sabato 31 dicembre 2011

Don Luigi

Poteva essere il giorno giusto per fare gli auguri di fine anno e di buon inizio anno nuovo, ma oggi c'è una notizia che cambia tutto: la morte di don Luigi Verzé. Intendiamoci: non è morto un santo. Nessuno, credo, nemmeno fra i suoi più stretti collaboratori, avvierà cause di beatificazione o processi di canonizzazione. Ma francamente non riesco nemmeno a condividere né a capire tutto l'odio che sembra scatenarsi sulla rete contro un mersonaggio controverso finché si vuole, ma anche artefice di una delle imprese più importanti della storia della sanità italiana. Ho avuto il privilegio di studiare all'Ospedale San Raffaele alla fine degli Anni Ottanta. All'epoca non esisteva ancora l'Università Vita Salute - uno dei tanti monumenti allo straordinario egocentrismo di un uomo così controverso - per cui io vivevo nel grembo dell'Alma Universitas Mediolanensis. Adesso può sembrare strano a uno studente di Medicina abituato all'insegnameno tutorializzato, ma all'epoca lo studente di medicina era una specie di corpo estraneo, tanto più nell'ambito di un reparto ospedaliero. Ricordo molto bene che quando si trattò di fare il tirocinio obbligatorio pre-laurea in un ospedale pubblico, fu chiesto a me e ai miei amici di non andare a "disturbare" la routine del reparto Il medico si poteva tranquillamente laureare prescindendo da una formazione pratica ospedaliera. Al San Raffaele le cose erano diverse: fu il primo esempio di insegnamento tutorializzato, quello che adesso è la regola. I miei professori erano straordinari: si poteva scegliere fra il rigore apollineo di Claudio Rugarli e la scapigliata genialità di Jacopo Meldolesi. L'ospedale poi era una macchina da guerra: c'erano tutte le tecnologie più fantascientifiche e gli uomini straordinari che sapevano farle funzionare. Noi studenti eravamo orgogliosi di far parte di quel gruppo: non ci sentivamo predestinati a chissà cosa, questo no (per lo meno la parte di noi abituata dalle vicende della vita quotidiana a stare con i piedi per terra senza fare voli pindarici), ma ci sentivamo parte di un grande gruppo. I "baroni" c'erano, come no, ma avevamo la sensazione che lo fossero per meriti reali, non per le solite menate politiche. Certo, non era tutto oro: la megalomania del Presidente era qualcosa che ognuno di noi aveva imparato a conoscere: fontane, statue, cappelle con ritratti di angeli in cui non era difficile riconoscere le fattezze del Fondatore, messaggi di fine anno in cui Don Luigi ricordava ai dipendenti il messaggio che egli e Gesù affidavano ai medici: andate e guarite. E poi anche a noi studenti arrivavano strane notizie su stipendi a rischio, ma all'epoca sembravano problemi tanto lontani dalle nostre prospettive; e poi la verità è che nessuno se ne andava, nemmeno se se ne manifestava l'opportunità. Dopo la laurea ci fu per me il servizio militare, poi le mie strade si separarono da quel grande ospedalone: scelsi altre vie, che mi hanno portato dove sono adesso. Ci sono state esperienze belle come quella della prima parte della mia permanenza all'Ospedale di XY, dove un gruppo di medici giovani e motivati cercò di creare un ambiente meraviglioso di lavoro e quasi ci riuscì; o esperienze fallimentari, come quella - sempre a XY - con l'altro reparto guidato da un triste figuro che riassume in sé tutto il peggio dell'arroganza del piccolo guappo di periferia, in realtà incapace di pensare con il proprio cervello e sempre bisognoso del pretoriano di turno che gli dicesse cosa doveva pensare. Ma nonostante tutto, ho sempre tenuto un cordone ombelicale con il mio vecchio ospedale e ne seguivo sempre con apprensione le notizie. Sapevo delle mire espansionistiche. Castellanza, per esempio, dapprima ospedale, poi riciclato come centro per la sperimentazione UROD (per chi non lo ricordasse: consisteva nella somministrazione di anestetici a alti dosaggi per liberare dalla dipendenza da eroina. Dopo qualche risultato incoraggiante, il progetto fu abbandonato); oppure Roma, altra prova controversa; e poi ancora altri Centri che - agli occhi di un osservatore - sembravano un inno alla vanità del Fondatore. Se ne dicevano di tutti i colori: spretato, ma celebrava messa; era amico di Craxi, Gava e Berlusconi e questo gli aveva permesso di deviare il traffico aereo dai cieli sopra l'ospedale; che era un politico a sua volta; che aveva raccontato a Paolo VI di aver sognato l'arcangelo Raffaele che gli aveva detto di fondare un ospedale, e quindi Papa Montini gli aveva dato i soldi necessari per creare la Fondazione; che voleva avere l'ultima parola su tutto e controllare ogni cosa. Si diceva veramente di tutto e di più. E, alla fine, così passa la gloria del mondo. Leggo oggi su Facebook commenti carichi di odio e di veleno. "Peccato che non credo al paradiso - dice uno - perché almeno ci sarebbe anche l'inferno in cui far bruciare Don Verzé". E' vero: non è stato uno stinco di santo. Ambiguo, controverso, megalomane, forse sprovveduto o forse solo mal consigliato. Ci sta tutto e il contrario di tutto Ma non vorrei sembrare retorico affermando che il San Raffaele è una creatura meravigliosa che, da sola, assolverà tutte le colpe di un piccolo megalomane. La terra gli sia lieve

domenica 11 dicembre 2011

Come tanti Superciuk

La notizia più interessante con cui ci svegliamo in questa domenica è la rivolta dei parlamentari italiani contro la programmata riduzione di stipendio. Ne parlano un po' tutti i quotidiani, dando il giusto rilievo a chi questa rivolta capeggia, e cioè Gianfranco Fini nelle vesti inedite di sindacalista; ma c'è da dire che, su questo specifico aspetto, esiste una trasversalità che oltrepassa di gran lunga tutte le divisioni ideologiche.
Ex-berlusconiani? Ex-antiberlusconiani? PD? IDV?
Di fronte all'emergenza non esistono più diversità, odi o ripicche, sino a poco tempo fa peraltro sostenute solo (si fa per dire) dalla presenza di Berlusconi in sella al peggior governo della storia della Repubblica. Adesso basta odi e divisioni: è il momento della solidarietà, è l'ora di serrare le fila.
Quell'idiota di Monti rinuncia al proprio stipendio da Premier e vorrebbe rinunciare anche a quello da parlamentare per farsi vedere come il ragazzino secchione? Cazzi suoi, amici compagni e/o camerati: noi teniamo duro.
D'altra parte, se la pensione verrà calcolata in modo contributivo, hai voglia a versar soldi all'INPS per arrivare alle vette dei veri professionisti come Lamberto Dini (36 o 40000 euro al mese, a seconda della vulgata) o Giuliano Amato (miseri 31000, sempre mensili, ça va sans dire)! Italiani, rimbocchiamoci le maniche: dobbiamo provvedere un presente e un avvenire sereno ai nostri parlamentari.
Sembra la storia di Superciuk, il personaggio creato da Max Bunker nella serie di Alan Ford, quello che rubava ai poveri per dare ai ricchi.
Ma non c'è niente da ridere. 
Proprio niente.

