Oggi ho aderito ad un'iniziativa singolare: in occasione della ricorrenza della commemorazione dei defunti siamo andati in gruppo a deporre un fiore sulla tomba dei morti dimenticati, in particolare i bambini.
Esiste a Melegnano un angolo del locale cimitero in cui ci sono alcune tombe diroccate, mezzo sfasciate: sono quelle dei bambini che nessuno ricorda più. Il Comune ha disposto che ognuna di esse abbia un mazzetto di fiori finti, ma ho provato ugualmente una pena infinita a scorrere sulle lapidi i nomi di questi bambini, alcuni di essi morti anche di recente, che non hanno la fortuna di avere una mano che ne accudisce i sepolcri.
Ho letto i nomi: Giuseppe, Chiara, Salvatore, Maria, Elena, c'è persino Smeralda che è nata e morta lo stesso giorno, magari di parto - noi non lo sappiamo - la vita consumata in un unico soffio; la mano dei genitori che ha dettato allo scalpellino la frase "Ci aspetti lassù per abbracciarci la prima volta"; e lo sguardo del visitatore che contempla il disfacimento della povera tomba sulla quale sono ancora abbandonati alcuni piccoli giocattoli ormai arrugginiti e più tristi di una fotografia sbiadita, di un'immagine che il tempo ha cancellato.
C'è un che di laido, di osceno, di innaturale nella morte di un bambino.
Nessun genitore dovrebbe assistervi: credo che sia l'unico evento in grado di togliere improvvisamente il lume della ragione.
Stephen King ha dedicato a questo obbrobrio il suo libro probabilmente più terrificante, di sicuro uno dei suoi più intensamente lirici, ed è "Pet sematary". Non fatevi ingannare dal brutto film che ne hanno ricavato: lasciatelo decisamente da parte e, se non l'avete mai letto, dedicatevi senza indugio al libro, che è una profonda riflessione tipica del Re sul concetto di perdita e su come può far diventare pazzo un essere umano, che può arrivare al punto di sfidare ogni legge naturale.
Oggi, girando per quei sepolcri contemplavo con le lacrime agli occhi quelle lapidi diroccate, quei miseri giocattoli, quelle foto sbiadite, pensavo a quei corpicini abbandonati lì sotto, macerati anche dal dolore dei genitori abbandonati e che non hanno saputo tornare a confortare le spoglie dei loro piccoli.
Non riuscivo a biasimarli: alle volte dimenticare è un modo per cercare di sopravvivere
Esiste a Melegnano un angolo del locale cimitero in cui ci sono alcune tombe diroccate, mezzo sfasciate: sono quelle dei bambini che nessuno ricorda più. Il Comune ha disposto che ognuna di esse abbia un mazzetto di fiori finti, ma ho provato ugualmente una pena infinita a scorrere sulle lapidi i nomi di questi bambini, alcuni di essi morti anche di recente, che non hanno la fortuna di avere una mano che ne accudisce i sepolcri.
Ho letto i nomi: Giuseppe, Chiara, Salvatore, Maria, Elena, c'è persino Smeralda che è nata e morta lo stesso giorno, magari di parto - noi non lo sappiamo - la vita consumata in un unico soffio; la mano dei genitori che ha dettato allo scalpellino la frase "Ci aspetti lassù per abbracciarci la prima volta"; e lo sguardo del visitatore che contempla il disfacimento della povera tomba sulla quale sono ancora abbandonati alcuni piccoli giocattoli ormai arrugginiti e più tristi di una fotografia sbiadita, di un'immagine che il tempo ha cancellato.
C'è un che di laido, di osceno, di innaturale nella morte di un bambino.
Nessun genitore dovrebbe assistervi: credo che sia l'unico evento in grado di togliere improvvisamente il lume della ragione.
Stephen King ha dedicato a questo obbrobrio il suo libro probabilmente più terrificante, di sicuro uno dei suoi più intensamente lirici, ed è "Pet sematary". Non fatevi ingannare dal brutto film che ne hanno ricavato: lasciatelo decisamente da parte e, se non l'avete mai letto, dedicatevi senza indugio al libro, che è una profonda riflessione tipica del Re sul concetto di perdita e su come può far diventare pazzo un essere umano, che può arrivare al punto di sfidare ogni legge naturale.
Oggi, girando per quei sepolcri contemplavo con le lacrime agli occhi quelle lapidi diroccate, quei miseri giocattoli, quelle foto sbiadite, pensavo a quei corpicini abbandonati lì sotto, macerati anche dal dolore dei genitori abbandonati e che non hanno saputo tornare a confortare le spoglie dei loro piccoli.
Non riuscivo a biasimarli: alle volte dimenticare è un modo per cercare di sopravvivere
Osti.
RispondiEliminaBrividoni.