domenica 16 agosto 2009

La nobile arte

Esiste una categoria di sportivi che induce sempre alla riflessione compassionevole: è quella del “pugile suonato”.
Chi è costui? È spesso uno sportivo che ha praticato il pugilato a livelli variabili in età giovanile e che, in età pre-senescente, si trova a riflettere sulla nullità della propria condizione e decide di ritornare sul ring o di non allontanarsene, nel caso sia ancora in attività, quando teoricamente farebbe ancora a tempo lasciando un buon ricordo di sé. Nei suoi sogni c’è l’idea di dimostrare al pubblico, all’avversario più giovane e a se stesso (non sempre in quest’ordine) che lui non è ancora finito, che lo sport potrebbe solo guadagnare dalla sua esperienza e dalla sua classe e che i veri valori non sono quelli squallidi e patetici di oggi, ma quelli dei suoi tempi. Naturalmente di solito tutto finisce malissimo: il pugile suonato prende sul grugno un treno di botte, raccoglie oltre ai fischi del pubblico ingrato la propria misera borsa e si allontana nell’ombra, a meditare sull’ingiustizia della vita che non premia i veri protagonisti; nella sua testa c’è sempre un po’ più di un’ombra di disprezzo per l’umanità ignorante che non è in grado di capire la Vera Arte.
Questa triste categoria di sportivi, messa in scena in numerosi film, ha trovato a mio modesto parere la sua sublimazione nell’ultimo episodio de “I mostri” di Dino Risi, intitolato appunto “La nobile arte”, in cui il grandissimo Gassman presta la propria straordinaria mimica alla tragica maschera di uno di questi mediocri protagonisti: circuito da un manager senza scrupoli (Ugo Tognazzi, anch’egli al meglio delle proprie possibilità), finirà per prendere un sacco di botte.
Quella del pugile suonato con la sua tragica valenza euripidea è, chiaramente, una maschera applicabile a qualunque campo della vita di tutti i giorni, ivi compreso il giornalismo che una volta fu militante, e che oggi è solo di colore.
E questo ci porta diritti al problema che vorrei affrontare oggi.

È noto a molti (non a tutti: alcuni quotidiani anche importanti hanno bellamente ignorato il fatto) che Giorgio Bocca, ex grande giornalista tuttora in attività oltranzista come i pugili suonati cui facevamo riferimento poco sopra e dei quali ha gli stessi atteggiamenti patetici e spocchiosi, abbia dedicato la pagina che l’Espresso gli dà settimanalmente in gestione per sputare non già su Berlusconi – cosa che fa quotidianamente senza mai aver fatto uno sforzo per capirne le ragioni del successo e, quindi, autocritica, atteggiamento che non può essere compatibile con la sua arroganza da vecchio militante – ma sulle forze dell’ordine.
Citando fonti di attendibilità quanto meno da verificare come Leoluca Orlando o Totò Riina, il Nostro dice – cito testualmente – “…il problema numero uno della nazione non è il conflitto fra il legale e l’illegale, fra guardie e ladri, fra capi bastone e le loro vittime inermi, ma il loro indissolubile patto di coesistenza”; e, poco oltre: “I carabinieri, specie quelli che arrivano da altre provincie, sanno che la loro vita è appesa a un filo, che un colpo di lupara può raggiungerli in ogni vicolo, in ogni tratturo. Non è naturale, obbligatorio che si creino delle tacite regole di coesistenza o di competenza?”.
Si badi: l’anziano giornalista non dice “alcuni” carabinieri; dice “i” carabinieri, dando per scontato che la battaglia con la mafia sia persa perché le forze dell’ordine sono conniventi con la criminalità organizzata, quella stessa che non ha mai esitato a colpirne gli esponenti più o meno in vista (un nome su tutti, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa).
Ora, posso anche essere d’accordo in astratto con chi – procedendo come al solito per teoremi – adombra liaisons fra la malavita organizzata e frange corrotte di alcuni ambienti delle forze dell’ordine: ce ne sono sempre state in tutto il mondo, per cui questo non sarà un aspetto che debba particolarmente scandalizzare il lettore mediamente smaliziato, che non ha certo bisogno di documentarsi sulle rubriche di Bocca.
Ma il fatto che il senescente giornalista affermi l’esistenza di connivenze de facto fra “i” carabinieri e la mafia, è una cosa che mi irrita profondamente per alcuni motivi essenziali:

  1. Quello dei teoremi è un malcostume squisitamente italico ed appannaggio esclusivo di quella sinistra che ignora la questione morale nel proprio ambito, ma è fortemente attratta da quella altrui. In quest’ottica, è ben difficile che il Divino Bocca si metta a parlare della tresca fra la giunta regionale pugliese e la Sacra Corona Unita per gli appalti sanitari, mentre invece eccolo pronto ad ipotizzare connivenze mai provate fra criminalità organizzata siciliana e forze dell’ordine che hanno lasciato sul campo vittime di ogni età e grado. A fare un teorema non si sbaglia mai: la calunnia fa sempre parlare di sé e un vecchio giornalista ben oltre le soglie della pensione vive per queste cose. Tanto, ora che qualcuno si prende la briga di verificare la bontà di un teorema, il danno è già stato fatto
  2. Data questa premessa, chi se ne frega di provare le calunnie, di citare dati e fonti, di documentare le palate di escrementi che l’anziano e livoroso compilatore della rubrica su “L’Espresso” solleva quotidianamente con la propria tastiera? Nella peggiore delle ipotesi, anche l’avversario più accanito scuoterà la testa dicendo: “Tanto è vecchio”, nella migliore troverà il solito mucchio di sicofanti che si beano della sua prosa distruttiva e qualcuno, magari, pur non avendo mai capito un cazzo di queste cose, ma avendo seguito con attenzione “Il Padrino” 1, 2 e 3 e “Il capo dei capi”, scuoterà l testa in senso opposto dicendo: “Io l’avevo sempre detto” .
  3. Non gli faremo un torto se affermeremo che l’uomo palesemente dimostra gli anni che ha: già solo per questo motivo è difficile che l’Arma dei Carabinieri gli si rivolti contro dicendogli pubblicamente quello che si merita. E così si può permettere di dire tutto quello che gli passa per la testa, sia che si tratti di insultare gli italiani che non hanno votato secondo le sue idee, sia che si tratti di accanirsi contro le forze dell’ordine

Ora, del gruppo dei politici rappresentati in Parlamento, gli unici che si sono schierati dalla parte del vecchio giornalista sono ovviamente quelli dell’Italia dei valori, sempre pronti ad allinearsi al vecchio secondo principio di Murphy secondo cui “La merda, più la rimesti, più puzza”; gli altri partiti, invece, di destra come di sinistra, se ne sono pubblicamente dissociati, dimostrando che qualche volta non basta sputar veleno per mutuare consensi.
Va bene così, per carità; ma in fondo un po’ mi dispiace. Non ho simpatia per Giorgio Bocca, e non ne ho mai fatto mistero, ma una volta era un giornalista di buon rilievo (non eccezionale), autore anche di alcuni saggi di importanza non banale nella comprensione di fatti recenti della storia italiana, anche se scritti con la puzzetta sotto il naso e con l’aria di chi la sa sempre più lunga degli altri. Ma così com’è adesso, anziano, livoroso, triste, va bene solo per i Valorosi Italiani che trovano in lui quel minimo riferimento intellettuale che non possono – ça va sans dire – trovare nel loro leader

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