Ritratto di parlamentare italiano
Ormai, passeggiando per strada, non è raro sentire discorsi a sfondo anarco-insurrezionale, anche da parte di persone moderate.
Non c'è più destra o sinistra: sono tutti assolutamente disgustati dalla protervia di una classe politica che tiene i cittadini in non cale a tal punto da non riconoscere nemmeno i semi della rivolta quando si manifestano. E per rivolta non intendo, ovviamente, quella di quattro guitti squinternati che lanciano estintori contro la TAV, o quella dei soliti anarchici che mandano bombe alle agenzie di esazione.
Le grandi rivoluzioni storiche nascono dal menefreghismo delle classi politiche che hanno via via ritenuto di aver a che fare con una mandria di poveri imbecilli, mentecatti da spremere come limoni, senza dar nulla in cambio se non vessazioni di vario genere e grado per recuperare quello che loro stessi hanno sperperato. 
E in questo, mi spiace, grande colpa ha anche l'intellighenzia di una sinistra (Giorgio Bocca, tanto per non far nomi) che, forte di una auto-supposta supremazia culturale, ha avallato agli occhi dei politici l'idea che il popolo sia fatto di cretini. 
E il bello è che i politici ci credono, indipendentemente dal credo politico!
Trovo veramente demenziale - oltre che avvilente, ma questo è un altro paio di maniche - che persone che si reputano tanto intelligenti da meritare di occupare il posto che hanno, non considerino i rischi cui vanno incontro perseverando in un atteggiamento ripugnante oltre ogni limite di sopportazione.
Siamo d'accordo: tengono famiglia; in qualche caso, come per esempio il già citato presidente della Camera, più di una; hanno anche la consapevolezza che, tranne rare eccezioni dovute quasi esclusivamente a ordini di partito, non verranno rieletti alle prossime politiche; di qualcosa bisogna pur vivere, e per un fallito fare il parlamentare è pur sempre meglio che lavorare; però c'è un limite a tutto, e la corda sta per essere spezzata con conseguenze potenzialmente imprevedibili.
Reintroduzione dell'ICI maggiorata; incremento dell'IVA di due punti; controlli bulgari sulle spese; persino l'obbligo di un conto corrente (e relative spese non banali) per pensionati che vivono con 400 euro al mese. 
Chi crediamo di prendere per il culo? 
Pensiamo che i soldi necessari al risanamento, al pareggio di bilancio, al rilancio dell'economia verranno dalla spremuta dei pensionati minimi?





Ho il massimo rispetto per il premier Monti: è persona seria, presentabile e credibile, soprattutto da quando ha detto di rifiutare il compenso di Presidente del Consiglio.
Vorrebbe rinunciare anche a quello di Senatore a vita, ma qui le regole parlamentari non glielo consentono.
Guarda caso.
Bisogna sempre evitare che i coglioni diano il cattivo esempio, no?

domenica 4 dicembre 2011

Lessico coniugale

La vita è una questione di priorità.
Ad esempio: se sto caricando la musica sul mio nuovo iPad da 64 Gb, vi sembra che posso pensare seriamente anche a portare giù quattro sacchi di pattumiera differenziata?
Ma evidentemente non tutti la pensano così, quanto meno in casa mia. Sono i momenti in cui la moglie pensa che il marito si sia imbarcato in una serie di questioni di rara inutilità e, per comunicarglielo, sceglie di parlargli in una lingua apposita: il lessico coniugale.
Adesso vi propongo un dialogo fra marito e moglie; il dialogo avviene in lingua; a lato del dialogo fornisco la traduzione in italiano.

Controllo iTunes e intanto, in guisa di brusio di fondo, mi arrivano delle voci:
"Che raccolta c'è fuori stasera?".
Sospiro. La domanda è retorica. Sono 11 anni che viviamo qui e lo so persino io che la domenica sera c'è l'indifferenziato. La domanda - lo so bene - prelude alla questione successiva:
"C'è fuori l'umido?"
"No, Maia [ndr: soprannome di Cristina: la chiamo così dai tempi delle prime blaterate di Giacomo che non riusciva a dire "mamma"]. Lo sai benissimo che domenica sera non c'è mai l'umido"
"Ah. Però ce ne sono due sacchi. Adesso mi vesto e scendo a portarlo io" [Traduzione: "Se non lo porti fuori sei fottuto"]
Capisco l'antifona e chiudo momentaneamente l'iPad.
"Va bene - dico rassegnato - Solo l'umido o anche l'altro?"
"No, no. Non stare a disturbarti, devi già portare il cane" [Traduzione: "Ci sono quattro sacchi pattumiera da portare giù: umido, indifferenziato, carta e plastica"].
Decido di continuare momentaneamente con i miei lavori sull'iPad; c'è anche il problema non indifferente dell'app iFarmaci (il prontuario farmaceutico) che funziona perfettamente sull'iPhone ma, chissà perché, non ne vuole sapere del ben più comodo e spazioso iPad.
Sento un sospiro:
"Be', vorrà dire che i sacchi li porterò giù domani in due viaggi. Anzi, in tre, visto che già devo portare giù il cane" [Traduzione: "Mentre ti fai i cazzi tuoi in ospedale, io mi devo sempre fare il culo"].
So riconoscere la sconfitta. Mi metto le scarpe, poi metto il guinzaglio al cane; quindi, comincio a radunare i sacchi della pattumiera. 
La moglie mi osserva scuotendo la testa:
"Non ce la farai, quattro sacchi più il cane! Lascia stare!" [Traduzione: "Sei ancora qui?"].
Mi carico dei sacchi, metto il guinzaglio sotto l'ascella e scendo. Il bassotto mi trotterella dietro.

Al ritorno, Cristina guarda languida l'iPad:
"Ci devi lavorare stasera?".
Anche questo è lessico coniugale. Sospiro e prendo il più scomodo laptop, quello da dove vi sto scrivendo.
Lunedì probabilmente mi iscriverò al corso di inglese del British Institute, ma non dovrebbero esserci problemi: sono portato per le lingue, è una questione di sopravvivenza, non solo ai congressi ma anche in famiglia.

PS: Cristina sta smanettando allegra sull'iPad. La traduzione della sua ultima frase è: "L'iPad è mio, guai a te se osi pensare di toccarlo!"

venerdì 11 novembre 2011

Il regalo di Maria

Anche a non voler essere superstiziosi, l'11/11/11 si rivela effettivamente una pessima giornata in cui niente - dico: niente - va per il verso giusto.
Edgardo D'Angelo, il mio professore di Fisiologia all'Università, diceva che se diamo a un candidato il 50% di possibilità di dare una risposta giusta o una sbagliata, sceglierà invariabilmente quella sbagliata; e ce lo dimostrava proprio agli esami bocciando il malcapitato che aveva davanti proprio con una domanda di questo tipo. Oggi, con una serie di congiunture astrali che si sono accumulate sulla situazione da gestire, le cose potevano andare solo molto bene oppure per niente. Senza via di mezzo. 
Infatti, mi sono sentito appunto come all'esame di fisiologia. 

Ma anche quando non hai nessuna voglia di ridere, ecco che la vita riprende a sorriderti.
Arriva un enorme pacco giallo: Maria si è ricordata del tuo compleanno.
Scarti il pacco, incuriosito, ed ecco che improvvisamente




quella giovane donna piacentina dal sorriso che conquista ti ricorda il motivo per cui hai scelto di affrontare questo lavoro.
E basta la buffa scatola di quel vecchio gioco per ricordarti che la vita è allegria, è speranza, è la saggezza dell'attesa quando invece avresti voglia di affrontare tutto e subito e ti fermi solo perché altrimenti il paziente potrebbe morire, ma fermarsi è sempre difficile; è la forza della pazienza di rimandare un appuntamento anche quando tutto sembra andare storto.

Oggi ho detto a M.G. che ci rivedremo, che andremo nuovamente in onda a Marzo, che allora tutto andrà bene: ma in quel momento non ci credevo particolarmente.
Stasera gioco con l'Allegro chirurgo, la pinzetta affonda nella pancia a recuperare oggetti di ogni genere e il nasone rosso del paziente si accende mille volte; io rido come un cretino e penso che Marzo, in fondo, non è troppo lontano...

