martedì 17 febbraio 2009

Genova e il mio umore


Il mio umore - oggi veramente urfido - mi porta ad ascoltare cose che di solito mi dimentico di sentire.
Per esempio, il lunare e scontroso Paolo Conte con la sua "Bartali":

Farà piacere un bel mazzo di rose
e anche il rumore che fa il cellophane
ma un birra fa gola di più
in questo giorno appiccicoso di caucciù.

Sono seduto in cima a un paracarro
e sto pensando agli affari miei
tra una moto e l'altra c'è un silenzio
che descriverti non saprei.

Oh, quanta strada nei miei sandali
quanta ne avrà fatta Bartali
quel naso triste come una salita
quegli occhi allegri da italiano in gita
e i francesi ci rispettano
che le balle ancora gli girano
e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -
- e vai al cine, vacci tu. -

è tutto un complesso di cose
che fa si che io mi fermi qui
le donne a volte si sono scontrose
o forse han voglia di far la pipì.
E tramonta questo giorno in arancione
e si gonfia di ricordi che non sai
mi piace restar qui sullo stradone
impolverato, se tu vuoi andare, vai...
e vai che il sto qui e aspetto Bartali
scalpitando sui miei sandali
da quella curva spunterà
quel naso triste da italiano allegro
tra i francesi che si incazzano
e i giornali che svolazzano
C'è un po' di vento, abbaia la campagna
e c'è una luna in fondo al blu...

Tra i francesi che si incazzano
e i giornali che svolazzano
e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -
- e vai al cine, vacci tu! -

Ma quella che probabilmente amo di più, forse perché canta quella Liguria che a me va molto a genio e, in particolare, il suo capoluogo che è città strana, misteriosa e profonda (come dice Cesare Simonetti), è "Genova per noi":

Con quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi prima di andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c'inghiotte e non torniamo più.

Eppur parenti siamo un po'
di quella gente che c'è lì
che in fondo in fondo è come noi, selvatica,
ma che paura ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte e non sta fermo mai.

Genova per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
Genova, dicevo, è un'idea come un'altra.
Ah, la la la la la la

Ma quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
ed ogni volta l'annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po' randagi ci sentiamo noi.

Macaia, scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia...
e intanto, nell'ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali.

In un'immobile campagna
con la pioggia che ci bagna
e i gamberoni rossi sono un sogno
e il sole è un lampo giallo al parabrise...

Con quella faccia un po' così
quell'espressione un po' così
che abbiamo noi che abbiamo visto Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c'inghiotte e non torniamo più.

Forse non occorre essere sempre di pessimo umore per apprezzare queste canzoni, ma alle volte sembra che il mare col suo lento respiro ci faccia compagnia e ci racconti quelle vecchie storie che non abbiamo più voglia di ascoltare.
Io, comunque, oggi vorrei essere a Celle Ligure; ma al limite va bene anche Genova, col suo casino nell'angiporto. E con quell'aria un po' losca che si respira in Via del Campo.



A tal proposito, girando su Internet, ho trovato questo scritto nel blog http://distilleria.splinder.com. E' molto bello, per cui lo cito così come l'ho letto:

Da che son qui, nell'anno nuovo, mi sveglio coi flash del cielo striato di Genova e faccio colazione sulla panchina lungo la via del mare, dove un signore barbuto legge (da lì per sempre) il giornale frusciante di vento. Rispolvero le foto che niente catturano - e sono io che non lo faccio - certe canzoni che sembra ovvio siano sempre esistite riprendono un po' di quel che non ho dato. Il profumo sì, delle spezie, della cucina, impregnati i muri vecchi dei caruggi, dove si vedono e non vedono le donne che vendono l'amore. Il sapore sì, dello stoccafisso con le olive taggiasche e i pinoli, il vermentino e, prima ancora, i fritti di pescetti lungo il porticato, buoni di mugolii prolungati. E certamente Faber e gli altri dappertutto, nei reticoli ombrosi dell'angiporto, una scritta sulla targhetta di Via del Campo e i rimbalzi d'adesso, del venerdì sera, mentre rispulcio canzoni, interviste, Spoon River e aneddoti della Pivano, come se fosse una mano nuova. In un filmato, prima del concerto di Sarzana dell'81, c'è lui che cammina per la cittadina con una camicia rossa, l'audio staccato lo osserva muoversi tra le viuzze. E ci sono alcune facce di astanti, ancora dentro lo strascico degli anni settanta, che da là rovistano e chiedono dove saranno e cosa sarà loro rimasto di quella sera, mentre già dormivo o facevo bollicine dalla bocca, qualche regione sotto, vicino ad altro mare, col sorriso mezzo sdentato e stanco. [Oggi e domani al Circolo Arci La Scighera, L'ombra che mi fa il verso - De Andrè e le canzoni popolari]

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