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mercoledì 4 agosto 2010

Celle Ligure: fragmenta


Vento, mare, sole, spiaggia, caldo, poggiolo, Corriere: tutto ciò che risolverebbe le esigenze del sciur Brambilla in vacanza.
Focaccia, pesce, carne piemontese, caffè caldo fumante: per affondare nello stomaco le miserie della vita quotidiana.
Libri, musica, Simenon senza Maigret, isole svedesi con personaggi scavati nelle rocce a strapiombo sul mare: per sognare quegli orizzonti lontani e quelle avventure infinite che il mio spirito pigro e il mio fisico adiposo sempre mi precluderanno.
Macchina fotografica, iPhone e MacBookPro: per tenermi in contatto, per raccontare su Feisbuk le mie vacanze, per scrivere le mie storie sul blog, per tenere presente a me stesso tutta la vita e il suo travaglio.
E la notte della lunga estate calda: per cercare di dormire senza pensare al silenzioso allontanarmi dalla meta che credevo vicina, al pensiero che non morirà mai ma che viene chiuso in una stanza buia e lontana, alla luce della stella che brillerà sempre nei miei occhi che non la potranno più contemplare senza ferirsi, alla canzone di Giorgia e Gianna Nannini che girerà a vuoto incespicando monotona, come un vecchio disco di vinile rotto. Tutti pensieri che esistono nel cuore di ogni uomo e che sembrano fatti apposta per essere resuscitati da una notte estiva

martedì 3 agosto 2010

Sciolse i capelli neri al vento


Oggi umore alterno, legato probabilmente al tempo variabile.
Prendo il “Corriere” e lo sfoglio con indifferenza, cominciando dalla fine, ove si allocano le pagine sportive: la cronaca politica attuale non giustificherebbe un inizio diverso. Ed è così che capito sui necrologi.
Perché dovremmo leggere i necrologi?
Per un desiderio inconscio e morboso di dimostrare a noi stessi che noi ci siamo ancora mentre qualcuno non c'è più?
Per vedere se è mancato qualcuno di nostra conoscenza?
Non so, ma fatto sta che ci vado sopra e l'occhio mi cade su questo (il testo è copiato parola per parola, ma i nomi sono di fantasia):
“Mia Margherita adorata, gioia dei miei occhi, mio grande amore, tesoro bello, ti scrivo per l'ultima volta con tanto dolore. Mi chiedo come potrò vivere senza di te, che sei stata la compagna della mia vita. Insieme abbiamo vissuto sessantacinque anni di amore affettuoso, felice e sereno. Sei stata moglie, madre e nonna affettuosa, sempre bella ed elegante, disponibile ed allegra anche quando hai dovuto affrontare prove difficili. Chi ti ha conosciuta non poteva non volerti bene. È stato bello tenerti per mano tutta la vita, ci piaceva così tanto tenerci la mano e te l'ho voluta stringere anche quando mi hai lasciato. Grazie per tutto l'amore che mi hai dato e per la famiglia meravigliosa che abbiamo costruito. Spero che troverò la forza nei ricordi meravigliosi della nostra vita per continuare a vivere, nella serena speranza di riaverti vicino nel mondo che aspettiamo. Ti amo, ti adoro. Tuo Artemio”.

Chi sono Margherita e Artemio?
Sessantacinque anni d'amore, è l'amore folle: Jacques Brel si accontentò di venti – e infedeli – per descrivere una delle più belle storie d'amore di cui si conservi memoria. Dunque, facendo due conti questi due signori si sono amati sin dalla fine della seconda guerra mondiale.
Mi siedo su una panchina sul Lungomare Crocetta di Celle Ligure. Il mare è appena increspato dal vento che, assieme alle nubi, vuole raccontarmi una storia.
Cerco di resistere un po', inseguendo i miei pensieri, ma non ce la faccio.
Ascolto.

