venerdì 2 novembre 2012

In bianco e nero

Oggi ultimo giorno di Berlino. Scrivo dalla mia camera d'albergo che si affaccia sulla torre severa della Charité, l'ospedale-campus universitario probabilmente più importante della città. E' lì,il congresso: in quel posto che vide affermarsi il genio di Langenbeck, Virchow, Tiersch e Billroth. Si tratta dell'8° Congresso Mondiale sul trattamento dei tumori maligni del peritoneo.
Il congresso è stato molto più che interessante: le procedure di peritonectomia e perfusione ipertermica, e i trattamenti locoregionali in genere, si stanno ritagliando una fetta sempre più importante nella gestione dei pazienti affetti da tumore.
Rispetto a due anni fa, a Uppsala, c'è molta più gente. Si parla, ci si confronta; gli italiani sono incuriositi dal congresso che organizzeremo in Humanitas a marzo, il che - com'è logico - ci entusiasma.
Il grande Paul Sugarbaker mi firma il libro sul peritoneo che ci viene regalato nel kit congressuale.

Naturalmente c'è anche il tempo di girare per Berlino.
Strana città: non ho ancora capito se mi sia piaciuta o no.
Per come me l'avevano raccontata, me l'immaginavo più caotica, vitaiola. Ieri sera Andrea Brocchi e io siamo usciti a cena con Stefano Busoli della RanD e siamo andati nel grande Sony Center; siamo entrati in una tavola calda strapiena, che però alle 21.30 era quasi vuota.
Vicino al Duomo c'è il museo della DDR, meriterebbe un giro ma è troppo pieno di gente; fuori, uno fa il chiosco ambulante e vende il currywurst, la tipica salsiccia berlinese che assaggerei volentieri, se non fosse che Andrea me lo impedisce usando le stesse argomentazioni che userebbe Cristina, se solo fosse presente. Altri mercatini improvvisati vendono pezzi di DDR sotto forma di berretti e colbacchi militari, oltre agli immancabili pezzi di muro, che mi piace immaginare autentici (me ne compro uno) anche se so che sono farlocchi.


La porta di Brandeburgo è un pezzo di Storia importante della nostra vita; Stefano Busoli, che è più giovane di me di 12 anni, ricorda a mala pena quel 1989, io invece ho ancora in mente Slava Rortropovich che suona la Prima Suite per violoncello solo di Bach mentre abbattono il Muro e, insieme a esso, l'ultima dittatura tedesca. Qualche pezzo di muro residuo e una pista di mattonelle per terra ci ricordano ancora una delle più grosse assurdità dell'uomo; guardo i graffiti sul cemento ingiallito, e mi sembra di vedere raffigurato l'urlo di Peter Fechter e, con lui, quello di un'umanità offesa.
Andando verso Potsdam, passiamo accanto all'angosciante Monumento per gli Ebrei assassinati d'Europa, costruito su un territorio di proprietà della famiglia Goebbels; è l'unico riferimento consapevole che troviamo al Nazismo e alla Shoah. In paragone, è molto più impressionante il ricordo del Muro, sicuramente molto più vicino temporalmente, ma  credo che la ragione sia nel fatto che nessun tedesco voglia ricordare gli orrori del Terzo Reich.


La città è stata ricostruita molto bene dopo la Guerra, con esempi di architettura audace e molto bella, come questa che segue, che è la già citata piazza Potsdam:













Oppure come quest'altra che segue, che è il fantasmagorico Sony Center:













Ma il posto più inquietante, quello che sembra rappresentare ancora l'anima di questa strana città, è ancora una volta l'ennesima traccia della DDR, probabilmente la più inquietante: il checkpoint Charlie.
Nonostante tutto, so che è questa l'immagine di Berlino che mi porterò dietro, ed è una foto che scatto volutamente in un bianco-nero angosciante, tetro e opprimente.
Colori, ricostruzione, architetture ardite e svettanti.
Ma per me Berlino sarà sempre una notte di cemento scuro, illuminata da lampioni angoscianti


Nessun commento:

Posta un commento