Il regalo di Maria è l'allegria

martedì 1 novembre 2011

Mi piace Matteo Renzi

Mi piace Matteo Renzi.
No, non ho deciso di accodarmi al messia di turno; semplicemente penso che la sua sia una faccia presentabile di uno che dice cose di Sinistra (maiuscolo) in un mondo come il nostro in cui la sinistra (minuscolo) sembra abbracciare un unico pensiero praticabile, e cioè far fuori l'attuale premier; oppure cavalcare come al solito il sindacalismo becero, quello che fa dell'intransigenza non una battaglia per i lavoratori, ma uno specchio per il narcisismo dei leader.
Credo che la Sinistra (maiuscolo) sia qualcosa di più e di meglio.
Per uno come me che non si riconosce in questa destra (minuscolo) rappresentata dal governo attualmente in carica o, in alternativa, dal presidente della Camera, Renzi è qualcosa in più di un compromesso.
Leggendo i famosi cento punti (vedi il link) mi rendo conto che quello che cerco veramente sempre di più nella politica che pure ho tolto dalla mia vita da 4-5 anni è una specie di socialismo riformista simile a quello che esiste in Paesi civilizzati come la Svezia.
Di Idee e Ideali ancora rappresentati da gente come quella che è all'opposizione e avversati - almeno a parole - da quelli al governo, ne ho formalmente piene le palle: troppo vecchi gli uni e gli altri, ma soprattutto ancora troppo attaccati all'idea bicefala di un partito che li governa e un altro da odiare. Questo atteggiamento - che per me è il vero "centrismo", cioè tutto ciò che ha bloccato l'Italia sin dal momento della fondazione della Repubblica - deve essere superato da una politica che pone l'uomo nella comunità al centro dei propri interessi.
Utopia? Illusione?
Forse. E comunque, come ho detto più volte, non ho nessuna intenzione di dare più il mio voto a scatola chiusa a qualcuno, anche se mi è istintivamente simpatico come Renzi: ammesso e non concesso che scenda in campo, dovrà prima dimostrarmi che ha veramente intenzione di mettere in pratica quello che promette; di inculate ne abbiamo già prese a sufficienza da altri personaggi che hanno stipulato contratti con gli italiani. Io come tanti altri. E siamo in tanti: siamo tutti quelli che non votano più per nessuno.
Ma per l'intanto, l'aspetto che mi sembra più incoraggiante è il fatto che Renzi stia notevolmente sulle palle dei notabili del suo partito, a cominciare dall'omino che lo presiede; che sia detestato da quelli che ormai erano pronti ad appropriarsi di tutta la sinistra, dandole dei connotati che non ha se non in parte; e che sia massacrato da buona parte della bloggosfera che preferisce riconoscersi in altri modelli già collaudati di comodo antiberlusconismo, di partitocentrismo eliotropico o di partigianeria militante e eloquente. E che piuttosto che un uomo dichiaratamente di Sinistra, preferiscano eleggere a proprio simbolo il presidente della Camera, ex fascista prestato al trasformismo opportunista e, per questo motivo e per episodi personali recenti, totalmente privo di credibilità, destinato solo a fare lo zerbino - lui e il suo risicatissimo gruppo - di quei personaggi di cui è diventato l'enfant gatè.
Concita De Gregorio, dalle pagine di Repubblica, fa il solito lavoro obliquo del commentatore di sinistra che  capisce ma fa finta di non capire e parla ancora di militanza di base, di "partito che lo ha portato" lì, di "sostegno economico e organizzazione".
Ma la base del PD ormai non esiste più, la sinistra ha solo un'anima, quella che finirà con la morte fisica o politica di Berlusconi, quella che non servirà per ricostruire; e tutti devono sforzarsi di ri-conquistare alla politica quelli come me, quelli che non si riconoscono in nessuno, i delusi, quelli che nella cabina elettorale hanno incrociato le braccia.
Se Renzi ha voglia di conquistarmi, si dia da fare

sabato 22 ottobre 2011

I globetrotter del pestaggio


Domani è in programma, nella pacifica Chiomonte, una pacifica manifestazione di pacifici valligiani che si opporranno - pacificamente, si capisce - ai lavori per la TAV.

Naturalmente, siccome sarà una manifestazione pacifica, il fatto che un black bloc distintosi nei recenti atti vandalici di Roma stesse facendo le valige per la Val Susa assume una connotazione marginale. In sintesi: i rompicoglioni ci saranno, lo sappiamo benissimo, ma i valsusini saranno bravi e non si faranno manipolare da questi professionisti globetrotter della devastazione a domicilio.
Voglio dire: stiamo o non stiamo parlando di una manifestazione pacifica di pacifici valligiani? Quindi, di cosa abbiamo paura, delle solite quattro o cinque centinaia di picchiatori professionisti che si spostano su invito e anche spontaneamente laddove ci sia da rompere i coglioni?

Fuori dall'ironia da quattro soldi, solo un ingenuo poteva pensare che questa gente se ne stesse fuori dalla festa, come se non fosse invitata dal comitato organizzatore. Tanto per rinfrescare la memoria, il 29 luglio ci furono in analoga situazione 6 feriti - tutti fra le forze dell'ordine - assaliti da gente con la faccia coperta che lanciava bulloni, bombe carta, biglie, fumogeni e fuochi d'artificio.
Valligiani anche quelli? O black bloc, o altri rompicoglioni professionisti?
Un no-TAV in assetto da guerriglia 
E d'altra parte - conveniamone - è difficile credere aprioristicamente alla programmata non violenza del pacifico evento, atteso che l'endpoint primario è arrivare a tagliare le reti del cantiere.
Staremo a vedere; magari queste sono tutte precauzioni inutili.
Nel frattempo, vale la pena di sottolineare la poliedricità dei professionisti del pestaggio che sposano indifferentemente cause politiche a sfondo anarco-insurrezionalista e gretti interessi locali anche se colorati di ecologismo; e poi c'è il solito segaiolo che si ostina a delirare sulla rabbia giovanile che deflagra...
Almeno quelli dei miei tempi, a parità di rotture di coglioni, avevano maggior dignità; e non si nascondevano dietro a propositi pacifisti

martedì 18 ottobre 2011

Son sessant'anni, o vecchio, che tu servi...

Dopo essere stato un po' polemico col "Giornale" che fu di Montanelli e che da un bel po' di anni sembra un po' troppo un organo di partito, devo fare ammenda con Alessandro Sallusti che, dando prova di giornalismo serio e responsabile, ha aiutato le forze dell'ordine ad arrestare lo spregevole pezzo di merda noto come Er Pelliccia; il quale, novello Enrico Toti, prima getta l'estintore (arma per conflitti sociali sdoganata come tale dieci anni fa) oltre l'ostacolo, poi festeggia mandando a fare in culo chi gli sta di fronte, infine - arrestato - se la fa nelle mutande e rinnega la Missione.
C'è da dire però che i tempi sono passati per tutti, anche per i rivoluzionari comunisti, quelli giovani e quelli vecchi. 
Rispetto ai loro antecedenti che, quando venivano arrestati, si qualificavano "prigionieri politici", questi ragazzotti si dissociano immediatamente: "Non sono un black bloc - si è affrettato a precisare il coraggioso Pelliccia - e l'estintore l'ho usato per spegnere l'incendio".
La rabbia sociale si spegne nella codardia, nel ruggito del coniglio di fronte alla DIGOS: e basterebbe questo per smentire Valentino Parlato, classe 1931, co-fondatore del "manifesto" e autore di un editoriale imbarazzante persino per i (pochi) compagni che cercano di giustificarlo. 
Il vecchio rivoluzionario da scrivania ha affermato che è meglio che ci sia stata la violenza, "segno dell'urgenza di uscire da un presente che è la continuazione di un passato non ripetibile".
Ci sono quasi sessant'anni di anagrafe fra il Pelliccia che - da miserabile vigliacco qual'è - rinnega l'urgenza di uscire dal presente e che lo ha indotto a brandire l'estintore, e questo patetico vecchietto che crede di essere ancora nella Russia zarista del 1917; e il passato, anziché non ripetibile, sembra essersi cristallizzato - solo per lui e per qualche sfigato - in una sorta di specchio che restituisce al rivoluzionario fallito, che ha visto crollare pateticamente il proprio Ideale, l'immagine distorta di un mondo che esiste solo nella propria mente e in quella dei quattro rincoglioniti che ancora gli credono

sabato 15 ottobre 2011

Serenamente. Pacificamente

Teppisti.
Giovani dei centri sociali.
Black-bloc.
Incappucciati.
Mille nomi diversi per indicare un gruppo di giovanotti, che anima - per così dire - i cortei che a vario titolo si organizzano per protestare, per mille motivi, senza mai indicare una soluzione praticabile e ragionevole.
C'è da mettersi di traverso contro i lavori della TAV? 
C'è da bloccare l'attivazione di qualche nuova discarica non gradita ai comitati di zona che, invece, preferiscono inviare la rumenta altrove? 
C'è da infondere un po' di brio ad una noiosissima manifestazione pacifica di indignados?
Pronti: c'è sempre a disposizione qualche centinaio di teste di cazzo che vanno a lanciare sassi e a incendiare qualche auto o cassonetto.

