sabato 30 ottobre 2010

Avere i numeri giusti

Il laboratorio di responsabilità sanitaria è un progetto nato dall'intuizione di un grande professionista della Medicina Legale, il mio amico Umberto Genovese, Ricercatore dell'Università degli Studi di Milano e pilastro della Sezione di Medicina Legale. Scopo dell'iniziativa è fare chiarezza nel casino apocalittico in cui sono piombate tutte le vicende sanitarie sub specie iuris, grazie ad una migliore coscienza del cittadino e per colpa di una serie di figure che su queste vicende ci campano, in primis giornalisti e avvocati.
Cito dal sito del Laboratorio di Responsabilità Sanitaria: 


La consulenza di medicina legale fornisce un supporto tecnico ai singoli, ma anche ai diversi servizi sanitari, in questo caso in grado di interfacciarsi con soggetti esterni (Assicurazioni, Magistratura, cittadini) e con le figure professionali interne a questi, al fine, anche, della gestione del rischio clinico.
Un'efficace attività di prevenzione, mediante una appropriata gestione del rischio ed una educazione del personale sanitario consente di trasferire all'assicuratore soltanto la copertura degli eventi straordinari così da condurre alla riduzione dei sinistri e, di conseguenza, al contenimento del costo della copertura assicurativa. Quest'ultima peraltro sempre più di frequente limitata a quelle strutture che garantiscono una tutela interna di controllo e monitoraggio del rischio clinico.
Si è d'altra parte convinti che l’esigenza della adeguata informazione risulti una priorità non solo del paziente, ma anche di chi, appunto, in concreto se ne prende cura, e che non infrequentemente si sente condizionato nelle sue scelte diagnostiche e terapeutiche più dal timore di incorrere in “guai” giudiziari, che dal perseguire ciò che “scienza e coscienza” gli consiglierebbero.

Quest'ultimo in particolare non è un problema banale: nonostante la Magistratura consideri sempre più l'omissione come un elemento di colpa tanto quanto un errore, non sono pochi i miei colleghi che fanno sempre più ricorso, nell'esercizio della loro professione, all'espressione icastica: "Pararsi il culo", ormai praticamente un paradigma di vita, nel cui contesto entrano i più disparati atteggiamenti, che vanno dall'astensione a pratiche minimali che evitino la sovraesposizione dell'operatore

Ieri si è tenuto a Milano, presso l'Aula Magna dell'Università, un convegno molto interessante presieduto da Umberto e con la partecipazione di diverse autorità e di addetti ai lavori. L'argomento era: La Sanità Italiana ha ancora "buoni numeri", e il titolo giunge a proposito dopo che mercoledì la stampa e i telegiornali avevano diffuso l'ennesima fatwa sulla cosiddetta malasanità, tirando fuori numeri che, messi in quel contesto, non avevano nessun senso se non, ovviamente, quello di tenere alta la tensione dei cittadini nei confronti di chi si dovrebbe prendere cura della loro salute.
Le cifre diffuse dai telegiornali sono, come al solito, urlate a pieni polmoni: la Commissione parlamentare sugli errori sanitari presieduta da Leoluca Orlando ha rilevato nell'ultimo anno 242 vittime per malpractice, di cui 163 morti, e la maggioranza in Calabria e Sicilia. Generalizzando ancora di più, in Italia c'è, secondo la Commissione parlamentare, una vittima ogni 3 giorni
A beneficio di chi non fosse informato in materia, è utile premettere che:
  1. nessuno spiega questi 242 vittime in che rapporto numerico siano rispetto al numero complessivo di persone a vario titolo curate in un anno
  2. nessuno spiega se questi 242 vittime siano stati effettivamente riconosciute tali in conseguenza (quindi, con dimostrato nesso causale) di una malpractice, o se vi sia solo supposizione di dolo, perché questo cambia tutto: ci vogliono anni di istruttoria per dimostrare un nesso di causa fra una presunta malpractice e il decesso di un paziente, e questa dimostrazione nell'80% dei casi viene negata in fase processuale o pre-processuale
  3. siccome la rilevazione di questi numeri arriva a Settembre di quest'anno, il primo inevitabile rilievo è che il compilatore di questa lista ha messo nel calderone tutto ciò che ha trovato come in una ricerca con Google, senza curarsi di accertare l'esatta natura di quello che ha trovato 
Ma facciamo finta, per un momento, di credere alla buonafede di chi ha dato in pasta alla stampa questi dati; e proviamo, giusto per amore di conversazione, a paragonarli a dati sicuramente raccolti con ben altra serietà da un'Istituzione seria e abituata a dirimere gli errori medici, essendo consulente del Tribunale.
La Sezione di Medicina Legale del Dipartimento di Morfologia dell'Università degli Studi di Milano - quindi un osservatorio di tutto rispetto, almeno per una realtà come quella italiana, visto che raccoglie tutti i dati di Milano e provincia - ha riesaminato 14177 autopsie effettuate dal 1996 al 2009. 
Di queste, 317 sono quelle effettuate in 13 anni per sospetta - sottolineo il termine sospetta - malpractice. Questo comporta, come risultato del calcolo bruto, meno di 2 persone al mese vittime di sospetta malpractice. Si ribadisce il "sospetta": di queste 2 persone è ancora tutto da accertare il nesso di causa con una reale malpractice.
Come ognuno può vedere, i calcoli lombardi portano a conseguenze molto diverse.
Certo - si obbietterà - la sanità milanese è ben diversa da quella di Cosenza o di Messina. Verissimo. Ma è ora di finirla di generalizzare, perché è necessario una volta per tutte arrivare a una redefinizione e rinegoziazione del rapporto fra medici e - dall'altra parte - pazienti, parenti, avvocati e giornalisti. 
E qui è necessario un piccolo inciso.

