lunedì 31 gennaio 2011

Se telefonando

Tiene banco in questi giorni la telefonata che il direttore generale della RAI, Mauro Masi, ha fatto il 27 gennaio a Michele Santoro durante la diretta di "Annozero"; per chi avesse voglia di vedersela, esistono le registrazioni su Youtube che non linko per non portare ulteriore acqua al mulino di quel mestatore che fa programmi di merda con i fondi pubblici.
Ma, per una volta, non me la prendo con lui: è quel ch'egli è, come direbbe Jago di Otello, lo conosciamo, se lo goda chi vuole. Io, piuttosto che vedere anche un solo istante di una sua trasmissione, mi rilasso con un'antologia di Alvaro Vitali, tanto come livello siamo lì.
No, me la prendo proprio con Masi che, adeguandosi al particolare uso che del telefono viene fatto nel Basso Impero in cui viviamo, chiama il suo stipendiato e prima gli tira bonariamente le orecchie poi, umiliato dalla - peraltro prevedibile - aggressione del medesimo, si scusa e conclude con una figura pietosa.
Sei il direttore? 
Pensi che un tuo stipendiato stia violando le regole di cui tu sei custode? 
Allora, se telefoni per cazziarlo, lo fai sino alle estreme conseguenze, vale a dire lo zittisci, gli oscuri in diretta la trasmissione (di merda) che sta facendo e gli revochi il contratto faraonico di cui usufruisce.
E' una prevaricazione?
Può darsi, ma Santoro capirà: lui è uno che di prevaricazioni se ne intende.
Altrimenti taci: il telefono, in questo particolare periodo, viene usato sempre a sproposito


domenica 23 gennaio 2011

Home wet home

A casa mia, in situazioni di emergenza, quando tutti - ma proprio tutti - gli stendibiancheria sono occupati...

...ogni accessorio può servire allo scopo.
Anche la vecchia fisarmonica del nonno Peppino, che da Lassù guarda e ride

sabato 22 gennaio 2011

Un raggio di luce

In questi giorni tenebrosi di Basso Impero,  l'unica bella notizia è la chiusura del format "Stasera che sera" dopo appena due puntate.
La trasmissione, guidata da quella presentatrice che in altro post avevo definito "uno sciacallo con le tette", si è distinta per uno share pietoso (la vera ed unica ragione della chiusura della sua trasmissione) e per l'uso sacrilego del dolore altrui.
Non ho mai avuto simpatia per Francesco Nuti, non ho visto la trasmissione, ma si doveva fare qualcosa per evitare un orrido scempio come questo.
Non mi travestirò da quel moralista che non sono: non voglio cercare di passare per vergine in un mondo di puttane, ma forse è arrivato il momento di capire sino a che punto ci si possa spingere nella prevaricazione televisiva, nel mostrare sempre di più la corruzione del corpo e della mente, nell'esibire con finta compassione il disfacimento di una persona che una volta aveva cercato di far ridere il proprio prossimo, nell'esporre al pubblico incanto l'annullamento dello stesso essere uomo, ora costretto a farsi asciugare un rivolo di bava che cola da un angolo della bocca da una mano pietosa, mentre gli altri guitti - miserabili saltimbanchi da quattro soldi - strimpellano le sue canzoni di una volta in un finto anelito consolatorio.

Tendenzialmente mi tengo alla larga dalla televisione ma, se proprio devo, piuttosto che questa roba, ho sempre a disposizione un paio di DVD di uno che certe cose le fa di mestiere e senza compromessi; e che magari, chissà, date le propensioni che ben si prestano al particolare momento storico, e data l'assenza dall'una come dall'altra parte di facce presentabili, potrebbe anche diventare spendibile per un eventuale agone elettorale.

Non poniamoci limiti; tanto, nessuno lo fa

domenica 9 gennaio 2011

Un passo oltre


Oggi sono stato con la famiglia al cinema, il nostro solito Multiplex Arcadia di Melzo; in programma c'era l'ultima fatica di Clint Eastwood, "Hereafter", una riflessione sul concetto di Aldilà.

Non è un film facile; in effetti Eastwood non è mai banale ma qui, complici probabilmente anche i suoi 80 anni, diventa talvolta mistico e contemplativo. Dopo una serie di film che sono state altrettante dolorose meditazioni sulla solitudine dell'essere umano di fronte alla morte (soprattutto "Million dollar baby" e "Gran Torino", i suoi due capolavori), siamo arrivati al passo oltre: la sbirciata oltre cortina, forse il desiderio di un mondo di cui non si possono apprezzare i confini ma che ci si augura sereno, calmo, appagante e pieno d'amore.
Suona molto semplicistico o molto americano? Forse sì, ma Eastwood - probabilmente il regista più importante dei nostri tempi - riesce sempre ad avvincere l'attenzione dello spettatore per cui si esce con la sensazione di aver visto un gran bello spettacolo; d'accordo, non come "Che bella giornata" di Checco Zalone (che ha intasato i botteghini dell'Arcadia, ma io me l'ero già visto il 5 a Savona per cui li ho fregati tutti), ma pur sempre un gran bel film. 
E, a parte gli scherzi, mi piacerebbe vedere il regista californiano alle prese con la traduzione filmica di qualcuno dei romanzi più contorti e difficili di Stephen King, per esempio "Mucchio d'ossa" di cui potrebbe essere l'unico interprete possibile

sabato 8 gennaio 2011

Nessun uomo. Proprio nessuno


Mi secca notevolmente sprecare ancora con Cesare Battisti lo spazio che Blogspot offre per le mie elucubrazioni (oggi giunte al centocinquantesimo cimento), ma purtroppo mi tocca.