L'estintore, special weapon del vero black bloc
Li chiamano incidenti, dando per scontato che si tratti di qualcosa che nessuno si aspetta, di non voluto.
Accidenti, stavamo facendo una manifestazione pacifica e improvvisamente arrivano quelli lì che mettono a ferro e fuoco la città! Oh cavolo, e chi se lo aspettava? E chi mai andava a pensare che questi facessero cose così brutte?
Eh certo! Arriva qualche centinaio di gentlemen con caschi in testa, spranghe, molotov e nessuno si aspetta che le cose possano degenerare.
Improvvisamente la manifestazione non è più pacifica: peccato, stava andando tutto così bene! Nessuno, a parole, si aspettava una deriva violenta.
Curioso, in fondo, perché i black bloc li conoscono tutti molto bene e non sono affatto pacifici: sono autonomi della sinistra extraparlamentari, nati in Germania negli Anni Ottanta a supporto della RAF, le brigate rosse tedesche. Sapere che arrivano quelli - e lo sanno tutti con largo anticipo, non veniamo a raccontarci puttanate - vuol dire di fatto prenotare il giorno di distruzione metropolitana, esattamente com'era successo a Genova dieci anni fa e come succede tutte le volte che si muove la protesta inizialmente pacifica; l'unica differenza con Genova è che stavolta non c'è stato il morto, ed è stato tutto merito delle forze dell'ordine. 
Il morto, annunciato da Di Pietro, è stato comunque meticolosamente cercato: ecco un link con il sito web del "Giornale" in cui viene riportato un comunicato comparso il 14 ottobre sul sito di Indymedia, network della sinistra oltranzista, che invita a prendere il controllo della piazza anche a costo che qualche compagno muoia. 
C'è sempre una piazza Alimonda e un estintore per ogni vero rivoluzionario

giovedì 6 ottobre 2011

Stay hungry. Stay foolish

Quando nel 1998 dovetti cambiare il PC, decisi di fare un'indagine di mercato e entrai, quasi per caso, in un Apple store di Milano, in via Lazzaro Palazzi. La mia era solo curiosità, non avevo intenzione di comprare un Mac, e ne uscii con in mano l'ordine di un iMac rev. B, colore azzurro bondi, l'unico disponibile.
Iniziai a documentarmi, a girare nel mondo dei forum di argomenti Apple, confrontandomi con i terribili Mac-evangelisti, alcuni simpatici e collaboranti, altri profondamente stronzi come tutti coloro che ritengono di essere investiti da una Verità superiore.
Al lavoro mi presero tutti in giro, a cominciare ovviamente da coloro che poi, seguendo l'onda, diventarono del tutto Apple-addicted: MacBook pro, iPhone e iPad contemporaneamente, hai visto mai che ti sfugge qualche app.
L'iMac rev. B: bello, eh?...
All'epoca, a dire la verità nuda e cruda, qualche ragione da vendere l'avrebbero anche avuta: il prodotto era esteticamente splendido, tecnologicamente innovativo (comparivano le prime porte USB e scompariva lo slot per i floppy disk, che credevamo indispensabili) ma ancora comunicava poco con il resto del mondo e in particolare con i software Microsoft.
In compenso: la connessione internet, ancora avventurosa con Windows (in quegli anni dovevamo connetterci con uno strano software che si chiamava Trumpet Winsock e solo dopo un po' comparve la più semplice  connessione remota, tutte cose che i bimbiminkia che oggi si reputano smanettoni non sanno nemmeno cosa siano), diventava semplicissima con quel testone azzurro che, per di più, non si prendeva i virus. Non si passava attraverso il vecchio Dos che, giova ricordarlo, è ancora la piattaforma di lancio di Windows 7, ultima attuale versione dell'ambiente operativo Microsoft, una scopiazzatura di un qualsiasi Mac OS. E poi, usare un Mac faceva fico: ti dava l'idea di appartenere a una comunità elitaria che davvero pensava differente, come diceva la pubblicità.

Oggi usare un prodotto Apple non è più pensare differente: è seguire l'onda, adeguarsi, convincersi di non poter fare più a meno di qualcosa che ha cambiato definitivamente la nostra vita, il nostro modo di guardare al mondo. A tal punto ci ha cambiato l'uomo di Cupertino che ha introdotto il concetto di personal computer.
Potremmo decidere di fare a meno alternativamente dell'iPhone o dell'iPad, ma difficilmente rinunceremo a entrambi. Io per esempio non uso l'iPad, ma l''iPhone è cementato nella mia tasca ed è diventato uno strumento indispensabile del mio lavoro - grazie a tutti gli applicativi medici - e del mio tempo libero, anche perché nella sua versione 4 le foto sono diventate veramente le migliori possibili per un telefono.
Oggi pensare differente potrebbe essere utilizzare un Nokia da 30 Euro che faccia solo il telefono e che sì, forse ti distinguerebbe come libero pensatore un po' snob ma poco credibili e un po' paraculo, come quelli che non tengono la televisione in casa e poi la vanno a vedere dagli amici o sul computer. 
Ma all'epoca noi eravamo diversi: come Steve Jobs, che oggi ci ha lasciati, ci mettevamo di traverso al conformismo delle anime morte che si riconoscevano nei prodotti plastificati di assemblaggio che davano l'illusione di costare meno e che poi erano sempre in manutenzione, mentre il mio testone azzurro non si ruppe mai, concedendosi solo ogni tanto qualche piccola "bombetta" di sistema: niente che non fosse ovviabile con una bella chiusura forzata.
Guardo tutti i ragazzetti che girano con il loro bravo iPhone in tasca e tutti i miei colleghi e amici più vecchi e rimbambiti che, all'epoca, mi prendevano per il culo per la mia scelta e adesso smanettano sull'iPad come facevano da adolescenti davanti ai fumetti di Lando e del Tromba: li compiango perché non sono mai stati affamati, perché non sono mai stati matti.
Dove eravate quando io pensavo differente?
Troppo comodo adesso



lunedì 3 ottobre 2011

Quel buon vecchio Hannibal

Ho resistito sinché ho potuto, ma stasera mi tocca proprio: devo compilare il censimento, una vicenda che mi porterà via moltissimo tempo fra domande insulse e domande più sottili che credo mirino a corroborare l'anagrafe tributaria.
Beninteso: ben venga il censimento se aiuterà a combattere l'evasione.
Ma per me questa stasera è una rottura mortale e non posso fare a meno di ricordare il buon vecchio Hannibal che, nel "Silenzio degli innocenti", raccontando all'agente Clarice Starling dell'ultima volta che un tizio ha cercato di fargli un censimento, coglie l'occasione per suggerirle l'interessante accostamento alimentare-enologico che tutti ricordiamo bene, perché ha inquietato le nostre notti



venerdì 23 settembre 2011

Condivisione

Al telegiornale di oggi, Mark Zuckerberg inventore di Facebook ha presentato la nuova versione del suo divertente social forum. Questa release permetterà di entrare ancora più in comunicazione con il mondo di cui fai parte, condividere con gli altri tutti i contenuti sino a fare della tua vita una specie di sito internet cui gli altri abbiano accesso.
Io ascolto incuriosito: anch'io per un po' ho praticato Facebook (adesso è il turno di Giacomo) e non escludo prima o poi di tornarci. 
Sembra tutto molto bello, ma c'è qualcosa che mi sfugge e non riesco a capire esattamente di cosa si tratta.
E' Cristina a inquadrare perfettamente il problema:
"Com'è possibile: da una parte tutta quest'ansia di condivisione, dal'altra tutte le amicizie e i rapporti affettivi che vanno a farsi fottere?".
Quando si dice la saggezza femminile...