Alla tavola rotonda era presente anche tale Enrico Moscoloni, avvocato e Consigliere Segretaio dell'Ordine degli Avvocati di Milano.

Alla domanda di una giornalista: "Ma non vi sembra a voi avvocati di spingere un po' troppo verso le cause sanitarie?", la risposta è stata dapprima un "Dobbiamo far fare qualcosa ai giovani avvocati " e poi: "Noi non facciamo nulla se prima non c'è il parere medico legale".
Palle, avvocato.
Panzane allo stato puro, mi conceda, e non occorre granché per smascherarLa.
Se un utente qualunque fa una ricerca su Google mettendo come termine di ricerca "malasanità", per prima cosa trova una sfilza di servizi in franchising che offrono consulenze per presunti casi di malpractice
Non occorre molto: dopo che la Cassazione ha stabilito che nelle cause civili di questo specifico ambito l'onere della prova è a carico del medico che subisce la denuncia (follia allo stato puro), basta che un qualunque paziente si senta "parte lesa" (come dice una pubblicità) per mettere in moto il tutto. 
L'avvocato, se va bene, si prenderà la sua fetta di torta dal risarcimento che, nelle cause civili, viene riconosciuto al postulante nell'80% dei casi (come si vede, esattamente l'opposto delle cause penali). 
Far causa a un medico conviene sempre, questa è la verità.
Ma questo giochino, alla lunga, può produrre dei bei danni terziari.
E infatti, le conseguenze le stiamo cominciando a vedere.
  • Una di esse è quella cui facevo riferimento prima: la cosiddetta medicina difensiva: molti medici rifiutano di prendere iniziative eroiche, preferendo demandarle ad altri o negandole tout court al paziente: non è etico, ma si può capire. Oppure, in alternativa, si imbarcano in manovre aggressive solo dopo decine di accertamenti strumentali dai costi spaventosi, che tutelano il medico più che il paziente ma con ricadute mostruose sulla spesa pubblica
  • L'altra conseguenza è la carenza di medici che si dedichino all'attività chirurgica. Il numero di iscritti alle scuole di specialità in chirurgia è in crollo verticale, e uno dei motivi è proprio la consapevolezza di tutti i rischi legali che un chirurgo correrà nel corso della sua vita professionale.
  • La terza conseguenza è il costo spaventoso in termini assicurativi, sia per la società che per i singoli: una polizza RC per un chirurgo ha un costo da brivido che, molte volte, un giovane professionista non è in grado di sostenere
  • La quarta conseguenza è il mistake semantico. Mancata guarigione o complicanza sono diventati sinonimi di errore, colpa e/o malasanità. Per quanto la sua malattia sia grave, nessun paziente accetta che le cose possano andare in modo diverso da quanto si è prefissato per intima convinzione, perché così ha letto su Internet o perché gli è stato detto dal vicino di casa
  • La quinta conseguenza è il blocco del sistema giudiziario, per soddisfare un'utenza fomentata dagli  organi di stampa, assetata di sangue e alla ricerca di "giustizia", con il medico che diventa il terminale di tutte le frustrazioni e del male di vivere di chi non ammette che di una malattia si possa anche non guarire

