venerdì 9 ottobre 2009

I primi della classe

Sto ultimando in questi giorni una lettura particolarmente interessante. È un ottimo libro di Luca Ricolfi, pubblicato da Longanesi, e si intitola “Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori prima e dopo le elezioni del 2008”.

Per chi non lo conoscesse, Luca Ricolfi è Professore straordinario di Metodologia della ricerca psicosociale, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino nonché direttore dell'Osservatorio del Nord-Ovest. Segni particolari: è un uomo di sinistra, giustamente preoccupato della piega pericolosa presa dalla sua parte politica. Contrariamente a molti uomini di sinistra, si preoccupa anche di cercare di capire le cause della flessione della sua area politica e le ragioni del successo della parte avversaria. Ne è nato questo libro – che si legge molto facilmente grazie ad una chiarezza espositiva che trova pochi confronti nella letteratura politica – che è una disamina acuta, precisa e ficcante delle ragioni che hanno portato la Sinistra ad una sconfitta pesante nel 2001, alla vittoria risicatissima del 2006 (quando, per usare un francesismo, avrebbero dovuto spaccare il culo ai passeri) che ha portato al fallimentare governo Prodi bis e ad una sconfitta catastrofica nel 2008.

Ricolfi ha un’impostazione molto lucida che lo porta ad identificare quattro problemi, i primi tre dei quali sono verbali:

  1. l’utilizzo di schemi secondari. Si tratta delle “scuse” con cui giustificare i propri fallimenti: qualcosa di simile a quello che dovettero inventare i Testimoni di Geova quando non si verificò la fine del mondo preconizzata da Rutherford. Di questo ambito fanno parte anche le giustificazioni per i massacri stalinisti, giudicati una fase transitoria e necessaria, e analogamente le repressioni di Praga, la strage di Piazza Tienanmen o i massacri di Pol Pot. Di questa categoria, inoltre, fanno parte tutte le ragioni che dovrebbero spiegarci perché un determinato lavoro pubblico fatto da Prodi sarebbe una grande opera, e fatto da Berlusconi sarebbe un atto mafioso
  2. la paura delle parole e la ricerca angosciata e continua del politically correct. Questa tendenza è stata mutuata dall’America, ma non un’America reale, bensì quella immaginata dai nostri uomini di sinistra in modo non diverso da quella cui pensava Nando Mericoni/Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”: quella cioè in cui al posto degli strani piatti inventati da Nando ci sono gli “I care”, i Kennedy reinterpretati da Veltroni, Clinton esponente oltreoceano dell’Ulivo planetario e via elucubrando. È quella tendenza per cui il cieco diventa “non vedente”, lo spazzino “operatore ecologico”, l’handicappato prima “disabile” e poi addirittura “diversamente abile”. È un linguaggio molto elegante e forbito, cui però non fa riscontro una realtà quotidiana
  3. il linguaggio codificato, quello che dovrebbe servire per parlare fra addetti ai lavori, e che in realtà serve solo a confondere le acque in casa propria, per nascondere agli stessi militanti il vuoto pauroso di idee e di mete da identificare
  4. il complesso di superiorità etica. Questo è l’aspetto più interessante, perché è intrinseco alla vocazione esclusiva della sinistra. C’è un atteggiamento sprezzante nella sinistra che parla sempre alla parte migliore del Paese, dando per scontato che la parte peggiore sia quella che ha dato il voto all’odiato Berlusca. Nell’ambito della parte politica avversaria la Sinistra identifica il cosiddetto elettorato motivato (quello, cioè, leghista e post-fascista), costituito dai duri e puri che non sono potenzialmente arruolabili; e l’elettorato affascinato, quello sostanzialmente rincoglionito dalla televisione ma potenzialmente redimibile. Questo criterio, che Ricolfi definisce “esclusivo” perché tende ad escludere aprioristicamente un’area giudicata degenere che non potrà mai essere recuperata alla causa dell’umanità, va contro decisamente al criterio definito “inclusivo” che invece è tipico di questa destra, che chiama alla raccolta tutti i potenziali elettori.

Quale scenario si prepara? Difficile da dire. Ricolfi molto saggiamente ammette che questa sinistra, per com’è messa, sembra vivere solo in funzione dell’esistenza di Berlusconi: ha perso da molti anni il suo elettorato tipico, la classe operaia è ormai definitivamente andata in paradiso oppure vota per la Lega, non è stato ancora identificato un nuovo elettorato e nel frattempo ci si continua a rifugiare in un linguaggio che sembra uscito dalla scuola dei dirigenti delle Frattocchie.

Potranno anche farlo fuori – di fatto ci stanno forse riuscendo – ma poi bisognerà sostituirsi a lui, riprendere a parlare, essere credibili, evitare gli schemi secondari, abbassarsi al livello dell’elettore (qualunque elettore), smettere di pensare di essere la parte migliore, quella che ha nel suo bagaglio genetico la superiorità morale, quando invece raccontano palle tanto quanto gli altri. Ricolfi cita – e giustamente – la promessa elettorale di Prodi. Nel corso del dibattito televisivo da Vespa, il pretone di Scandiano affermò categoricamente “Noi non met-te-re-mo le mani nelle tasche degli italiani”, agitando il ditone tanto per sottolineare il concetto. Infatti. Escalation spaventosa della pressione fiscale a cura dei due vampiri Padoa Schioppa-Visco; il cosiddetto “tesoretto” con cui hanno preso per il culo tutta la nazione; la presunta lotta all’evasione fiscale smentita clamorosamente dai fatti riportati da Ricolfi.

Si sveglino, i compagni: forse i tempi sono maturi ma, finito Berlusconi, non avranno più niente di cui parlare

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