C'è in effetti qualcosa di ambiguo e quasi schizofrenico in questa vera e propria corsa alla condivisione virtuale.
Non viviamo in un momento che ricorderemo per la generosità, per l'estensione dei propri contenuti agli altri.
Tendiamo trionfalmente a farci i cavoli nostri: usciamo dal lavoro e ci chiudiamo nelle nostre case e guai a chi invade la nostra privacy. Quella fisica, ovviamente, perché sul social forum è tutta un'altra storia: lì è tutto un profluvio di foto, di "sto facendo questo", "ufficialmente fidanzato", "tornato single" e altre amenità che, normalmente, non partecipiamo al nostro prossimo.
Cosa ci spinge? Difficile da spiegare, tenuto conto che non è un nostro comportamento abituale nella vita di tutti i giorni. Anzi...

Ormai è circa un anno che ho chiuso i ponti con Facebook. Ogni tanto sento la nostalgia e la curiosità di rivedere come vanno le cose e ci butto il naso, solo per rendermi conto che nulla sembra essere cambiato: la sera si condivide virtualmente con le stesse persone la vita che durante il giorno hai condiviso fisicamente.
Sembra sciocco? Mica tanto: ci sono 800 milioni di utenti che lo fanno in tutto il mondo. Qualcuno in modo anche compulsivo, tanto da identificare una vera e propria patologia da condivisione, la "Friendship addiction" che ha indotto il Policlinico Gemelli a aprire un ambulatorio specifico dedicato.





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sabato 10 settembre 2011

Le vedove

Io al mattino, andando a lavorare, passo accanto a un cimitero che, all'ora in cui passo, trovo sempre chiuso.
Ieri mattina ci sono passato davanti più tardi, essendo stato rallentato da un intoppo (ammesso che si possa definire così l'aver riempito un serbatoio di gasolio con 25 lt di benzina verde) che mi ha costretto a fare una gita dal meccanico; e così ho potuto vedere le vedove.

Anni fa, la signora MCC, spigolosa sorella di un nostro amico di famiglia, aveva affermato davanti al placido marito che la condizione ideale per una donna è la vedovanza: in buona sostanza, soldi di pensioni di reversibilità e nessun vecchio rompiballe da accudire. Fu accontentata di lì a un anno, ma non visse - ahilei - a sufficienza per godersi il suo nuovo e ambito status.
Lei tra l'altro ragionava da cittadina, ma in un paese quella delle vedove è una confraternita importante.
Le ho viste, l'altra mattina: un gruppo di una dozzina di signore, fra i 70 e gli 80 anni, che uscivano in gruppo dal cimitero.
La visita al Caro Estinto è un'occasione sociale in cui il marito è un pretesto per un momento di condivisione, un di più preparatorio ad altri riti come il caffè, le ciacole in compagnia, la convinzione di appartenere a una comunità di sodali, una specie di società di mutuo soccorso.
C'è nella donna - qualunque donna - una capacità di sopravvivere a qualunque tristezza, anche alla morte del marito con cui si sono condivisi decenni spesso difficili, fra difficoltà economiche e mugugni degli uomini al ritorno dal lavoro, carrelli della spesa strapieni e cene da preparare anche quando non ne hai voglia, figli ingrati ed esigenti e amplessi da consumare come una naturale deriva del lavoro quotidiano, conti da far quadrare a fine mese e congiunture di ogni genere e grado.
E, soprattutto, uomini che si aspettano che tutto sia sempre dovuto, e che diradano la tenerezza come i capelli sulle loro tempie, come le foglie sugli alberi in autunno.
Nella confraternita delle vedove che mi è apparsa ieri come una tranquilla fiumana che sciamava fuori dal cimitero, io ho visto la serenità di chi ha dolorosamente sopportato prima la vita, e poi la morte del compagno, e che adesso è pronta ad affrontare una vita di solidarietà con altre amiche che condivideranno la stessa tranquilla quotidianità fatta di assenza e di televisione.
In fondo, la donna sopravvive nonostante l'uomo

mercoledì 7 settembre 2011

Una merda di scorta

Ieri zio Michele è stato definitivamente prosciolto dall'accusa di omicidio della nipote: non potrà più fornire la tanto attesa nuova versione settimanale.
Oggi, probabilmente, la finanziaria verrà approvata in Parlamento: nessuno potrà più stravolgerla quelle quattro-cinque volte al giorno. Pare che persino la Camusso non si ricordasse più per che cazzo aveva promulgato lo sciopero.

Questo Paese (non tanto Bel) sta ricominciando a diventare troppo prevedibile.
Si sente la mancanza di una merda di scorta.
Se ne sono accorti anche i telegiornali che, da un paio di giorni, fanno pellegrinaggio sulle spiagge brasiliane, ultimo santuario dei veri rivoluzionari

mercoledì 24 agosto 2011

Taccagni liguri (e non solo...)

Questa mattina, al supermercato di Celle, il conto della spesa è di euro 9.24. Mollo il deca e poi frugo nella monetaglia, in cerca di quei centesimi che - in tutta Europa - servono solo qui, unicamente in questa regione i cui abitanti sono noti (e a ragione, garantisco) per essere veri micragnosi.
Non so chi di voi abbia esperienza di Liguria: per parte mia, io so che quando vengo qui devo riabituarmi a queste monetine del cavolo che, dalle mie parti, non si usano più, visto che i conti vengono limati alla decina superiore o inferiore, a seconda. 
In Liguria invece no, come mi fu fatto notare una volta da un cassiere, il che mi indusse (e mi induce spesso tuttora) a pagare il centesimo con una moneta da un euro, se non addirittura con una banconota, solo per dispetto e per costringere il suddetto cassiere a fare i numeri per darmi il resto. Che poi, ovviamente, gli riconto sotto il naso. 
Ma oggi c'è qualcosa di più. Vado a prendere il Corriere ed ecco in prima pagina un rimando a ben due articoli interni sui centesimi che nessuno vuole (o vorrebbe, a seconda della regione). 
Il tutto nasce dalla giusta polemica del parroco di Atella (Potenza) che avrebbe insistito nel corso dell'omelia sulla taccagneria dei suoi fedeli che mettono le monetine da 1 o 2 centesimi nella buschetta delle offerte. Scopro che, al di là delle consuetudini (il mio panificio da cui mi servo nella città in cui abito non le distribuisce né le accetta più da anni), ci sono alcuni Stati come la Finlandia che le hanno abolite de iure da subito. Mi sembra giusto: pesano, valgono poco, ma soprattutto non possono essere considerate unità di misura di nessun costo della nostra vita. 
Ma ecco che invece tale Gianni Toniolo, nella pagina dei commenti, ricordando nientemeno zio Paperone come esempio di capitalista che ha costruito la sua fortuna dal primo decino (cioè 10 centesimi: per quanto, è già dieci volte di più), dà al parroco di Atella di "poco saggio" e "scortese" per aver rifiutato le monetine di rame. Io credo che questa sia una visione un filo ipocrita. 
Non ci credete? Facciamo due conti: un giornale come quello su cui Toniolo ci ammanisce la sua moralità costa 120 di quelle monetine che lui raccomanda di capitalizzare; un cellulare come quelli che i fedeli di Atella fanno squillare durante la messa costa da 40000 a 70000 (a seconda dei modelli) di quelle monetine; una vacanza alle Maldive, per cui i fedeli del parroco di Atella possono arrivare a fare un mutuo, anche 600000, esclusi gli extra. 
Vogliamo stare sul pratico, sulla vita di tutti i giorni? Per una spesa di base, occorrono 1000 monetine di rame; quante messe ci vogliono per tirarle su? E parliamo solo di cibo, tralasciando il resto... Professor Toniolo, ci stiamo forse prendendo per le terga? O facciamo finta di non sapere che la carità non è mai in cima alla lista delle priorità di nessuno? E che ci ricordiamo dei ramini solo quando andiamo a messa?
Cos'è che ci fa pensare che il nostro prossimo possa costruire una fortuna partendo dalle monetine che noi non utilizziamo e disprezziamo?... 
È vero: tutto il mondo è paese, ma non tutto il mondo è Liguria. 
Fortunatamente