Il posto è vicino al lago Maggiore, in una di quelle località dove, specie a quei tempi, si conoscevano tutti. Margherita e Artemio si vedevano già sin da ragazzini, a varie riprese.
Artemio si era dovuto allontanare da B.; era stato preso in una retata e internato in uno di quei posti oltre confine, in Germania o in Polonia, da cui non si tornava indietro. Invece la forza dell'amore per Margherita aveva avuto il sopravvento e, dopo il 25 aprile, Artemio era tornato indietro: a piedi, affamato, emaciato, piegato dagli stenti e dalla disperazione per la morte di tutti gli amici che non erano riusciti a tornare, che non ce l'avevano fatta. Lui era stato più fortunato, ma aveva qualcosa in cui credere, un'idea che l'aveva tenuto vivo contro ogni disperazione, anche quando non ce la faceva più: Margherita.
Sapeva che l'aveva aspettato, anche se non s'erano parlati, anche se non avevano nemmeno fatto in tempo a salutarsi, perché i tedeschi li avevano rastrellati e li avevano portati a Milano e caricati sul treno. Non ce l'avevano fatta a salutarsi, ma lui sapeva che la signorina Margherita l'avrebbe aspettato.
Margherita! Si conoscevano sin da quando erano piccoli, dicevamo, ma sarebbe più esatto dire che si vedevano perché lui era il figlio del magnano di B. e imparava a riparare le caldaie, mentre lei era la signorina Margherita, la figlia del Conte V. che aveva fatto le “scuole alte” a Verbania e che sarebbe andata all'Università a studiare Lettere per diventare professoressa. Se solo non ci fosse stata la guerra...
La vedeva spesso vicina al lungolago con un libro in mano, ed era sempre vestita bene, mentre lui sembrava uno straccione con i vestiti del lavoro, ma quel giorno lei alzò quei suoi dannati occhi neri e guardò i suoi avambracci abbronzati, e sorrise con quel sorriso così bello e buono da sembrare sovrumano, che sembrava che il Padreterno l'avesse mandata sulla Terra ad assolvere l'umanità di tutti i suoi peccati.
Artemio si era innamorato al primo sguardo di quegli occhi da pazza, neri come l'ala del corvo, che lo scrutavano sino al fondo dell'anima e di cui aveva una soggezione tremenda, se non fosse che la loro violenza era smentita dalla dolcezza immensa di quel sorriso tenero, ampio, infinito.
Era per lui quel sorriso? Lo pensò fermando la bicicletta vicino alla panchina del lungolago su cui era seduta. Era istupidito, la conosceva di vista sin da quando erano ragazzini ma pensò di non aver mai visto niente di più bello, struggente e commovente al mondo.
Lei aveva alzato il naso, piccolo ma lievemente aquilino e gli aveva parlato con la sua voce profonda:
“Non si usa più salutare?”
“Io...scusatemi”, aveva farfugliato Artemio in risposta.
Margherita era scoppiata a ridere:
“Artemio! Ci conosciamo da quando siamo piccoli. Possiamo darci del tu, non credi?”
“Scusatemi – aveva ripetuto imbarazzatissimo il ragazzo – E' da tanto tempo che non vi vedo”
“Lo so. Sono stata per cinque anni in un collegio svizzero perché il mio babbo ha ritenuto utile darmi una educazione che qui non sarei riuscita ad avere. Adesso sono pronta per l'università. E tu che hai fatto in questi anni?”
Lui aveva contemplato i suoi stracci e la sua bicicletta arrugginita, poi aveva allargato le braccia:
“Non molto. Ho lavorato. Oggi ho riparato la caldaia a casa vostra”
“Sei riuscito ad evitare l'esercito?”
“Sinora sì. Sono ancora troppo giovane, ma non so per quanto ancora mi terranno fuori”
Artemio, quasi inconsapevolmente, aveva lasciato cadere la bicicletta e si era avvicinato alla panchina. Margherita si era lievemente spostata per dargli un po' di spazio. Lui non ne aveva approfittato e si era seduto sul bordo esterno della panchina, come se la vicinanza con lui potesse sporcare la bellezza sovrumana di quella ragazza che conosceva da sempre, ma che gli sembrava di vedere per la prima volta.
Per parte sua, la ragazza era divertita dall'imbarazzo di quel giovane forte ma taciturno. Lo guardava con aria di sfida, con i suoi occhi neri incredibili, conscia del potere che esercitavano su di lui.
Era cominciata così.
E, loro non lo sapevano ancora, sarebbe durata sessantacinque anni.

