sabato 21 novembre 2009

Il Grande Vuoto

Uno dei vantaggi di essere a casa di sabato (solo giorno, nel mio caso: stanotte lavoro) è quello di poter guardare i programmi che normalmente non vedresti mai. Mentre sto scrivendo sta andando Amici di Maria De Filippi ma, per me, è ancora presto: aspetto con ansia le puntate serali, quelle in cui ognuno dà veramente il peggio di sé, per ora i concorrenti sono ancora troppo impacciati.
Ma non è di Nostra Signora della Televisione che voglio parlare adesso - ci sarà tempo - bensì del Grande Fratello, con cui non mi misuro più da anni perché è un'impresa troppo superiore alle mie misere forze: posso anche essere amante del trash televisivo ma, per quanto mi sforzi, non riesco a scendere al di sotto di uno standard minimo. Invece oggi, nella sonnolenza dell'immediato dopopranzo, mi sono lasciato piacevolmente andare godendomi la visione di una decina di minuti dello spettacolo di cui vorrei parlare ai miei lettori.
Premesso che non faccio parte di quel gruppo di snob a tutti i costi che si negano aprioristicamente la visione di un programma (a maggior ragione se trash) per una questione di principio, dopo tante edizioni mi rimane una doppia curiosità:
  1. cosa vogliano raccontarci gli Autori di un programma che ormai ha esaurito la spinta iniziale, quella che aveva stimolato la curiosità di molti a sintonizzarsi sulle vicende della caaasaaa (come la chiamava Daria Bignardi, prima conduttrice del programma, colei che - in virtù del suo essere di sinistra - aveva donato alla trasmissione una patina di intellettualismo)
  2. cosa vogliano trovarci gli spettatori che ogni anno si trovano di fronte a dei replicanti che non hanno più la freschezza dei primi partecipanti, ma solo l'atteggiamento di chi vuole apparire a tutti i costi

Ho la sensazione che gli Autori si stiano spingendo sempre più in basso per stimolare il voyeurismo del teleutente e che ormai manchi veramente poco per arrivare all'hard propriamente detto; dopo di che, ovviamente, calerà l'interesse degli utenti attuali e potenziali, attualmente infoiati solo per la possibilità che la cosa avvenga.

Ma quello che maggiormente mi angoscia nel vedere le avventure (?) di quella dozzina di squinternati rinchiusi nella caaasaaa è il vuoto totale delle conversazioni che, guarda caso, riflette il vuoto parimenti assoluto delle attività che vi si svolgono. I reclusi fra le quattro mura possono fare ben poche cose: mangiare, dormire, evacuare, accoppiarsi, parlare, litigare: è proibito loro fare qualsiasi altra cosa. Vero è che - stante il cervello dei soggetti - sarebbe difficile ipotizzare qualsiasi altra attività creativa o ricreativa, a cominciare ovviamente dal leggere; e tuttavia l'utente medio rimane sconcertato di fronte all'assoluta mancanza di idee in conversazioni di un'idiozia agghiacciante che hanno per unico scopo la maldicenza, la gioia di poter parlar male di Tizio o Caio, in una deprimente esibizione di muscoli, tette o culi quale unica manifestazione di femminilità, machismo di ritorno, outing di omosessualità o di transessualità.

Credo che ci sia veramente da spararsi all'idea di passare cinque mesi in un mortorio del genere; mi viene da pensare, a tale proposito, alla mia amica XY, psicologa, che ha affrontato professionalmente il mondo del reality vedendolo nella cornice esotica dell'Isola dei Famosi, in cui i protagonisti (dei quali XY era consulente) erano alle prese con situazioni estreme e i morsi della fame. Per disagiate che potessero essere le situazioni nelle isole in cui il reality è stato ambientato (una particolarmente affascinante era una palafitta ove stava un solo concorrente, continuamente inquadrato da una telecamera, senza nessuna assistenza e senza neanche un tonno con cui parlare), credo che fosse nulla rispetto alla prova del vuoto che devono affrontare i poveri mentecatti barricati dentro Cinecittà: credo che la mia amica XY avrebbe vita molto più dura in un contesto del genere. Forse mollerebbe il colpo...

venerdì 20 novembre 2009

Scenda l'oblio




Ecco una notizia interessante che ho sentito questa mattina mentre mi recavo al lavoro, che vi cito da tiscali.notizie. Non è la prima volta che succede qualcosa del genere, ma oggi mi è venuto da rifletterci sopra. Ecco il fatto:



"Los Angeles, 20 nov. (Ap) - Un tribunale della Florida (Stati Uniti) ha condannato il produttore di sigarette Philip Morris a pagare oltre 300 milioni di dollari (circa 200 milioni di euro) a una ex fumatrice di 61 anni, Cindy Naugle, costretta su una sedia a rotelle a causa di un enfisema polmonare. Si tratta del risarcimento più consistente mai imposto finora in oltre 8.000 casi davanti alle corti di giustizia americane.
Cindy Naugle, 61 anni, aveva cominciato a fumare nel 1968 quando aveva 20 anni, aveva smesso nel 1993 quando aveva cominciato ad essere malata.
Il risarcimento consiste in 56,6 milioni di dollari per spese mediche passate e future e altri 244 milioni di dollari per danni materiali
".
Essendo medico, e avendo un passato di (molto moderato) fumatore, devo dire che rimango piuttosto divertito di fronte a sentenze come queste che, a dirla tutta, mi sembrano oltremodo demagogiche.
La Philip Morris, colosso del tabacco della Virginia Old Belt, fa un prodotto molto popolare e famoso e non lo fa esattamente per beneficenza: lo fa per venderlo.
Ora proviamo così per gioco a rispondere a qualche semplice quesito.
  1. E' forse proibita la vendita delle sigarette? Nossignori. A condizione che uno sia adulto e consenziente, nulla vieta che si acquisti il suo bel pacchetto da spipazzarsi come e quando vuole. Incidentalmente segnaliamo che l'attualmente enfisematosa Cindy aveva iniziato a 20 anni, quando cioè - come si suol dire in questi casi - aveva l'età
  2. C'è forse qualcuno che ignora che il fumo faccia male? Nossignori: è noto a tutti da un sacco di tempo, ed era sicuramente noto anche in quel Sessantotto in cui la nostra amica Cindy provò l'emozione di mettersi in bocca il cilindro del desiderio (astenersi i maliziosi), tant'è vero che era il periodo in cui si fumava nel cesso aprendo poi la finestra per non farsi beccare da genitori o professori. Cindy quindi sapeva benissimo anche nei suoi verdi vent'anni che fumare non le avrebbe migliorato la salute, eppure ha scelto consapevolmente di farlo
  3. L'enfisema è qualcosa che ti colpisce di botto? Assolutamente no, e non occorre essere medici per saperlo. E' una marea montante. Ci si ammala progressivamente e - vi garantisco - ci se ne accorge. E' chiaro che se si continua a fumare anche respirando con le branchie, la patologia respiratoria peggiora
  4. E' veramente impossibile smettere di fumare? No. La nostra amica Cindy, per esempio, ha smesso da quando deve rimanere attaccata alla bombola dell'ossigeno. Quindi è stato possibile anche per lei e, se avesse avuto un po' di cervello, le sarebbe stato possibile anche prima. Basta volerlo: e chiunque lo può volere. Anche perché arriva il momento in cui, anche se non lo si vuole, lo si deve fare: Cindy ne è la dimostrazione

In definitiva, abbiamo una condanna contro la ditta che ha fabbricato qualcosa che è sempre stata di libera vendita e che un adulto consenziente ha scelto deliberatamente di comperare ed assumere, pur consapevole ab initio atque in itinere dei rischi cui andava incontro, e che ha continuato ad assumere anche quando stava già male. Quando un tribunale giudica un caso di omicidio, mette sotto processo chi ha sparato, oppure l'industria che ha fabbricato i proiettili? La risposta è intuitiva per tutti, tranne che per il tribunale della Florida, per il quale evidentemente se nessuno facesse i proiettili, nessuno sparerebbe: un'idiozia talmente perfetta da costringermi a fermarmi, ammirato, come Faust di fronte a quel famoso attimo d'eternità che lo costrinse al patto col diavolo

domenica 1 novembre 2009

Pet sematary


Oggi ho aderito ad un'iniziativa singolare: in occasione della ricorrenza della commemorazione dei defunti siamo andati in gruppo a deporre un fiore sulla tomba dei morti dimenticati, in particolare i bambini.
Esiste a Melegnano un angolo del locale cimitero in cui ci sono alcune tombe diroccate, mezzo sfasciate: sono quelle dei bambini che nessuno ricorda più. Il Comune ha disposto che ognuna di esse abbia un mazzetto di fiori finti, ma ho provato ugualmente una pena infinita a scorrere sulle lapidi i nomi di questi bambini, alcuni di essi morti anche di recente, che non hanno la fortuna di avere una mano che ne accudisce i sepolcri.
Ho letto i nomi: Giuseppe, Chiara, Salvatore, Maria, Elena, c'è persino Smeralda che è nata e morta lo stesso giorno, magari di parto - noi non lo sappiamo - la vita consumata in un unico soffio; la mano dei genitori che ha dettato allo scalpellino la frase "Ci aspetti lassù per abbracciarci la prima volta"; e lo sguardo del visitatore che contempla il disfacimento della povera tomba sulla quale sono ancora abbandonati alcuni piccoli giocattoli ormai arrugginiti e più tristi di una fotografia sbiadita, di un'immagine che il tempo ha cancellato.

C'è un che di laido, di osceno, di innaturale nella morte di un bambino.
Nessun genitore dovrebbe assistervi: credo che sia l'unico evento in grado di togliere improvvisamente il lume della ragione.
Stephen King ha dedicato a questo obbrobrio il suo libro probabilmente più terrificante, di sicuro uno dei suoi più intensamente lirici, ed è "Pet sematary". Non fatevi ingannare dal brutto film che ne hanno ricavato: lasciatelo decisamente da parte e, se non l'avete mai letto, dedicatevi senza indugio al libro, che è una profonda riflessione tipica del Re sul concetto di perdita e su come può far diventare pazzo un essere umano, che può arrivare al punto di sfidare ogni legge naturale.
Oggi, girando per quei sepolcri contemplavo con le lacrime agli occhi quelle lapidi diroccate, quei miseri giocattoli, quelle foto sbiadite, pensavo a quei corpicini abbandonati lì sotto, macerati anche dal dolore dei genitori abbandonati e che non hanno saputo tornare a confortare le spoglie dei loro piccoli.
Non riuscivo a biasimarli: alle volte dimenticare è un modo per cercare di sopravvivere