Ancora una volta la colpa - se così posso dire - è del Corriere della Sera che sembra stia facendo tutto il possibile per indurre me e altri liberals a tornare su testate più destrorse. Io non vorrei farlo, capite, ma se continuo a trovarmi fra le mani articoli come questo a firma di Ernesto Galli della Loggia, temo che sarà inevitabile.
Ci tengo a fare una premessa: dissento spesso dal pensiero di EGdL, ma ne rispetto il pensiero e l'acutezza dell'esposizione. E' una penna di sinistra, ma lo è in modo intelligente e non trinariciuto come molti suoi colleghi, anche della stessa testata (e mi riferisco per esempio a quel Paolo Franchi di cui mi sono occupato nell'articolo precedente a questo). 
Ma oggi EGdL ha svaccato. 
Partendo da una premessa giusta e doverosa (che potremmo sintetizzare con "Perché all'estero nessuno ci caga?"), il politologo ha creduto di identificare i motivi del nostro declassamento presso la comunità internazionale in una serie di ragioni che sono le stesse che potremmo sentire da Santoro o Travaglio.
In buona sostanza, secondo il politologo, se noi italiani veniamo considerati meno di zero dai brasiliani e dai francesi che si fanno gli emeriti cazzi loro con i criminali nostrani, la colpa è, nell'ordine:

  1. di Berlusconi
  2. di mafia e camorra
  3. del Cattolicesimo

Il problema, se posso dire, è che questa storia di Battisti invece è proprio una questione esclusivamente di sinistra, che nasce dall'arroganza di una gauche radical chic internazionale che si attribuisce la possibilità di rovesciare i verdetti delle giurie di un'altra nazione in nome e per conto di un idealismo barricadero di cui il criminale, miserabile e patetica figura di cialtrone assassino travestito da rivoluzionario, diventa un simbolo in mancanza di meglio. 
Perché il problema vero è questo: è dai tempi di Che Guevara che questa gente non ha più un ideale in cui riconoscersi: e, in mancanza, va bene anche il terrorista che spara alla schiena, basta che lo faccia da sinistra.
Quindi, quello che maggiormente mi disturba non è il provincialismo all'incontrario di cui EGdL accusa tutti gli italiani che non la pensano come lui (fingendo di dimenticare, peraltro, che i punti più bassi della considerazione già scarsissima che l'Italia gode all'estero, li abbiamo toccati durante i due pessimi governi Prodi); no, quello che mi offende profondamente è che un Lula qualunque decida di tenersi sotto le ascelle un escremento come Battisti affermando di tenere per la sua incolumità.
Questo non lo accetto da un Lula: sarebbe come farsi dare lezioni di castità da Ilona Staller.
E qui giova ricordare Ramon Mercader.

Chi era costui?

Fratello dell'attrice Maria Mercader - e quindi, zio del neosessantenne Christian De Sica - Ramon Mercader fu l'agente del NKVD (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni: siamo ovviamente in Unione Sovietica ai tempi di Stalin) che il 20 agosto del 1943 andò a piantare una picozza nella testa di Lèv Trockij. Mercader si prese la briga - e di certo il gusto, come cantava Fabrizio De André - di andare a cercare il rivoluzionario considerato dissidente sin nella sua dimora a Coyoacan, in Messico.

Cosa lo aveva spinto?
Semplice: fu la celebre affermazione di Stalin, che così risolse la questione-Trockij: "Un uomo, un problema; nessun uomo, nessun problema".
Per Mercader inseguire in capo al mondo un rivoluzionario dissidente fu un atto di fede; ma credo, senza timore di smentite, che per far fuori non un uomo, bensì una testa di cazzo come Battisti, se questo fosse così desiderabile, basterebbero una ventina di euro elargiti a un qualunque favelado locale. In altre parole, Battisti sarebbe teoricamente molto più in pericolo in Brasile dove una vita vale davvero poco, che non nell'ipergarantista Italia ove potrebbe contare almeno su uno sciopero della fame di Pannella per farlo uscire dal gabbio.
No, Lula: a noi Italiani interessa che Battisti marcisca in galera sino alla fine dei suoi giorni; e va bene anche nel democratico Brasile ove, se non altro, non ci sarà la processione di radicali e di parlamentari di sinistra a chiedere la grazia ogni due-tre giorni per questo ripugnante, vigliacco e disgustoso assassino.