Naturalmente a casa V. nessuno aveva preso bene l'infatuazione di Margherita per Artemio, di estrazione troppo bassa per una signorina così elevata:
“Ti farà fare una vita da serva!”, le urlava contro il padre furioso.
“Non importa”, ribatteva lei cocciuta.
“Dovrai rinunciare all'Università: non potrà mantenerti agli studi e, se lo sposi, io ti diseredo”
“Come volete voi”, ribatteva lei girando i tacchi.
Poi c'era stato tutto il grosso pasticcio della guerra e l'Università era sembrato il minore dei problemi.
E poi c'era stata la cattura di Artemio insieme ad altri giovani che s'erano lasciati tentare dall'idea di andare in montagna. I tedeschi non c'erano andati troppo per il sottile e li avevano caricati sul primo carro bestiame in partenza per chissà dove dalla Stazione Centrale di Milano.
Margherita, quando l'aveva saputo, aveva abbassato gli occhi e si era legata con un nastro i lunghi capelli neri, che il suo Artemio amava accarezzare con timidezza. Giurò a se stessa che li avrebbe sciolti nuovamente solo quando Artemio fosse tornato.

Il lago luccicava per la primavera e Margherita era lì, alle porte del paese insieme a tante altre ragazze che avevano visto partire i loro morosi. Non molti erano tornati indietro, ma loro aspettavano tutte perché non potevano essere sicure. Certo, è vero che non avevano ricevuto lettere, ma questo non voleva dire perché erano anni difficili e la posta non veniva sempre recapitata.
Lei vide Artemio in fondo alla strada: l'aveva riconosciuto subito, anche se pesava circa 30 chili meno di quando era partito. Sembrava un vecchietto, tossiva e non riusciva quasi a stare in piedi, ma lei stabilì che se ne sarebbe presa cura e gli avrebbe ridato la vita che gli altri gli avevano rubato.
Gli corse incontro, chiamandolo per nome e sciogliendosi i capelli al vento: non sembrava per niente l'altera signorina V. che tanta soggezione aveva messo nel cuore del giovane caldaista scarmigliato in bicicletta. Margherita correva gridando fra le lacrime il nome dell'amato e tutti quelli che le furono amici anche negli anni a seguire giurarono che fu l'unica volta in cui la videro fuori di sé, ma il vento le scarmigliava i capelli neri e spessi come l'ala di corvo che lei liberava dal nastro scuro, e i suoi occhi – quegli occhi scuri e da pazza che tanto avevano fatto innamorare Artemio – piangevano senza ritegno mentre lei gli gettava le braccia al collo, e lo buttava per terra, e lo baciava disperatamente davanti a tutti, dicessero pure quello che volevano, questo è mio marito e io sarà sua moglie. Diseredata e senza università.

Il vento soffia violento e mi schiaffeggia, quasi voglia risvegliarmi. Il “Corriere” sventaglia sulle mie gambe, allontanando dalla mia vista la pagina del necrologio.
Penso ad Artemio: come sarà la sua vita senza la donna che aveva sciolto i suoi capelli al vento dell'Aprile il giorno che lui era tornato a casa? Esiste davvero ancora un amore così pazzo e disperato?
La mattina è triste e scura. Il vento di grecale porta nuvole spesse nel cielo sopra me.

lunedì 2 agosto 2010

Storia del signor Erasmo

NB: quella che segue è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti o fatti realmente avvenuti è puramente casuale

Il signor Erasmo è un tranquillo uomo di mezza età.

Lavora da 12 anni in una grossa azienda alla periferia di M. ove ricopre un ruolo di discreta responsabilità nel settore Affari Interni. Nel corso degli anni ha dato dimostrazione di tenacia: e' arrivato nell'azienda senza raccomandazione, ha lavorato in modo intenso applicandosi con costanza, ha partecipato a corsi di perfezionamento e si e' impegnato in attività sempre più difficili. Sempre sorridente e affabile con tutti, il signor Erasmo si e' tranquillamente ritagliato una sua nicchia ecologica in cui può dire la sua. Lo si nota poco, ma i suoi colleghi hanno piacere di vederlo perché ha sempre una parola buona per tutti.

Non è esente da difetti, ovviamente, e egli stesso ne è consapevole: mai stato veramente magro, col passare degli anni Erasmo ha mostrato progressiva tendenza alla pinguedine; è sempre stato testone e caparbio ed è difficile togliergli un'idea dalla testa una volta che vi si è insediata, anche se tutti gli riconoscono una notevole elasticità mentale; è geloso delle persone cui vuol bene e spesso le subissa di richieste piagnucolose del tipo "Mi vuoi bene?", oppure "Mi pensi?", espresse con aria sognante da bassett hound e le orecchie che toccano terra. Insomma, un ruffiano della più bell'acqua che però talvolta riesce a strappare un sorriso divertito a quel pubblico femminile che, a regola, non sarebbe attratto dalle sue modeste prerogative.

