giovedì 22 novembre 2012

Contenuti statici e dinamici

Oggi Giacomo ha preso un 4 nel tema. La colpa - nonostante quello che si può pensare - non è della professoressa che ha proposto un signor tema: la differenza fra libri e tecnologia moderna; la colpa è di Giacomo e di tutti quelli come lui che non hanno capito che il vero argomento del tema era la differenza fra contenuti statici e dinamici.
Il che, conveniamone, è la vera sfida della cultura dei nostri tempi.

Ora, non voglio passare per il vecchio che in fondo sono, ma ai nostri tempi, quando non c'era Internet, eravamo costretti a fidarci dei libri, soprattutto dei classici, ma non solo. Io mi sono macinato l'enciclopedia di casa (la Ge20 De Agostini), mi macinavo giornali, leggevo anche la carta con cui l'ortolano di Cremeno avvolgeva l'insalata, leggevo persino i fotoromanzi Lancio se erano l'unica cosa a portata di mano. La pornografia di pronto consumo era quella de "Il delta di Venere" di Anais Nin, se non c'erano a disposizione  "Lando" e "Il tromba", che ti avrebbero costretto a penose figure di merda in edicola.
Si spaziava fra i "Promessi sposi", cui si era obbligati a scuola, e "La pelle" di Malaparte di cui a scuola non si parlava.
Si ascoltavano i Doors e i Pink Floyd molto prima dei Kiss e degli AC/DC.
E' grazie a queste sottili distinzioni che noi della mia generazione abbiamo imparato - spesso a nostre spese - le differenze fra i contenuti statici e quelli dinamici.
Essendo questo il vero scopo del tema proposto dalla professoressa di Giacomo, non posso dire di essere stato particolarmente meravigliato dal voto.
Dal mio personalissimo osservatorio, posso dire che i quindici-sedicenni di oggi non hanno riferimenti statici, perché lo stimolo è solo verso i contenuti dinamici, rispetto ai quali c'è un perenne atteggiamento di upfront; e i contenuti statici - quelli di un classico come "Guerra e pace" di Tolstoj, oppure la "Recherche" di Proust, sono considerati valori superati e privi di utilità prima ancora che di attualità.
Sia chiaro: non sono un ingenuo. So benissimo che è ovvio che sia così.
I contenuti dinamici sono comodi, sono in perenne rinnovamento, perdono di attualità il giorno dopo essere usciti. 
Confrontarsi con essi è facile, perché non richiedono impegno.
Confrontarsi esclusivamente con essi è fuorviante, perché fa perdere i riferimenti.
Oggi come oggi, se devo scrivere un articolo scientifico, mi scarico da Internet quintali di articoli che vengono pubblicati ogni giorno; ma la gastrectomia è sempre quella codificata da Theodor Billroth alla fine del 1800 e per l'infiammazione vale ancora la definizione di Aulo Cornelio Celso nel 35 d.C.
Mio figlio - e, con lui, tutta una generazione che fatico a capire (anche se temo che sia colpa del solito gap che si trasmette di generazione in generazione) - ha abolito tutti i riferimenti statici; ascolta un gruppo dal nome impronunciabile e sbuffa se gli faccio sentire non dico "In a silent way" di Miles Davis o "Atom heart mother" dei Pink Floyd, ma persino "Mezzanine" dei Massive Attack: come potrà riconoscere un classico e farsene guidare? 

Come potrai innamorarti senza aver prima amato Fermina de "L'amore ai tempi del colera"?
Pensaci, Giacomino!

venerdì 2 novembre 2012

In bianco e nero

Oggi ultimo giorno di Berlino. Scrivo dalla mia camera d'albergo che si affaccia sulla torre severa della Charité, l'ospedale-campus universitario probabilmente più importante della città. E' lì,il congresso: in quel posto che vide affermarsi il genio di Langenbeck, Virchow, Tiersch e Billroth. Si tratta dell'8° Congresso Mondiale sul trattamento dei tumori maligni del peritoneo.
Il congresso è stato molto più che interessante: le procedure di peritonectomia e perfusione ipertermica, e i trattamenti locoregionali in genere, si stanno ritagliando una fetta sempre più importante nella gestione dei pazienti affetti da tumore.
Rispetto a due anni fa, a Uppsala, c'è molta più gente. Si parla, ci si confronta; gli italiani sono incuriositi dal congresso che organizzeremo in Humanitas a marzo, il che - com'è logico - ci entusiasma.
Il grande Paul Sugarbaker mi firma il libro sul peritoneo che ci viene regalato nel kit congressuale.

Naturalmente c'è anche il tempo di girare per Berlino.
Strana città: non ho ancora capito se mi sia piaciuta o no.
Per come me l'avevano raccontata, me l'immaginavo più caotica, vitaiola. Ieri sera Andrea Brocchi e io siamo usciti a cena con Stefano Busoli della RanD e siamo andati nel grande Sony Center; siamo entrati in una tavola calda strapiena, che però alle 21.30 era quasi vuota.
Vicino al Duomo c'è il museo della DDR, meriterebbe un giro ma è troppo pieno di gente; fuori, uno fa il chiosco ambulante e vende il currywurst, la tipica salsiccia berlinese che assaggerei volentieri, se non fosse che Andrea me lo impedisce usando le stesse argomentazioni che userebbe Cristina, se solo fosse presente. Altri mercatini improvvisati vendono pezzi di DDR sotto forma di berretti e colbacchi militari, oltre agli immancabili pezzi di muro, che mi piace immaginare autentici (me ne compro uno) anche se so che sono farlocchi.


La porta di Brandeburgo è un pezzo di Storia importante della nostra vita; Stefano Busoli, che è più giovane di me di 12 anni, ricorda a mala pena quel 1989, io invece ho ancora in mente Slava Rortropovich che suona la Prima Suite per violoncello solo di Bach mentre abbattono il Muro e, insieme a esso, l'ultima dittatura tedesca. Qualche pezzo di muro residuo e una pista di mattonelle per terra ci ricordano ancora una delle più grosse assurdità dell'uomo; guardo i graffiti sul cemento ingiallito, e mi sembra di vedere raffigurato l'urlo di Peter Fechter e, con lui, quello di un'umanità offesa.
Andando verso Potsdam, passiamo accanto all'angosciante Monumento per gli Ebrei assassinati d'Europa, costruito su un territorio di proprietà della famiglia Goebbels; è l'unico riferimento consapevole che troviamo al Nazismo e alla Shoah. In paragone, è molto più impressionante il ricordo del Muro, sicuramente molto più vicino temporalmente, ma  credo che la ragione sia nel fatto che nessun tedesco voglia ricordare gli orrori del Terzo Reich.


La città è stata ricostruita molto bene dopo la Guerra, con esempi di architettura audace e molto bella, come questa che segue, che è la già citata piazza Potsdam:













Oppure come quest'altra che segue, che è il fantasmagorico Sony Center:













Ma il posto più inquietante, quello che sembra rappresentare ancora l'anima di questa strana città, è ancora una volta l'ennesima traccia della DDR, probabilmente la più inquietante: il checkpoint Charlie.
Nonostante tutto, so che è questa l'immagine di Berlino che mi porterò dietro, ed è una foto che scatto volutamente in un bianco-nero angosciante, tetro e opprimente.
Colori, ricostruzione, architetture ardite e svettanti.
Ma per me Berlino sarà sempre una notte di cemento scuro, illuminata da lampioni angoscianti