Era - se non ricordo male - la macchina di Starsky & Hutch (quelli veri, Paul Michael Glaser e David Soul, non le patetiche imitazioni di oltre vent'anni dopo).
Evidentemente, per il cinema più che una macchina è un simbolo: lo è anche per l'immenso Clint Eastwood nel suo ultimo film da protagonista, almeno a stare a quello che dice lui (e non so quanto ci sia da credergli).
Una Ford Gran Torino del 1972 giace nel box di Walt Kowalski, reduce della guerra di Corea e pensionato della Ford, fresco vedovo con problemi di comunicazione con figli e nipoti che non capisce e con qualcosa più dell'idea di una morte imminente (ha probabilmente un tumore ai polmoni che sta cercando di negare principalmente a se stesso). Walt vive in un quartiere ormai occupato da asiatici di etnia Hmong: è l'ultimo bianco rimasto a presidiare la propria villetta come un fortino; ma è il vicino peggiore che si possa immaginare in un contesto del genere, perché oltre a essere scontroso e aggressivo, è pure un acceso reazionario ipernazionalista xenofobo. Ci penseranno due ragazzi di una famiglia Hmong vicina a casa sua a fargli cambiare idea, in un vortice emozionale che non racconto per non togliere alle centinaia di lettori di questo blog il desiderio di passarsi due belle ore alle prese con uno di quei film che riconciliano con il cinema.
Film splendido, infatti, spietato ed epico, che ripercorre alcune delle tematiche del vecchio Eastwood giustiziere, e altre più tipiche dell'Eastwood vecchio: fra queste ultime, la paura della morte, la difficoltà nei rapporti con i figli, la solitudine della vecchiaia e il rapporto con i giovani, il superamento dell'incomunicabilità dei pregiudizi, persino il modo più che sospettoso di rapportarsi alla religione (ma, come in Million dollar baby, c'è sempre un prete intelligente che sa farsi strada nel cuore arido del vecchio disilluso).
Forse questo film non arriva alle vette immense di Million dollar baby - manca ovviamente anche l'apporto di Hillary Swank e Morgan Freeman, comunque i due ragazzi che fanno ala al vecchio cowboy sono veramente grintosi - ma si respira un'epopea da Vecchia America, qualcosa che sta finendo sotto la spinta della globalizzazione e di cui il reazionario Eastwood sembra sentire la mancanza. Glielo perdoniamo? In fondo sì: questo film riesce a commuovere per il sorriso disincantato con cui il vecchio e roccioso Clint, dalle mille rughe e dai muscoli d'acciaio, si spoglia dei suoi pregiudizi per diventare il paladino di una famiglia oppressa. E quando spiana la '45 sotto il naso dei balordi arroganti, o quando demolisce a calci un altro vigliacco buono solo a stuprare le ragazzine, noi facciamo ancora il tifo per questo vecchio yankee incartapecorito senza filtro, che fuma mille sigarette e sputa per terra, con gli ultimi pezzi dei suoi polmoni, anche il disprezzo per tutte le ingiustizie
Evidentemente, per il cinema più che una macchina è un simbolo: lo è anche per l'immenso Clint Eastwood nel suo ultimo film da protagonista, almeno a stare a quello che dice lui (e non so quanto ci sia da credergli).
Una Ford Gran Torino del 1972 giace nel box di Walt Kowalski, reduce della guerra di Corea e pensionato della Ford, fresco vedovo con problemi di comunicazione con figli e nipoti che non capisce e con qualcosa più dell'idea di una morte imminente (ha probabilmente un tumore ai polmoni che sta cercando di negare principalmente a se stesso). Walt vive in un quartiere ormai occupato da asiatici di etnia Hmong: è l'ultimo bianco rimasto a presidiare la propria villetta come un fortino; ma è il vicino peggiore che si possa immaginare in un contesto del genere, perché oltre a essere scontroso e aggressivo, è pure un acceso reazionario ipernazionalista xenofobo. Ci penseranno due ragazzi di una famiglia Hmong vicina a casa sua a fargli cambiare idea, in un vortice emozionale che non racconto per non togliere alle centinaia di lettori di questo blog il desiderio di passarsi due belle ore alle prese con uno di quei film che riconciliano con il cinema.
Film splendido, infatti, spietato ed epico, che ripercorre alcune delle tematiche del vecchio Eastwood giustiziere, e altre più tipiche dell'Eastwood vecchio: fra queste ultime, la paura della morte, la difficoltà nei rapporti con i figli, la solitudine della vecchiaia e il rapporto con i giovani, il superamento dell'incomunicabilità dei pregiudizi, persino il modo più che sospettoso di rapportarsi alla religione (ma, come in Million dollar baby, c'è sempre un prete intelligente che sa farsi strada nel cuore arido del vecchio disilluso).
Forse questo film non arriva alle vette immense di Million dollar baby - manca ovviamente anche l'apporto di Hillary Swank e Morgan Freeman, comunque i due ragazzi che fanno ala al vecchio cowboy sono veramente grintosi - ma si respira un'epopea da Vecchia America, qualcosa che sta finendo sotto la spinta della globalizzazione e di cui il reazionario Eastwood sembra sentire la mancanza. Glielo perdoniamo? In fondo sì: questo film riesce a commuovere per il sorriso disincantato con cui il vecchio e roccioso Clint, dalle mille rughe e dai muscoli d'acciaio, si spoglia dei suoi pregiudizi per diventare il paladino di una famiglia oppressa. E quando spiana la '45 sotto il naso dei balordi arroganti, o quando demolisce a calci un altro vigliacco buono solo a stuprare le ragazzine, noi facciamo ancora il tifo per questo vecchio yankee incartapecorito senza filtro, che fuma mille sigarette e sputa per terra, con gli ultimi pezzi dei suoi polmoni, anche il disprezzo per tutte le ingiustizie
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