domenica 21 agosto 2011

La Padania fra Vailate e Treviglio


Mi fa un po' specie sentire Bossi che ritira in ballo l'indipendenza della Padania perché "l'Italia va male".
Specie? No, scusate: il termine giusto è "incazzare".
Va bene: l'Umberto, ultimo dei veri comunisti di una volta (cresciuto, lo ricordo, nel gruppo del "manifesto"), tiene al consenso del proprio elettorato che si è sentito tradito dalla Lega proprio sul punto più nevralgico, e cioè l'indipendenza non già della Padania da Roma, ma della frazione di residenza dal comune di pertinenza.
Un esempio? Tanti anni fa, uscendo a cena con l'allora mia fidanzata Cristina siamo andati alla famosa Pizzeria Bar Sport di Vailate. Provincia di Cremona. L'errore tattico fu andarci con una macchina bianca targata Bergamo (comprata usata a Treviglio, peraltro al confine con Vailate). Risultato? Esco dalla pizzeria e trovo la scritta "Pirla" a caratteri cubitali in vernice spray nera sul cofano bianco della mia Citroen BX.
Siamo d'accordo: questa è una nobile guerra di province, ma queste province appartengono tutte alla grande e nobile nazione padana.
Questa è la Padania che Bossi vorrebbe unire; e questo, se vogliamo, sarebbe anche l'aspetto folkloristico della vicenda.
Ma ce n'è qualcun altro più serio:
Bossi parla da leader (bollito) di un partito di governo. Non solo: è ministro delle riforme istituzionali di tale governo, come Calderoli lo è della semplificazione, anche se non mi vengono in mente riforme istituzionali a firma Bossi né semplificazioni a firma Calderoli; quelle dell'abolizione dei comuni piccoli e delle province sarebbe la prima, e infatti non l'hanno scelta loro e non sanno come venderla ai loro elettori. Ora, se con le parole sconfessi davanti ai tuoi elettori quello che, coi fatti, hai ratificato al Consiglio dei Ministri, o sei ottenebrato o sei in malafede.
In entrambi i casi, non sarebbe male se te ne andassi a casa. E così:
  1. potresti parlare al tuo popolo in delirio da leader politico, e non da ministro dello stato che vorresti abbandonare; non, cioè, come pietanza di quel piatto in cui sputi
  2. ci libereresti dallo sgradevole onere di pagarti lo stipendio per qualcosa che non fai
  3. potresti finalmente provare a rendere indipendente la Padania; e, se ce la fai, a unificarla
E qui saranno i veri cazzi: chi farà marciare uniti sotto il sole delle Alpi i cittadini di Treviglio con quelli di Vailate? Bergamaschi e cremonesi o (Dio non voglia) bresciani?...
Se ci riuscirà, mi aspetto il risarcimento per la mia vecchia BX bianca

domenica 14 agosto 2011

Il vento caldo dell'estate

Giorno di bucato, oggi, a Celle Ligure.
Ammiro i boxer del mio pigiama stesi ad asciugare e rimango colpito da un pensiero che mi affretto a partecipare alla consorte.
Strano destino, quello delle mutande: sono l'indumento più nascosto fra quelli con cui ci copriamo; eppure sono sempre bersagliate da due tipi di vento: quello esterno, come quando vengono stese; quello interno, durante i momenti di maggior relax.
L'uno - il primo - asciuga; l'altro può inumidire.
L'uno è profumato, ma può far ammalare (poni caso che te lo prendi addosso quando sei un po' indisposto); l'altro è sempre segno di benessere, e non occorre citare il vecchio adagio popolare che tutti conosciamo bene.
L'uno ha ispirato poeti e musicisti; l'altro ispira solo frasi non particolarmente eleganti da parte delle consorti che vi vengano inavvertitamente a contatto ("Ma che cazzo avevi stanotte? Hai russato e scoreggiato come un maiale!").
Il primo, in definitiva, emenda i supposti danni del secondo. Ma entrambi - e questo è singolare, e mi colpisce - gonfiano l'indumento più nascosto che abbiamo.

Non so a voi, ma a me sembra un'osservazione di tutto rispetto da fare nel disimpegno di una vacanza.
Ma allora, mi (e vi) chiedo, che bisogno c'era di guardarmi disgustata e mandarmi a cagare?

sabato 30 luglio 2011

Alte aspettative

Uno dei portati inevitabili dell'essere da solo a casa è il frequentare più spesso lo schermo televisivo. Il quale schermo, ogni tanto, porta allo spettatore qualche chicca che va oltre a Qui Studio a Voi Stadio Speciale Calciomercato (contenitore televisivo serale per paterfamilias tifoso). 
Ed ecco quindi accendersi la pubblicità di un sito per cuori solitari che mi ha colpito particolarmente. Intendiamoci: non che sia una novità, la Rete è piena di questi servizi; ma questo va dritto allo scopo perché punta alto, lusingando il potenziale cliente e togliendogli dalla testa l'idea che sia uno sfigato.
Lo slogan, infatti, recita: "Per single con alte aspettative"; e questa è la parte che mi ha colpito maggiormente.

Se si fa su Google una ricerca per "agenzia matrimoniale" vengono fuori un sacco di siti, la maggior parte dei quali propongono ragazze dell'Est europeo, spesso organizzate in cataloghi divisi per età o caratteristiche fisiche. Ti piace nera con grosse tette, non fumatrice e del segno dei Gemelli? La vuoi rossa e dall'aria un po' zoccola? Oppure la preferisci bionda, sui 25 anni, con occhi azzurri ma che non sia alta più di 1.56? Cerca nel catalogo e la trovi; e, se non la trovi, te la assemblano secondo le tue esigenze. Con poche lire puoi andare in loco a conoscerla e poi chissà, da cosa nasce cosa...
Però siamo onesti: nell'accezione comune, chiunque vada a vedere queste vetrine non può essere altro che uno sfigato. Quante persone conoscete che raccontano di aver conosciuto la propria partner in un'agenzia matrimoniale? Nessuno, vero? Eppure ce ne saranno, almeno a giudicare dal numero di questo tipo di servizi.
Invece il sito di cui vi parlo spara alto, a cominciare dalla foto della home che, anziché la solita parata di squinzie russe scosciate, fa vedere una coppia di professionisti rigorosamente italiani, belli come il sole e teneramente abbracciati: sono Anna, designer di interni e Stefano, ovviamente medico. Hai alte aspettative? Questa è l'agenzia giusta.
Essendo curioso e approfittando della possibilità di un account gratuito di base, mi sono iscritto. Il passo introduttivo è un lungo test cui rispondere sinceramente e che serve a identificare le tue caratteristiche. Al termine del test ti viene proposto un blocco di possibili candidate le cui peculiarità si dovrebbero combinare con i tuoi ideali plastici; e tanti saluti alla sorpresa e alla vera sfida di ogni coppia, che è l'incompatibilità totale, quella che dà vero sale a ogni coppia che si rispetti. 
Mancano le foto, che compariranno solo se passi a un abbonamento "premium" (cioè a pagamento): e quivi giunto, ovviamente, ho cancellato l'account.
Posso dirlo?
Piuttosto che 'sta roba plasticata, preferisco le russe: sono belle come il sole, hanno la faccia come il culo, e mi fanno più tenerezza, mi divertono con il loro italiano stentato e tradotto da Google, mi sembrano più ruspanti con i loro programmi granitici all'insegna di "matrimonio o morte", confidando in un marito affettuoso, amante della famiglia, che le sappia coccolare davanti a un camino e possibilmente con figli non conviventi.