Auguro al mio amico Umberto la miglior fortuna con la sua iniziativa: ne abbiamo tutti bisogno, utenti e operatori sanitari.
E concludo con una citazione del Prof. Federico Stella, insigne giurista e studioso del problema della Giustizia in un'accezione quasi filosofica:
"Gli studenti [di Giurisprudenza, ndr] vengono così a trovarsi in una situazione davvero singolare: non sanno cos'è la giustizia, ma riescono a riconoscere senza esitazione una situazione di ingiustizia" (F. Stella, La giustizia e le ingiustizie, il Mulino 2006): e non è forse così per ogni campo delle attività di qualunque essere umano?...


mercoledì 20 ottobre 2010

Maria nelle mie mani

La sala 5 del Blocco A.
Una piccola folla di gente che mi accoglie sorridendo, persone amiche che vogliono accogliere la mia tensione per scioglierla e assorbirla.
Tu non ci sei ancora, e ti vengo a cercare in recovery, e sei lì, nelle mani di Stefania che ti mette il sottile catetere della peridurale, e sei uno scricciolo in quel letto troppo grande per te, e mi fai una tenerezza infinita e devo farmi violenza per non far scendere quei due lacrimoni che sono tutta la mia emozione al pensiero di quello che ti devo fare fra poco, e ho una paura infinita di farti male, ma tu mi sorridi fiduciosa e serena perché hai messo la tua vita nelle mie mani.
Le mie mani che accarezzano i tuoi capelli in sala operatoria mentre Stefania fa scendere dolcemente il sonno nelle tue vene.
Le mie mani che cercano la strada nella tua pelvi martoriata per il precedente intervento e per la malattia, ed è un percorso aspro, frastagliato, difficile in mezzo a decine di strutture anatomiche che conosco per nome, con le quali mi do del tu e per le quali ho un rispetto quasi reverenziale, una sorta di tacito patto reciproco di non belligeranza, ma qualcuna la devo sacrificare, lo so, e lo faccio con decisione perché voglio toglierti questa malattia che si è impossessata delle tue viscere e ha riempito ogni spazio libero.
Le mie mani che, mentre il tempo passa (e alla fine saranno passate undici ore e mezza), diventano sempre meno agili e più stanche, devono rifare un'anastomosi sbagliata e, alla decima ora, devono strappare ancora la capsula dal fegato che, ovviamente, sembra offendersi e sanguina e poi, preoccupate, devono rapidamente avvolgere l'organo nelle pezze intrise di acqua bollente che ferma il sangue, ed è un lavoro estenuante che non finisce mai, ma Andrea e Antonella sono lì con me e Cristina mi sorride dall'altra parte.
Ma tutto finisce e di notte Nadia mi dice: "Tranquillo, è sveglia, ha alzato la mano in segno di ok", e finalmente posso schiantarmi nel letto in un sonno senza sogni.
E oggi entro in sala di rianimazione, e intanto indosso il camice di carta che svolazza intorno al mio corpaccione pesante e affaticato, ma ti vedo, vedo il tuo sorriso stanco, e accanto hai tua sorella gemella che ha il tuo stesso sorriso buono e fiducioso.
Un dito, quel dito che indossa con grazia il saturimetro come se fosse un anello di Cartier, si solleva indicandomi; sento la tua voce con l'irresistibile e dolce cadenza emiliana che tocca una corda nascosta del mio cuore.
E la tua voce dice, sicura: "E' quello il mio chirurgo"


domenica 17 ottobre 2010

La pelle


"Ero stanco di veder soffrire gli uomini, gli animali, gli alberi, il cielo, la terra, il mare, ero stanco delle loro sofferenze, delle loro stupide e inutili sofferenze, dei loro terrori, della loro interminabile agonia. Ero stanco di aver orrore, stanco di aver pietà. Ah, la pietà! Avevo vergogna di aver pietà. Eppure tremavo di pietà e di orrore" 
(Curzio Malaparte, "La pelle")


Credevo d'aver commentato tutto l'obbrobrio a disposizione in Italia, ma mi sbagliavo.
Mancavano ancora:

  • Barbara D'Urso - a fronte della quale persino Michele Santoro sembra David Letterman - che invita, in esclusiva, nella sua ignobile e scatologica trasmissione, le cugine di Sarah. E siccome c'è un dio per tutti, anche per gli sciacalli, il destino le ha riservato la grande fortuna dell'arresto, pochi giorni dopo di una di esse
  • la cugina Sabrina, giustappunto, che si scopre aver aiutato il padre a coprire le sue attenzioni verso la cugina, mediante concorso in omicidio. In altre parole, ha attirato Sarah nel garage dove era appostato il verme, l'ha tenuta ferma mentre lui la strangolava e poi l'ha aiutato a caricarla in macchina per portarla a compostare nel pozzo
  • le mamme che portano i bimbi in gita domenicale al pozzo dove era stata buttata Sarah, per fare foto ricordo
  • le famigliole che, non sapendo cosa fare di meglio, si organizzano dai paesi vicini per andare a vedere la casa in cui sono cresciuti due mostri accertati e magari chissà, se siamo veramente fortunati, qualcun altro che aspetta ancora di venire alla luce. Magari, quando si affaccia la signora Cosima per mandarli affanculo, qualcuno potrebbe chiederle cosa ne pensa delle personcine della sua famiglia; oppure, alla peggio, possono mettersi tutti in mostra dietro a Tony Capuozzo e farsi riprendere dalla televisione 
Poi, come se non bastasse:


  • l'intervista agli amici di quello che ha fatto fuori l'infermiera romena Maricica Hahaianu con un pugno ben assestato (cosa che gli è venuta abbastanza facile, essendo pugile); i quali amici, oltre a manifestare solidarietà all'assassino, hanno detto che tutti avrebbero fatto la stessa cosa
  • l'avviso di garanzia ai medici che hanno curato la stessa Maricica, perché in questo porco paese, quando non sai cosa fare, se denunci il medico di turno non sbagli mai; dopotutto l'Italia è l'unico paese al mondo con la Polonia a prevedere il codice penale per la colpa medica - vera o presunta che sia, e vera non lo è quasi mai - per cui, male che vada, troverai sempre un giornalista che darà adeguato risalto alla notizia



venerdì 8 ottobre 2010

Ces gens-là

Quelli che pensano che - in fondo - lo zio Michele abbia fatto bene a dare una lezione alla nipote che non gliela voleva mollare, che così le ha fatto vedere chi è l'uomo, quello vero, quello che comanda.
Quelli che applaudono sempre le bare, anche quelle delle ragazze morte troppo presto per aver detto un no di troppo, perché in fondo resistere agli stupratori di cadaveri è pur sempre un bel modo di morire.
Quelli che aprono su Facebook i fans club per Michele Misseri, perché "la mocciosa ha avuto quello che meritava".
Quelli che considerano la donna un oggetto da possedere, brutalizzare, coprire completamente con tendaggi e telerie assortite, confinare in un'altra camera perché indegna di stare a tavola con l'essere umano di sesso maschile.
Quelli che definiscono "un'altra civiltà con dignità e storia pari alla nostra" quella che insegna ad ammazzare a sassate o bastonate la donna che non accetta di sposare un uomo scelto dal padre e dal fratello, o che la fa morire di dolori se in ospedale non c'è un medico donna (che spesso peraltro non c'è, perché in certi paesi la donna è considerata indegna di studiare, e si mettono bombe di fronte alle scuole elementari femminili).
Quelli che affermano che la pena di morte svilisce l'uomo che la commina, che la pena deve essere educativa più per il detentore che per il detenuto, perché dobbiamo sempre recuperare l'umanità del colpevole, ma nessuno sa spiegare dove sia l'umanità in un troglodita che prima strangola alle spalle una quindicenne e poi, dopo morta, finalmente se la può scopare in tutta tranquillità; ottenendo così, tra l'altro, il biglietto quasi sicuro per la semi-infermità mentale.
Quelli che pensano che la forca o il muro non siano fini: molto meglio, caso mai, buttare il troglodita in mezzo ai carcerati duri e incalliti, che ci pensano loro con il loro "codice d'onore" a ripassargli prima il buco del culo, poi le carotidi, così nessun benpensante si sporca le mani, il tutto detto ovviamente con aria molto seria e compunta.
Quelli che brandiranno il microfono in faccia alla madre di una ragazza di quindici anni prima ammazzata e poi stuprata da un troglodita in calore, e le chiederanno: "Cosa vorrebbe dire all'assassino di sua figlia?" oppure, meglio ancora: "Pensa di riuscire a perdonare l'assassino di sua figlia?".
Quelli che - già da adesso - cercano il loro momento di gloria facendosi intervistare in lacrime, dicendoci che loro l'avevano sempre saputo, oppure almeno mostrando gli avambracci muscolosi dietro alla cronista del telegiornale, salutando gli amici del bar e urlando "Viva Sarah!".
Quelli che cercheranno di scaricare la responsabilità sulla nostra coscienza narcisista, corrotta da spettacoli televisivi che ci rimandano una società annegata nell'edonismo, nell'egoismo e nella facile rappresentazione dei casi quasi umani.

Quelli che ancora non ho mandato a fare in culo, perché non me li ricordo, perché sono troppo infimi e particolarmente indegni della mia memoria, o solo perché sono troppo stanco e affranto.
Quelli.
Sì, anche quelli