sabato 13 febbraio 2010

Mio tesoro, mio sangue

Di umore malinconico come sono oggi, era inevitabile che andassi a parare in qualche pellicola che assecondasse il mio spirito.
La scelta - grazie anche ai discorsi intavolati nel precedente post - è andata proprio sul capolavoro di Clint Eastwood, e cioè Million dollar baby, una riflessione profonda, asciutta e mai scontata sul tema dell'amore.
Il film è famosissimo, ma gioverà farne un piccolo cenno anamnestico per chi non vi si sia mai imbattuto. Meg (Hillary Swank) è una ragazza di provincia, con una famiglia orribile alle spalle, che vive facendo da vent'anni la sguattera in un fast food; Frank (Clint Eastwood) è un allenatore di boxe in una palestra di terz'ordine, che vive solitario; avrebbe una figlia cui scrive ogni giorno, ma le lettere gli ritornano indietro senza essere state aperte, e così il suo unico interrlocutore è Scrap (Morgan Freeman), a sua volta ex pugile che vive nella palestra per respirare ancora un po' di aria di lotta. Per uno di quei casi in cui il Destino gioca spesso (non sempre) un ruolo, Meg e Frank si incontrano dando luogo ad un rapporto strano: sono due sconfitti che si riconoscono e si aggrappano disperatamente l'una all'altro. All'inizio Frank insegna, Meg impara; poi, procedendo nella vicenda, i ruoli si confondono, sino a che il rapporto fra i due diventerà così profondo da generare l'atto d'amore finale, quello più importante, quello che spezzerà la vita di entrambi.

Questo non è un film sulla boxe: è il più bel film d'amore che sia mai stato girato.
Non c'è un bacio, non c'è una scopata; non c'è nemmeno quel sentimentalismo di bassa lega che, ad Hollywood come qui, sembra tornato di moda. Il film è asciutto e scabro, eppure riesce ad essere più intenso e commovente di tutte le favole d'amore che lo schermo - grande o piccolo che sia - ci abbia mai propinato in un secolo di vita.
La sensazione di "trovarsi" - cioè incontrarsi e riconoscersi - in un mondo talmente sbagliato da sembrare quasi finto, genera nei protagonisti un attaccamento infinito, pazzo, disperato. Viene ovviamente da pensare ad un rapporto padre-figlia, ma in realtà è qualcosa di ancora più profondo, perché è generato dal bisogno di completarsi con quello che ha l'altro, e questo sarebbe tipico di un rapporto amoroso classico fra uomo e donna: Frank non ha più il coraggio di affrontare la vita, lo si capisce dalla prudenza quasi paranoica che mette nell'organizzare gli incontri e dal suo motto, che ripete ossessivamente: "Proteggersi sempre"; Meg trova in Frank l'ordine che a lei manca e che ne imbriglia il talento, l'irruenza, l'aggressività.
Il rapporto si snoda in un crescendo emotivo che, in mano ad un altro regista, avrebbe dato luogo alla solita zuppetta sentimentale, ma che raccontato da Eastwood è asciutto, forte e sereno, anche nel momento del finale, quello in cui Frank rivela a Meg - in procinto di spiccare il volo - il significato di quella parola gaelica che lui le aveva dato come soprannome: "Mo cuishle significa: mio tesoro, mio sangue".
E' amore allo stato puro, e nessuno l'ha mai raccontato meglio di così

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