Primo mare oggi, per me.
L'aria è calda, il sole è caldo, persino il mare è caldo. Mi cospargo di crema solare a fattore di protezione 30 (quella dei bambini, insomma) le molli carni opime e corrotte da ore e ore passate sotto la luce artificiale delle lampade scialitiche. La spiaggia dei Bagni Lido di Celle Ligure mi accoglie con tutto il suo carico di morchiosa ed indolente prevedibilità; penso alla mia amica Antonella che giovedì prossimo partirà per l'India con solo uno zaino in spalla e mi rendo conto di quanto io sia tragicamente più pigro di lei, sdraiato sotto l'ombrellone a muto colloquio con il mio iPhone.
Intorno a me, e più pigramente di me, si muovono campioni di varia umanità; fra di essi fanno capolino anche fantasmi di un passato lontano come – incredibile dictu – XYZ, pediatra di quella parte della provincia che la mia nonna Nella buonanima avrebbe chiamato "busina".
XYZ! Santa pace, erano vent'anni che non lo vedevo e Dio solo sa quanto poco ne sentissi la mancanza! Lo osservo con attenzione: da quel pomposo imbecille che è, sta con i piedi in acqua e le mani sui fianchi, nella posa dell'autentico maschio da spiaggia, con la generosa virilità contenuta a malapena da un paio di short molto aderenti che io non potrei permettermi nemmeno nell'arco di dieci vite, circondato da una piccola folla di oche starnazzanti in calore, una delle quali so essere la momentanea e provvisoria titolare ufficiale dell'attributo.
Lo guardo con un accenno d'invidia: al suo paragone faccio ridere. Non potrei immaginare contrasto maggiore fra la mia trippa bianca per la cronica assenza di sole e l'emulsione anti ustione, e la sua pelle abbronzata che copre muscoli guizzanti. I suoi capelli sale e pepe fanno piacevole contrasto con l'abbronzatura, mentre la mia pelata riluce pallida al sole.
Eppure basta sentirlo parlare per far passare in me ogni residuo d'invidia per la sua fisicità, per il suo sorriso ebete e plastificato che probabilmente si pone ogni mattina sulla bocca come un lipstick, come un qualunque stereotipo. E' un medico, XYZ, di quelli cui piace sentirsi al centro dell'attenzione con domande sulla salute. La sua specializzazione - la pediatria - lo predispone a circondarsi di mammine in fregola giustificando così il grazioso soprannome dell'autostrada Milano-Genova-Ventimiglia: "Strada dei Cornuti".
Decido che ne ho abbastanza di lui e passo oltre. La parte buona della spiaggia e' dietro di me, verso sinistra.
Mi ci dirigo senza indugio.
Luciano.
Vecchio coriaceo ligure del capoluogo, di Genova profonda, della parte di Sampierdarena, si fa vedere ai Bagni Lido solitamente il sabato e la domenica, e solo di mattino. La pelle e' cotta dal sole e contrasta col bianco dei capelli ancora folti, del sorriso e con l'oro della catena che porta al collo. Luciano ha avuto una vita intensa in giro per il mondo, ma Genova gli è rimasta attaccata al cuore ed e' una costante di tutti quelli che vengono da questa strana città, se considerate che mio zio Gino, dopo oltre 50 anni vissuti in America, ha voluto essere seppellito a Staglieno...
Gli sono simpatico. Quando arrivo al mattino in spiaggia - lui e' già li - il rito prevede la consumazione del caffè al bar; poi torniamo al suo ombrellone, lui si accende un mezzo sigaro e ce la contiamo su.
Amo molto il suo modo sereno e disincantato di vedere la vita; la sua calata genovese, puntualmente intervallata da numerosi "Belin" di puntualizzazione, e' morbida e ha un sapore vagamente levantino che, col caldo torrido di stamane, ci sta a meraviglia.
Gli domando di Genova. Ho in mente lo zio Gino e il suo estremo desiderio di riposare a Staglieno dopo tutta la vita passata al di là dell'Oceano e ancora non riesco a capacitarmi di questa bramosia di tornare sulla Calate dei Vecchi Moli, in quell'aria spessa, carica di sale, gonfia di odori. Lui è stato due anni a San Francisco: mi conferma che anche lui ha patito la saudade.
“Luciano, cosa c'è in questa città che vi chiama, che vi lega a sé?”
Lui si gratta la testa, perplesso; sembra a disagio per la mia domanda:
“Belìn, non lo so – risponde – Sarà il mare”
Eh no, Luciano! Non puoi rispondermi così, come un qualsiasi Pasquale Cafiero col mandolino in una mano e la pizza nell'altra, che canta “Chist'è 'o paese d'o sole”!
L'Italia – Dio la strafulmini – è circondata per tre quarti dal mare e, se fosse colpa del Mediterraneo, tutti gli emigranti nostalgici dovrebbero tornare a casa fra quattro assi e non ci sarebbe terra a sufficienza per accoglierne le spoglie.
Seguo il filo dei miei pensieri e aggiungo:
“Ti dirò, Luciano, che questa storia me la ripete sino all'ossessione anche Nadia, col suo cazzo di mare di Bari, col polpo crudo e sempre quel mare che domina tutto e tutti, e ogni volta che la ascolto in sala operatoria o che leggo le sue litanie levantine su Facebook, mi sembra di aver di fronte l'agente letterario di Gianrico Carofiglio. Nel suo libro 'Né qui né altrove' c'è uno sfigato di barese che torna da Chicago alla sua città natale e dice che laggiù in America l'acqua ce l'ha, quella del lago Michigan, ma gli manca il puzzo del suo mare. Il puzzo! Ma ci pensi? Ma non è che noi italiani quando andiamo all'estero viviamo di luoghi comuni?...”
Luciano tira una boccata dal suo mezzo Mood, poi me lo punta contro e sorride:
“Belìn, io non so cosa sia. Tu me lo chiedi e io non so darti una risposta. Io so solo che a San Francisco avevo il pensiero fisso di tornare qui, e sono tornato. Hai girato per la città? Per i caruggi?”
Faccio cenno di sì. Lui riprende:
“E t'è piaciuta?”
“Sì, molto, e non so perché”
“Quella è la città, quella è Genova. Quando cammini per i caruggi non devi guardare per terra, dove c'è la merda. Devi camminare con il naso per alto. Fra le lenzuola stese e i muri stretti ci vedi il cielo azzurro”.
Guardo il suo sorriso franco e disarmante e ripenso per un attimo fugace a Nadia; anche lei ha nostalgia di una fetta di cielo azzurro fra le lenzuola stese?
Lo zio Gino, pellegrino nel mondo per sessant'anni della sua lunga vita, riposa felice a Staglieno.
Con quella faccia un po' così
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