giovedì 3 febbraio 2011

Sui treni e nelle stazioni

Fa una strana impressione ritrovarsi su un treno dopo vent'anni. Il Frecciarossa è una meraviglia che va a 300 all'ora, confortevole, pulito. Il controllore non ha la vecchia macchinetta che faceva un buco a forma di stella sul biglietto, ma un palmarino su cui controlla un codice alfanumerico del mio ticket. E poi è una donna, peraltro molto carina: ci tengo a essere in regola, qualunque violazione sarebbe, prima di tutto, una rottura dell'armonia in cui anche lei si inserisce come una nota di bellezza.
I posti sono assegnati, ma il treno è semivuoto; le toilette (una volta, sui vecchi arnesi sferraglianti delle Ferrovie Nord, si chiamavano ritirate) profumano di detergente dato di fresco. Accendo l'iPod e spiego il Corriere; leggo le solite brutture di ogni giorno, nemmeno il Milan ha vinto. Davanti a me si siede una donna al tramonto della sua gioventù, di forme abbondanti e di una strana bellezza che non percepisco a prima vista ma solo dopo un po', ancora intuibile ma estenuata, quasi sfiorita. Le manca un dito della mano sinistra ed è indaffarata con un cellulare un po' antiquato, come lei. Parla concitatamente con qualcuno - un marito? Un fidanzato? Una madre? - ma non sento cosa dice: non voglio violare la sua intimità, è il treno che ha momentaneamente reso contigue le nostre vite.
Sfoglio qualche pagina del libro di Simenon che ho comperato da Feltrinelli, in una Stazione Centrale di Milano talmente bella, pulita, rinnovata e piena di negozi che ho fatto fatica a riconoscerla. Il libro si intitola "In caso di disgrazia": una storia torbida delle tante raccontate dal grandissimo scrittore belga. Non c'è spazio per l'amore e il sesso è prevaricazione o istinto di sopravvivenza a seconda delle situazioni. 
Ma non sono ispirato: non leggo molto e passeggio su e giù, sino alla carrozza bar; non è come sull'Orient Express è il caffè è freddo, oltre costar caro ma mi accontento, anche perché mi viene in mente la scenetta di "Chiedimi se sono felice", quella in cui Giovanni scassa le palle al venditore di panini "Sì, ma quale formaggio? Ci sono tanti tipi di formaggio". E l'altro che risponde: "Lei da che ora è sveglio". Risposta: "Dalle sei". "Io dalle tre. A far panini". O qualcosa del genere.
Tutto diverso.
I panini sono preconfezionati.
Dal finestrino del vagone-bar guardo indietro verso i passeggeri della carrozza contigua: non ci sono più gli scompartimenti con le poltroncine in similpelle; i sedili sono come quelli degli aerei a gruppi di due. E sono comodi. I pochi passeggeri leggono o lavorano sul laptop.
Anche il treno, in fondo, sembra preconfezionato e mi risveglia quell'angoscia sottile che - lo so - mi aveva tenuto lontano da stazioni e ferrovie per tutti questi anni.
Torno al mio posto. Simenon mi aspetta rovesciato sul sedile accanto.
Di fronte a me, la mia dirimpettaia s'è accasciata sul giubbotto piegato sul sedile accanto. Dorme e sembra serena, finalmente.
I capelli prima raccolti adesso sono sciolti e le piovono scarmigliati e scomposti sulla guancia lievemente arrossata.
Sembra quasi bella e mi fa tenerezza; guardo per un po', rapito, il suo sonno profondo e fiducioso.
Si sveglierà poco prima di Termini e se ne andrà senza nemmeno salutare, ignara dello sconosciuto che ha vegliato sul suo sonno

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