sabato 28 febbraio 2009

Behind the lines


Cedendo alle insistenze di un'amica che me lo raccomandava, mi sono sentito indotto ad acquistare il libro "La solitudine dei numeri primi", di Paolo Giordano, Ed. Mondadori.
Il libro, che ha vinto il Premio Strega, narra delle vicende di Alice e Mattia, seguiti da quando sono bambini sino all'età adulta. Le loro esistenze, indipendenti l'una dall'altra, si incroceranno fuggevolmente nel corso degli anni sino al momento cruciale, nell'età adulta. Il plot narrativo, già di per se stesso piuttosto lugubre, si svolge in una Torino plumbea, vuota e silenziosa, che sembra voler assorbire in sé le angosce esistenziali dei due protagonisti e dei pochi personaggi collaterali che compaiono sporadicamente e che, inutili ai fini della narrazione, scompaiono senza nessun rimpianto.

Chi sono Alice e Mattia?
A prima lettura due bambini speciali, ma in realtà "speciale" - in senso stretto - lo è solo Mattia, dei due nettamente il più interessante anche da un punto di vista narrativo, forse anche perché l'autore è un Fisico: bambino superdotato, con una sorellina disabile che scompare per colpa sua, diventa un genio trasandato e disallineato al mondo reale.
Alice non è così interessante: bambina vessata dal padre che ne vuol ricavare una campionessa, da adolescente si ammala di anoressia in modo reattivo; ed anoressica rimane anche in quell'età adulta che lei non accetta, tanto da rifugiarsi in quell'unico rapporto adolescenziale che le ha dato un barlume di felicità.
Al loro fianco alcuni personaggi minori: genitori infelici e che non capiscono, per lo più silenziosi; una ragazza ricca, Viola, che fa di Alice adolescente uno sfogo per le proprie frustrazioni; Denis, un amico gay (poteva mancare?...) di Mattia che, dopo un inizio promettente per gli sviluppi umani, scompare, ricompare improvvisamente a metà libro per essere protagonista di una sordida fellatio con un partner occasionale nel cesso di un bar e poi riscomparire, questa volta definitivamente.
Non narro come finisce, a beneficio di coloro che desiderassero cimentarsi con la lettura, ma si può già capire fra le righe.

Che cosa ci vuole raccontare Giordano?
Non si capisce bene.
La lettura è pesante e difficile, ad onta di uno stile chiaro e lineare, talvolta anche troppo, sulla scia del (falsamente) disimpegnato Federico Moccia.
Le tematiche forti ci sono tutte: l'incomunicabilità dell'adolescenza prima e dell'età adulta poi, l'anoressia, il confine - spesso sottile - fra disabilità e genio, l'omosessualità; manca solo il matrimonio dei preti. Non tutte, però, sono trattate con lo stesso impegno, anzi: si ha quasi l'idea che per la foga di dire troppo, l'autore finisca per essere complessivamente superficiale.
Trovo personalmente irritante il didascalismo con cui vengono trattate le situazioni e i personaggi: la ragazza ricca è automaticamente anche stronza, il papà è l'algido professionista che non sa né vuole parlare con la famiglia, il genio della matematica non è capace di affrontare le questioni pratiche di tutti i giorni, e così via.
A fronte di ciò, l'unica vera idea che rende meritevole di lettura questo libro non memorabile, è il ribaltamento della prospettiva di quell'attrazione fra le solitudini, che aveva generato quintali di letteratura per lo più post-romantica. L'idea giordaniana è: la solitudine vera, quella alimentata da un'angoscia esistenziale strutturata, dura tutta la vita ed è inattaccabile.
Posso dirlo sommessamente? Che palle!
Ripenso con nostalgia alle risate convulse che mi scatenò "Il bastardo primordiale" di Tom Sharpe e penso malignamente che scrivere cose come "La solitudine dei numeri primi", in paragone, non dovrebbe costare molta fatica.
Qualche drammaturgo famoso del secolo scorso, non ricordo più chi, si rivolse ad un amico e collega chiedendogli a cosa si stesse dedicando in quel momento. La risposta fu: "Una tragedia".
"Ah! - rispose il drammaturgo - Ti stai riposando, eh?"

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