Inoltre il signor Erasmo ha un'interessante prerogativa: crede nella trasversalità. Pensa che i vari uffici della ditta per cui lavora non debbano tirare a fregarsi, ma cercare di collaborare fra di loro, e così fa nel suo piccolo ottenendo una credibilità importante agli occhi dell'amministrazione che inizia ad interessarsi a lui e alle sue modeste prerogative.

Insomma, una tranquilla vita da impiegato, scandita dalle strisciate del badge all'ingresso e all'uscita, dai numerosi caffè alle macchinette, dal lavoro interessante ma faticoso, dalle chiacchiere con i colleghi. E dalle letture: Erasmo legge di tutto e, ogni tanto, scrive qualcosa.

Nessuno lo sa, ma Erasmo - indefesso navigante su Internet - ha aperto un suo blog. L'ha fatto con un nom de plume - Gino Cerutti, come il "drago" della canzone di Gaber - e vi pubblica i suoi racconti, ma non li legge quasi nessuno, fuorché una ristretta cerchia di appassionati che hanno scoperto per caso il suo blog, che si intitola "Il vento nelle vele", in omaggio alla sua passione per quel mare che riesce a raggiungere solo in occasione delle vacanze.

La vita di Erasmo ha uno scossone il giorno in cui Zulian, Schiappacasse e Rebaudengo della Divisione "Prevenzione sinistri" lasciano insieme la ditta per andare a insediarsi in un posto ove saranno pagati molto di più. La DS (come viene chiamata la Divisione Sinistri) rimane scoperta di botto senza particolare preavviso e in Direzione vanno tutti nel pallone. Iniziano contatti frenetici con personaggi esterni alla ditta, sotto pressione del responsabile della Logistica da cui dipende a DS.

Erasmo rimane alla finestra. Nel corso degli anni anch'egli si è occupato di prevenzione sinistri in associazione soprattutto a Zulian di cui, almeno all'inizio e prima dell'arrivo di Schiappacasse e Rebaudengo, è stato stretto collaboratore per l'interesse specifico verso il tema. Poi le cose si erano fermate ad una generica ed amichevole collaborazione superficiale perché Zulian si era legato molto agli altri due – specificatamente agganciati alla sua divisione – e perché il capo della logistica, Roberto Ranieri (RR, come lo chiamavano tutti), un caratteriale bestiale pur se molto bravo nelle sue cose, aveva ordinato a Zulian di tenere Erasmo il più fuori possibile dalla gestione della DS. Zulian almeno all'inizio aveva cercato di opporsi, poi aveva prevalso l'imposizione di RR che, come al solito, aveva pestato i piedi per terra bestemmiando con tono isterico.

Ma adesso le cose erano cambiate. Sostituire tre personaggi così importanti in un colpo era peggio che difficile: era praticamente impossibile. Ed era stato così che qualcuno molto vicino all'Amministrazione aveva suggerito a Erasmo di preparare un suo piano di gestione della DS e di sottoporlo, hai visto mai... Erasmo sulle prime si era difeso, poi aveva accarezzato l'idea: più che altro lo stimolava la possibilità di creare qualcosa di suo e la prospettiva di sistemare un paio di suoi colleghi più giovani che ancora non avevano avuto una collocazione precisa.

Su una cosa però è categorico sin dall'inizio: “Se va in porto, la DS deve passare dalla Logistica agli Affari Interni”.

“E perché?”, gli chiede il direttore generale.

Erasmo si stringe nelle spalle e sorride:

“Perché io con quel matto di Ranieri non riuscirei a lavorare. Perché ho sempre lavorato bene agli Affari Interni dove mi hanno permesso di diventare quello che sono. Perché RR non mi permetterebbe di sistemare i miei amici”

“Va bene, ne riparleremo”, risponde il direttore pensieroso chiudendo il fascicolo.

Ma non ne riparleranno affatto.

La vicenda si protrarrà per un paio di mesi, con gli uffici della direzione che si rimpallano il progetto di Erasmo senza mai convocare l'autore per una discussione.

