sabato 28 febbraio 2009

Istantanee


Non s'è ancora risolto, purtroppo, il battage mediatico che circonda la morte di Eluana Englaro. Adesso è il turno della Giustizia che reclama il proprio tributo di sangue sotto forma di indagini per omicidio volontario aggravato ai danni di medici (e te pareva, come si direbbe a Roma e zone limitrofe), padre Beppino e membri dell' "Associazione per Eluana". A margine di ciò, quasi per par
condicio, il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi ha ricevuto il secondo avviso di garanzia per violenza privata, in relazione all'atto di indirizzo emanato per la vicenda di Eluana allo scopo di bloccare l'attuazione della sentenza della Cassazione. Infine, c'è la questione delle foto che il fotogiornalista Federico Bruni ha scattato ad Eluana il giorno prima della morte: è di queste che desidero parlare oggi, perché la loro presenza silenziosa va oltre al semplice problema se pubblicarle o no.

Fermo restando che la vicenda, per come si è svolta, denota una volta di più l'impreparazione dello Stato italiano ad affrontare qualsiasi vicenda che abbia a che fare con problematiche di area genericamente sanitaria, c'è in più l'appropriazione indebita del fronte politico che ritiene di poter dire tutto e il contrario di tutto, senza nessun ritegno.
Avevo già scritto altrove su un altro articolo che non è possibile che si continui a procedere a tentoni su materie così delicate; che non è possibile che la decisione su un caso come quello di Eluana sia stata presa da una Corte di Cassazione che ha emanato una sentenza che, come spesso capita, in mancanza di meglio "farà Giurisprudenza" (come si dice sempre in queste circostanze); e che non è possibile che i politici si schierino dall'una o dall'altra parte, come Angeli della Morte o Paladini della Vita a seconda della tendenza politica. Ma tant'è: in mancanza di meglio, va bene anche la Cassazione, e lo dico con l'amara consapevolezza del medico che sa benissimo che una Giurisprudenza chiara e precisa in materia sanitaria non esiste; e non lo dico io, ma un Giudice di cui non ricordo il nome, che era venuto nell'Istituto in cui lavoro a spiattellarci nuda e cruda questa imbarazzante verità.
Adesso è il turno delle foto, quelle foto che Beppino Englaro aveva fatto scattare alla figlia forse con il proposito di dimostrare anche a Berlusconi che la figlia non era proprio così "bella" come gli avevano raccontato, e che probabilmente - che ben ne dicesse il premier - non sarebbe nemmeno mai potuta diventare madre.
Ora, magari mi sbaglio (e in fondo lo spero), ma ho la strana sensazione che ci sia un desiderio quasi morboso di vedere come fosse ridotta il giorno prima della sua morte questa donna che, per averla vista nelle foto di prima della tragedia, tutti immaginiamo come una ragazza splendida e sorridente. E, in fondo, c'è qualcosa di osceno eppure terribilmente umano in questa curiosità, che è la stessa che guida più o meno inconsapevolmente l'uomo, di qualunque estrazione socio-culturale esso sia, a cercare di sollevare il velo che copre tutto ciò che è disfatto, corrotto, distrutto. L'Istituto per cui lavoro organizza ogni anno una giornata di "Ospedale aperto" in cui chiunque può curiosare negli angoli più riposti. Da sempre, la visita più gettonata è quella alle sale operatorie, nell'immaginario collettivo luogo quasi mistico in cui si consuma uno strano rito in cui il medico si riveste quasi come se fosse un sacerdote; e ricordo il brivido quasi palpabile che colpì i fortunati visitatori del blocco operatorio che si trovarono a tu per tu con i "lavori in corso" nella sala 4, ove io e il mio amico e collega Carlo stavamo operando un'urgenza. Si trattò evidentemente di un errore organizzativo: il paziente trasportato fuori dalla sala con quattro drenaggi ed un sondino, oltre che le tracce del recente intervento, e i visitatori affamati di quel sangue che già vedevano scorrere a fiumi in serial televisivi tipo "ER", non si sarebbero mai dovuti incontrare. Eppure ricordo le espressioni quasi soddisfatte dei partecipanti a questo spettacolo, probabilmente consapevoli di aver potuto assistere a qualcosa di forte, in modo non dissimile a coloro che, in macchina, rallentano sin quasi a fermarsi quando vedono un incidente sulla corsia opposta e sperano, forse consapevolmente, di poter vedere il morto.
Le istantanee diventano quindi ai nostri occhi un mezzo espressivo in più, un tramite per la più piena comprensione di un evento che ci sfugge e che desidereremmo dominare meglio. L'alibi è quello che la miglior conoscenza ci permetterà di giudicare meglio, ma la foga mediatica, gli assembramenti davanti alla clinica di Udine non diversi da quelli fuori dalle prigioni americane di Huntsville o di Starke prima di un'esecuzione ci raccontano un'altra storia

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