Alte aspettative.
Bah.
Vi ricordate i romanzi rosa Harmony? Chissà se esistono ancora... Ai tempi potevi scegliere il tipo di storie d'amore: c'era persino una serie bianca (o azzurra, non ricordo con esattezza), in cui il protagonista maschile era un medico e lei un'infermiera. Se lui era un chirurgo, era garantito un quid di sesso in più; se pediatra, assicurato interesse per il matrimonio con figli; se cardiologo, quasi sicuramente era un malinconico vedovo di una moglie giovane e ex paziente.
Vi parlo di anni fa, e già allora se una doveva sognare, sognava in grande. E del resto, come diceva Julia Roberts in "Pretty woman", chi era l'unica che ce l'aveva fatta veramente? Quella paracula di Cenerentola. Forse aveva anche lei alte aspettative, n'est-ce pas?

domenica 17 luglio 2011

Il concetto di Giustizia fra Svitto e Untervaldo

Citiamo da Il Giornale:

In qualsiasi altro posto del mondo, l'arresto di un pericoloso narcotrafficante sarebbe considerato un «lavoro socialmente utile». Questo non accade alle nostre latitudini, dove può capitare che un agente della Squadra mobile di Napoli (quella guidata, fino a pochi giorni fa, da Vittorio Pisani, il superpoliziotto infangato dalle dichiarazioni di un ex tagliagole di camorra e coinvolto in un'inchiesta sui ristoranti dei clan) finisca sotto processo e per di più condannato in Italia per aver pigiato troppo l'acceleratore in Svizzera all'inseguimento di un criminale ricercatissimo nel globo.
Tutto inizia quando Michele Pellegrino, in servizio alla sezione Narcotici partenopea, viene inviato in missione in un Paese del nord Europa per partecipare alla cattura di un imprenditore del commercio di cocaina; uno di quelli considerati davvero pericolosi perché inondano di neve i rioni ghetto di Scampia e Secondigliano, guadagnando cifre da capogiro e facendo la bella vita tra Bogotà, Montecarlo e Nizza. La soffiata che arriva in Questura è precisa e dettagliata. Occorre attivarsi subito. Preparare le carte, avvisare i ministeri competenti, chiedere autorizzazioni e quant'altro. Ma è sera, ormai, e non è più possibile attendere. Il narcos potrebbe uscire dai radar delle «confidenze» della Squadra Mobile. Così lo sbirro Michele Pellegrino, senza pensarci troppo, noleggia con i suoi documenti e con la sua carta di credito un Suv Volvo con il quale comincia la caccia al camorrista. L'operazione sotto copertura - autorizzata dalla Direzione distrettuale antimafia partenopea e supportata dalla Direzione centrale antidroga di Roma - si conclude con l'arresto del criminale e con il sequestro di 100 chili di droga destinati al mercato italiano. Anziché una medaglia al valore o una promozione per meriti straordinari, ecco l'imprevisto: all'altezza del Cantone dei Grigioni, in Svizzera, il cacciatore di camorristi viene fotografato dagli autovelox perché ha superato di 39 chilometri il limite di velocità (119 km/h invece di 80). Passano due mesi, e a casa dell'agente si presentano i carabinieri con un avviso di garanzia e la convocazione in caserma: la magistratura svizzera ha chiesto, tramite rogatoria internazionale, che il conducente dell'auto che ha turbato la tranquillità del Paese del cioccolato venga identificato e processato (perché nella patria del segreto bancario e dei riciclatori di professione non c'è multa o vigile che tenga, se hai il piede pesante si finisce alla sbarra). Pellegrino cerca di spiegare come può le sue ragioni, ma la legge elvetica sul punto è inflessibile: non c'è differenza tra chi tira l'auto al massimo perché è ubriaco e chi, invece, ha appena partecipato a un blitz antidroga. Bisogna punirlo, punto e basta. D'altronde, gli uffici giudiziari di Como e Milano sanno bene quanto i dirimpettai ci tengano all'osservanza del loro codice della strada: ogni anno sono decine e decine le rogatorie internazionali che atterrano sulle scrivanie dei magistrati lombardi, con tutte le incombenze e i costi del caso a carico dei contribuenti italiani.La Procura di Santa Maria Capua Vetere non può far altro che mettere a disposizione dell'inflessibile Cantone dei Grigioni un pm e tutto l'occorrente - polizia giudiziaria compresa - per interrogare e definire la posizione giudiziaria del poliziotto. Ovviamente, le istituzioni italiane di riferimento non muovono un muscolo per tutelarlo, così dallo stipendio che non è certamente da conto in Svizzera se ne vanno via i primi soldi per ingaggiare l'avvocato e per le carte bollate.Qualche giorno fa, preciso come un orologio svizzero, arriva il decreto di condanna firmato dal giudice d'Oltralpe Claudio Riedi: Michele Pellegrino è condannato a 1.050 euro di multa e a 5 giorni di «lavori socialmente utili» in Svizzera.

Non c'è che dire: viene proprio da pensare a Orson Welles e a quello che disse sugli svizzeri ne "Il terzo uomo":
In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia,  e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù

Infine: siamo tutti ansiosi di vedere cosa intendano gli svizzeri per "lavori socialmente utili": pascolare le vacche? mungere le caprette che fanno ciao? riparare orologi a cucù?

Ma forse il massimo del socialmente utile in Svizzera è proteggere i cercatori di funghi, come fa il segugio di Bizzarone:


domenica 10 luglio 2011

Le faticose vacanze del dottor EsseVi

Ieri mi sono trovato di fronte, dall'altro lato del tavolo operatorio, il dottor EsseVi (per rispetto della privacy, uso uno pseudonimo): splendido professionista, uomo di grande cultura, spiritoso, brillante, amico vero, amante di tutte le cose belle della vita, con particolare riferimento a tutta quella roba che circonda un bel culo e un bel paio di tette. Un ricordo che associo sempre a questo raffinato gentleman risale a una decina d'anni fa: stavamo chiacchierando amabilmente in una pausa fra un intervento e l'altro quando EsseVi, ispiratissimo e forbito come sempre, aprì la porta del corridoio delle sale operatorie e, indicandomi con un gesto ecumenico tutte le nostre avvenenti infermiere colà indaffarate disse sorridendo: "Le vedi queste? Le chiavo tutte"; il che, conveniamone!, a confronto della mia prosaicità, fa di lui un esteta, un raffinato dandy, il Lord Brummel della chirurgia milanese.
Ora ieri questo meraviglioso scultore di prostate mentre è intento a reimpiantare un uretere in vescica lascia cadere quasi con nonchalance che nel mese di Agosto si recherà ancora, come l'anno scorso, ad A. e mi propone graziosamente, con la dignità di un Grande di Spagna, di "vederci". Avendogli io fatto notare che, da quello snob di merda che è, l'anno scorso non mi ha mai cagato nonostante fossimo a 5 km di distanza, lui ha interpretato la mia affermazione come una velata critica nei suoi confronti e si è chiuso in uno sdegnoso silenzio.Siccome il suo atteggiamento mi ha disturbato un po', ho deciso di raccontarvi una giornata tipo di EsseVi in vacanza, in modo che ognuno possa valutare per proprio conto.