Erasmo cerca di capire le idee dei suoi capi. Nella redazione di quel progetto ha profuso molto impegno, ma soprattutto il tempo stringe. Il suo giovane amico e collega Marco Cambieri è tenacemente ricercato da un'altra ditta che gli offre circa il doppio: siccome Marco è però prima di tutto un idealista di sinistra, l'unico modo per tenerlo è coinvolgerlo in un progetto di lavoro in cui Erasmo abbia un ruolo leader, perché Marco sa che ci sarà possibilità di crescita professionale, l'unica cosa che gli interessi più dei soldi. Ma non riesce a sapere niente, se non voci di corridoio: “E' fatta”, oppure: “No, stanno contattando la ditta XYZ”, oppure: “Sta tranquillo, con le paghe da fame della nostra ditta non viene nessuno”, o ancora “RR sta diventando matto perché gli hanno detto che tolgono la DS dalla logistica”. E infine, ormai alla fine di Dicembre, un pezzo grosso della direzione gli tira la manica della giacca, lo porta in un angolo, si accende un proibitissimo mezzo toscano e gli dice con aria da cospiratore:

“Ormai non c'è più tempo per soluzioni alternative. Sei tu il candidato definitivo. RR manderà giù il rospo. Cazzi suoi”

“Ma mi diranno qualcosa di ufficiale prima o poi? Sai, Marco è stato messo alle strette dall'altra ditta, non ho più possibilità di rimandare...”

“Lunedì. Lunedì riceverai l'investitura”, risponde sorridendo, e gli batte la mano sulla spalla allontanandosi.

Infatti.

Lunedì Erasmo viene informato ufficiosamente del fatto che, con un colpo di scena degno di un film di Hitchcock, è stato nominato responsabile della DS l'ingegner Mazzanti, proveniente dalla ditta Menelicche, e che il tutto è stato orchestrato da Ranieri che ha giocato la carta della disperazione telefonando al proprietario della ditta – su cui vanta un notevole ascendente – il quale ha telefonato all'amministratore delegato, ecc.

Fine del cinema: Erasmo torna nei ranghi dopo aver assaporato il suo breve sogno di gloria, il suo amico Marco se ne va alla ditta XYZ, l'ingegner Mazzanti arriva e si insedia alla DS che, ovviamente, rimane nella Logistica.


Il giorno dopo Natale Erasmo si trova in ufficio a sistemare alcune pratiche.

Ranieri gli passa accanto: è allegro e su di giri. Lo tocca nella spalla e gli dice:

“Ti spiace venire da me un attimo?”

Erasmo entra nel suo studio. Ranieri è seduto dietro all'ampia scrivania e si accende un mezzo toscano; Erasmo riflette sul fatto che dev'essere un momento di rivalutazione per un prodotto tanto negletto. RR lo invita a sedersi con un ampio gesto della mano:

“Allora Erasmo, penso che dobbiamo farci due chiacchiere tu e io. In amministrazione mi hanno detto che l'arrivo di Mazzanti ha fatto venire un bel mal di stomaco a qualcuno. Per caso hai bisogno di un Ranidil?”, conclude sorridendo trionfante.

“Non credo”, risponde Erasmo asciutto e sorridente a sua volta.

RR tira una boccata dal suo sigaro. Sembra Larry Hagman nella serie televisiva “Dallas”:

“Erasmo, Erasmo... Tu pensavi veramente di togliermi la DS? Tu pensavi di togliermi una cosa mia? Non sai che sono stato io a volerla? Sappi che finché ci sarò io a capo della Logistica, tu non avrai MAI la DS”

Erasmo conta mentalmente sino a 10: in questi casi, mantenere la calma è assolutamente fondamentale:

“Roberto, io ho preparato un piano perché mi era stato richiesto dall'Amministrazione”. O meglio, pensa, dalla parte di essa che voleva fotterti, ma questo non glielo può dire, vorrebbe dire tradire la fiducia di chi gli ha fatto certe confidenze. Poi continua, allargando le mani: “Io sono un soldatino e ho ubbidito. Ti sembra che voglia o possa mettermi contro di te? Ho fatto quello che mi veniva chiesto e ho solo espresso la volontà di continuare a lavorare nel mio gruppo. È una manifestazione di lealtà nei confronti delle persone con cui ho sempre lavorato. Dovresti capirlo anche tu, no?”

