante esternazione in cui è riuscito ad insultare tutti. Per giustificare un suo giocatore - un bamboccio di 19 anni talmente presuntuoso da far sembrare Cassano un terziario francescano - che ha insultato i tifosi della squadra avversaria dopo aver ottenuto un rigore con un tuffo degno di Cagnotto, ha accusato la stampa di "prostituzione intellettuale".
Inoltre lo Special One, con la classe che lo contraddistingue, dando esempio di fair play ai giovani (probabilmente gli daranno il Seminatore d'oro) fa notare a tutta la stampa il fatto che Milan e Roma chiuderanno la stagione senza nessun trofeo e che la Juventus godrebbe di favori arbitrali.
Ora, che il tipo abbia costruito il proprio personaggio sul cliché di odioso è cosa talmente nota che a farla rilevare si fa solo il suo gioco.
Che l'Inter ci marci perché, dopo aver masticato escrementi perdendo sul campo per oltre 20 anni, sente il bisogno di prendersi le proprie meschine rivincite nell'unico modo che le è concesso, e cioè a tavolino (in Italia, perché in Europa continuano a contare come il due di picche quando la briscola è a fiori), è cosa talmente nota che, a farla rilevare, si corre il rischio di essere noiosi.
Che in un campionato ci sia necessità di una squadra odiosa con cui prendersela, è un altro dato di fatto: sino a tre anni fa il ruolo era coperto dalla Juventus, adesso - e senza nessuno sforzo particolare - dall'Inter.
Ma almeno che non ci diano lezioni di morale: facciano quello che vogliono - gli è concesso, evidentemente - ma, per una banale questione di dignità, stiano zitti.
Per piacere.