  • ore 8: il sole accenna a sorgere sul mare. Il dottor EsseVi apre gli occhi al suono melodioso delle dodici campane d'argento della sua sveglia Cartier d'oro massiccio. Il mattino ha in bocca l'oro e non solo, come vedremo. Entra in camera uno stuolo di fantesche che lo salutano cantando in coro polifonico "Buongiorno dottore, amiamo il Suo odore, ci risveglia l'ardore"; poi si spogliano e lui, svogliatamente, ne indica una che diventa ipso facto la fortunata Prescelta per la fellatio mattutina; le altre 15 gli preparano il bagno in una vasca smaltata ove si immergeranno con lui per spalmarne di unguenti preziosi il tonico corpo
  • ore 8.15: il cuoco uccide lo storione per ricavarne il caviale fresco
  • ore 8.30: il dottor EsseVi fa colazione con tartine di caviale fresco, caffè colombiano portato ogni mattina da Medellin, frutti di bosco e miele dei suoi alveari
  • ore 8.45: si reca alla scuderia della villa di A. ove alloggia. Sale sul suo castrone baio (essendo urologo l'ha castrato egli stesso) e fa una breve e tonificante cavalcata attraversando la pineta di sua proprietà


  • ore 9: arriva al parco macchine e prende la Bentley. Da quell'uomo scabro e essenziale che è, rifugge Rolls e Ferrari ("Roba da cialtroni", afferma disgustato). Percorre l'Aurelia a 190-200 km/ora di media: non ama l'autostrada. Non ha nemmeno l'autoradio: da quell'amante del suono puro che è, tiene in macchina sul sedile posteriore alcuni solisti dei Berliner Philharmoniker che eseguono per lui musica da camera di vario genere. A volte  c'è anche il direttore, sir Simon Rattle, ma non sempre. Con una rotazione della mano destra in senso orario, il dottor EsseVi  segnala di voler cambiare il brano musicale; in senso antiorario segnala invece di volere che la smettano di rompere i coglioni con quella musica per rimbambiti
  • ore 9.15: arriva alla clinica privata extralusso Villa dei Tigli. La macchina (con i musicanti all'interno) viene presa in consegna dal proprietario della clinica che accetta sorridendo umilmente una mancia di 100 euro per parcheggiarla. Intanto il dottor EsseVi si reca in sala operatoria dove un gruppo di assistenti ha già aperto l'addome del paziente; in un quarto d'ora, non un minuto in più né uno in meno, toglie la vescica e intanto umilia gli assistenti con motteggi di gusto vagamente baronale. Qualcuno di essi per ingraziarselo lo chiama "professore", il che lo fa inalberare per l'accostamento con "...i pomposi imbecilli universitari". In effetti non opera certo durante le vacanze per quei miserabili 41000 euro di quota di primo operatore, ma solo per rilassarsi
  • ore 9.40: nello spogliatoio, un'infermiera di sala gli pratica una fellatio. Veloce e essenziale, come piace a lui
  • ore 9.45: mentre accende la Bentley, si risvegliano i musicanti che stavolta attaccano un brano di Berg. Il dottor EsseVi si accende un Romeo y Julieta inviatogli direttamente da Raul (Castro). Intanto telefona al porto turistico di V. perché i marinai comincino a preparare il Vulva, lo yacht da 156 metri per l'uscita giornaliera
Il Vulva
  • ore 10: il Vulva ormeggia davanti a A. Il dottor EsseVi si spoglia sulla spiaggia; i suoi vestiti madidi di sudore saranno raccolti dai bagnanti e da altri pezzenti. Si tuffa in mare nudo e, usando la generosa virilità come un timone, in poche bracciate arriva allo yacht
  • ore 10.05: scambiate poche chiacchiere formali con gli ospiti (fra gli altri: Barack Obama, Steven Spielberg, Valerio Scanu, Gérard Depardieu, due troie e un giornalista di sinistra che fa sempre fine avere a bordo), cui presenta con disprezzo la galleria di quadri originali di Mantegna, Picasso e Mondrian, oltre alla sculture di Brancusi, si reca al ponte superiore. Qui, su un campo da tennis zollato con erba di Wimbledon, si allenano le due figlie sotto la supervisione di Maria Sharapova, scelta fra le 576 tenniste che si sono proposte, in virtù del ranking e del fatto di avere un bel culo
  • ore 10.35: si pone ai comandi del Vulva e fa avanti e indietro davanti alla spiaggia di A. a velocità elevata per far vedere che lui ce l'ha enorme (lo yacht) e sollevando onde che si abbattono sul lido come lo tsunami delle Filippine. Sa di essere un po' infantile, ma se ne fotte e ridacchia facendo: "Wrooom, wrooom!"
  • ore 10.55: dà un po' di gas ai motori e arriva in Sardegna. Le bambine vorrebbero giocare con Ulisse, il delfino curioso; lui contropropone i tonni dicendo che in fondo sono cetacei sottosviluppati, ormeggia a Carloforte e le butta in acqua ridendo
  • ore 11.35: accende sul ponte inferiore il barbecue allestito con un pino marittimo prelevato dalla pineta di Arenzano di cui - lo ricordiamo - è proprietario
  • ore 12.05: arrostisce un porceddu e proprio il delfino Ulisse, scambiato erroneamente per un rarissimo pesce spada monco (di spada, appunto) e conseguentemente infilzato con apposito arpione esplosivo, ma spera che le bambine non se ne accorgano
  • ore 12.36: le bambine invece se ne accorgono eccome e gli fanno una piazzata bestiale
  • ore 13.01: va a tavola con gli ospiti
  • ore 13.02: Valerio Scanu canta il suo più grande successo ma, arrivato al punto in cui fa l'amore in tutti i luoghi e in tutti i laghi, il dottor EsseVi gli lancia contro i due dobermann Pontello e Siffredi. I due cani, che vantano lo stesso carattere di merda del loro padrone - e sono conseguentemente incazzati neri - risultano per di più molto affamati
  • ore 14.15: congeda gli ospiti sopravvissuti, tranne le troie, che lo accompagnano in camera per il riposino post-prandiale
  • ore 16.03: tutti si risvegliano, comprese le citate professioniste che, per il vero, appaiono piuttosto provate dal "riposino" del dottor EsseVi
  • ore 16.15: mentre il Vulva circumnaviga la Sardegna, tutti si recano nella sala cinema privata dello yacht dove Spielberg in persona presenta l'anteprima del suo nuovo film. La "pizza" viene caricata su un proiettore originale del vecchio cinema Odeon (prima del restauro). Non potendo disporre per ovvi motivi di Philippe Noiret, cerca di convincere Gérard Depardieu a fare il proiezionista come in Nuovo Cinema Paradiso, battendogli la mano sulla spalla con insopportabile fare paternale e dicendogli: "Dai, non fare il solito francese cialtrone"
  • ore 17.30: nell'intervallo del film (che lo annoia profondamente) racconta barzellette sui francesi. Depardieu si offende e pianta il muso, beccandosi ancora del cialtrone
  • ore 18.45: il film finisce mentre il Vulva approda a Porto Cervo. Il dottor EsseVi dà la American Express ai negozianti per quei 15-20000 euro di shopping essenziale, il minimo per giustificare la scampagnata in quel posto di pomposi imbecilli
  • ore 20.35: il Vulva riparte per V.
  • ore 20.55: il Vulva attracca a V.
  • ore 21: il dottor EsseVi viene riaccompagnato con la Bentley nella villa di A.
  • ore 22: dà un ricevimento
  • ore 22.01: Gertrud Margaretha, la severissima e algida baby sitter dell'Alta Franconia, mette a letto le bambine
  • ore 22.12: si chiava la baby sitter
  • ore 22.30: osserva disgustato gli ospiti, li definisce "dilettanti, pomposi imbecilli e cialtroni" e va a letto
  • ore 22.45: legge la "Critica alla ragion pratica" di Kant
  • ore 22.46: dorme il sonno dei giusti