PS Ringrazio il mio vecchio amico, il Barba, per avermi ricordato il modo con cui Stalin risolse l'affaire Trockij

lunedì 3 gennaio 2011

Per amore, solo per amore

Ieri non volevo credere ai miei occhi. 
Ho preso il primo "Corriere" dell'anno e mi sono imbattuto in un editoriale di tale Paolo Franchi che mi ha fatto fare un tuffo nella mia gioventù, quella in cui i giornalisti (?) del TG Rai - all'epoca, l'unico disponibile - si riferivano ai terroristi comunisti come a "le sedicenti Brigate Rosse", perché non era fine dire che qualcuno ammazzava il proprio prossimo in nome del comunismo. 
Ieri l'ex editorialista di Rinascita e Paese Sera, ancora in evidente fase di militanza attiva, commentando la vicenda del criminale comunista Cesare Battisti, ha segnalato che "il terrorismo cosiddetto di sinistra" è stato un evento assolutamente minore nella storia recente d'Italia, tant'è vero che è bastata una sventagliata di mitra di Carlo Alberto Dalla Chiesa per sconfiggerlo definitivamente. L'editorialista inoltre adombrava l'idea che il vero terrorismo fosse quello di stato - ecco un'idea originale! - colluso con la mafia che, infatti, ha fatto fuori prima lo stesso Dalla Chiesa e poi, nell'epoca del massimo furore stragista, tutti coloro che si opponevano all'efferata violenza del conformismo imposto dallo Stato e dalla mafia, non necessariamente in quest'ordine. Mancava in quest'eletto elenco Berlusconi, ma presumo che sia stata una svista veniale del compagno Franchi.

Non conoscevo questo tristo figuro cui, a prescindere, devo essere grato per avermi fatto fare un balzo all'indietro in una gioventù che mi sembra sempre più lontana ogni giorno che passa. Ma, gratitudine a parte, devo dire di essere orripilato da un simile travisamento della realtà: nemmeno Mario Capanna in uno dei suoi deliri barocchi in latino, credo, sarebbe stato capace di tanto.
Il terrorismo cosiddetto di sinistra? Un evento minore?
Credo che il compagno Franchi farebbe bene a leggersi "La generazione degli anni perduti - storie di Potere Operaio" di Aldo Grandi (Einaudi 2003): un libro di lettura non sempre agevole scritto da uno di loro, che rende perfettamente l'idea del clima dell'Italia dei primi Anni Settanta e soprattutto del modo in cui si è passati dai poco democratici movimenti della sinistra extraparlamentare alla lotta armata, sempre rigorosamente comunista: Valerio Morucci, Germano Maccari e Adriana Faranda nascono di lì e da lì partono per confluire con Moretti, i coniugi Curcio, Gallinari, Franceschini e tutti gli altri - Dio li strafulmini - nelle brigate rosse. E scusate il minuscolo.
Evento minore? Non direi proprio, tant'è vero che dovettero rivolgersi a un vecchio militare per risolverlo, e questo dopo che un vecchio fascista come Giorgio Pisanò aveva proposto un referendum per  rispolverare il codice militare di guerra che all'epoca predisponeva ancora la pena di morte per situazioni di attacco allo Stato. Lo scopo di brigate rosse e satelliti affini fu, se non ricordo male, quello di portare l'attacco al cuore dello Stato per instaurare la dittatura del proletariato; non proprio una scampagnata, per come ricordo io quegli anni. Siamo in piena area di comunismo militante, lo ribadisco per chi - non avendo vissuto quegli anni - avesse le idee poco chiare.
Erano gli anni in cui, oltre a un partito comunista che raggranellava percentuali bulgare, c'era in parlamento una pletora di partitelli di area comunista come, per esempio, il Partito Socialista di Unità Proletaria che poteva vantare come segretario Lucio Magri, uno che all'epoca veniva considerato l'uomo più elegante di Montecitorio.
Erano gli anni in cui non era prudente girare per un Liceo con il "Giornale" di Montanelli sotto l'ascella.
E, se devo dire, le idee di quei ragazzi - compagni che sbagliano, li chiamavano, anche nelle assemblee del mio Liceo - non nascevano dai Quaderni del dissenso di Giorgio Almirante, bensì da tutti i testi sacri del comunismo, dalle tecniche di guerriglia dei Tupamaros cui si era abbeverato Giangiacomo Feltrinelli, e da ambiti culturali di pari levatura. Testate come Paese sera e Lotta continua erano affini al Partito Comunista Italiano: nulla a che vedere con i repubblichini di cui ancora oggi farnetica Franchi.
Devo dirlo?
Per una volta rifuggo gli eufemismi e dico senza troppi giri di parole che i rivoluzionari con il cachemire - come Bertinotti, o come Franchi - mi hanno rotto il cazzo. Dobbiamo a loro, e alle troie italo-francesi radical chic che aprono le gambe a sinistra per la passione, e a destra perché bisogna pur vivere, se quell'emerita testa di cazzo a nome Cesare Battisti si è trovato una spiaggia brasiliana in cui svernare.
Facciano quello che vogliono, questi maestrini dalla penna rossa: l'hanno sempre fatto, forti di una platea talmente obnubilata da scambiare le loro scoregge per volute d'incenso; ma non pretendano di cambiare la Storia, perché non ne sono mai stati i depositari.
Nonostante tutte le loro canzoni