RR sorride benevolmente: ha già vinto, non ha bisogno di stravincere. Si limita a soggiungere:

“Bene, sono contento che ci siamo chiariti. Ti chiedo di collaborare con Mazzanti, come avevi fatto con Zulian: adesso cercherà di inserire nella DS forze nuove, ci sarà il bisogno della tua esperienza come guida per i giovani”.

E lo congeda.

Erasmo ha perso su tutta la linea: non ha avuto la responsabilità della DS, ha perso Marco (il suo rimpianto maggiore), non ha avuto nemmeno il ringraziamento dalla Direzione – forse imbarazzata – per l'impegno che ci ha messo, e adesso deve collaborare con un perfetto sconosciuto. Sopporterà, si dice, ma si domanda se il tempo sarà galantuomo una volta tanto.


Mazzanti è una brava persona, ma – come tutti quelli della Logistica – deve obbedienza cieca, pronta e assoluta a Ranieri.

Un giorno a Febbraio Erasmo gli dice:

“Dobbiamo pensare alle vacanze”

“In che senso?”, risponde l'altro un po' svagato.

“Be', visto che i più esperti sul tema siamo tu e io, benché di due divisioni diverse, forse dovremmo coordinare le nostre vacanze in modo che uno di noi rimanga sempre a supervisionare le attività di quelli giovani che stanno iniziando adesso”

“Capisco quello che dici, ma io sono un uomo di RR: è lui che decide”

Erasmo allarga le braccia, sconsolato:

“Bene, come vuoi tu. Io la copertura al mio giovane la do, andiamo in vacanza nello stesso periodo. Se RR non vuole la mia collaborazione...”

“Non è che non vuole: decide lui”, insiste Mazzanti.

Erasmo risponde:

“Decide per te. Io ho il responsabile degli Affari Interni: è lui il mio capo”

E, per una volta, si sente come il Gino Cerutti con cui scrive i suoi racconti sul blog.


E si arriva così al primo giorno di vacanza.

Mazzanti è anch'egli via da una settimana.

È la notte fra l'1 e il 2. Erasmo è nella sua casetta al mare e sta dormendo il sonno dei giusti quando, a mezzanotte e mezza, squilla il telefono. È il centralino della ditta; gli viene passato il direttore generale:

“Erasmo, c'è un problema urgente: un sinistro. E manca Mazzanti”

“Va bene – dice assonnato Erasmo – E allora?”

“Non sei tu il referente in sua assenza?”

Erasmo scoppia a ridere divertito:

“Oh no davvero!”

“Ma tu non sei quello più anziano dopo di lui in DS?”

“Non è esatto: io collaboro alla DS, ma lavoro – come sai – per gli Affari Interni”

Il direttore generale piagnucola:

“Ma il turno reperibilità è scoperto!”

“Questi sono affari vostri: siete voi che mettete online i turni, dovevate pensarci”

Il direttore si inalbera un poco:

“Guarda che io sto per diramare un ordine di servizio! A qualcuno tocca!”

“Accomodati – risponde Erasmo – io sono al mare, a C. Mi ci vogliono per tornare, diciamo, due ore circa. Se per te va bene...”

“Non va bene no! Dobbiamo fare in fretta! L'amministratore è incazzato nero e io non riesco a spiegarmi come sia potuto succedere che Mazzanti va via senza lasciare un referente in absentia”

“Succede sì. Gliel'ha specificatamente indicato RR”

“Cioè?”

“RR ha detto che la DS è sua e che la gestisce lui. Che l'ha voluta lui e nessuno gliela porterà mai via – a Erasmo sembra di rivedere tutto il colloquio con Ranieri del 26 dicembre, ma l'accompagnamento musicale è quello di un canone di Pachelbel. In glorioso e trionfale crescendo. E conclude perfidamente - Quindi, penso che la soluzione migliore sia contattare RR e dirgli di risolvere lui il problema”

“Hai ragione, Erasmo: farò così!”, e riappende.

Erasmo spegne il telefono.

È stanco morto, ha un sonno infinito e barcolla mentre si riavvia verso la camera da letto.

Ma ripensa all'opera lirica, cui l'ha avvicinato un amico melomane entusiasta, e al modo in cui si conclude il secondo atto di Rigoletto, un buffone gobbo che stringe al petto la figlia scopata e abbandonata dal Duca di Mantova.

Anche le formiche, nel loro piccolo...


L'indomani, Gino Cerutti avrà qualcosa da raccontare sul blog