giovedì 10 settembre 2009

L'emancipazione mi aspettava dopo Carosello



Ho esitato un po’ a scrivere queste righe: quando muore un personaggio così ingombrante è difficile dire qualcosa che non sia banale e scontata.


Oggi leggo che Milano si sta preparando a tributare a Mike Bongiorno addirittura i funerali di Stato, cosa che sicuramente Egli avrebbe sicuramente gradito: fra le sue virtù, agli occhi di chi ne ammirava le performances televisive, non figurava certo la modestia. E noi, utenti medi della televisione che – così com’è oggi – è frutto anche delle sue idee, vogliamo forse andare contro questa decisione? Per quanto mi riguarda, no: se è vero che il funerale di Stato spetta, oltre che alle massime Autorità, anche a personaggi di meriti speciali per i quali è prevista un’apposita delibera del Consiglio dei Ministri, credo che Mike Bongiorno abbia maturato crediti a sufficienza per questo onore. Se siamo come siamo, un po’ lo dobbiamo anche a lui.


E qui, credo che sia necessario capirsi.



Lungi da me l’idea di voler ripercorrere agiograficamente le imprese professionali dell’Estinto: a chi fosse interessato, basterà una qualunque ricerca su Google per poter ottenere questo scopo.


Grandissimo professionista, non c’è che dire.


Quello che però mi colpisce è l’idea che ci siano persone che lo ritengono una specie di ingombro, un’antitesi culturale, un paradigma negativo. Nossignori: è stato un geniale interprete del suo tempo. Ha cavalcato l’Italietta del boom economico del Dopoguerra vendendo ai suoi abitanti il sogno di poter vincere un sacco di soldi rispondendo a domande sul proprio argomento del cuore; poi, ha dato loro il modo di spendere quei soldi in oggetti di utilità non sempre adamantina, grazie alla pubblicità e alle telepromozioni che lui ha innalzato a vertici di virtuosismo difficilmente raggiungibili.


Ha inventato la maschera del presentatore rigoroso ed inflessibile mentre apriva le buste con le fatidiche domande ma che poi, al calare della tensione, non disdegnava di incorrere in figure di palta clamorose e probabilmente molto ben costruite.


In momenti in cui ogni VIP appariva geloso della propria privacy, Egli diede in pasto al pubblico la sua, come quando rese pubblica la transitoria separazione dalla moglie che aveva contratto un matrimonio per scherzo a Las Vegas con un amico di famiglia. Analogamente, ebbe il buon senso di chiudere le porte di casa sua allorché tutti gli altri VIP – veri o sedicenti tali – fecero a gara per assicurarsi un minimo di visibilità mediatica mettendo laidamente in mostra il poco che avevano.


Tutti i figli del Grande Fratello, dei talent show, delle Isole dei Famosi, sono anche figli di un modo di fare la televisione che ha in sé l’idea del bambino prodigio, una categoria che a Mike è stata talmente a cuore da idearci sopra anche una trasmissione (la tremenda “Bravo bravissimo”). E il bambino prodigio non è necessariamente uno che sa fare delle cose meglio degli altri, bensì uno che ha la faccia come il culo per poter apparire in televisione, il mezzo che nel corso degli anni meglio si è prestato a questo scopo.


Non credo che Mike Bongiorno sia da ricordare solo l’inventore del quiz televisivo, categoria che probabilmente sarebbe venuta fuori anche con un’altra faccia al posto suo (Enzo Tortora o Raimondo Vianello, tanto per fare due esempi). Penso piuttosto che Egli sia stato sufficientemente sagace da capire in anticipo su chiunque altro in Italia che la televisione avrebbe catalizzato tutto il peggio di un’umanità che non aveva nulla di meglio da fare e da proporre; quella deriva di “casi quasi umani” che avrebbero trovato poi il loro naturale sbocco nelle trasmissioni degli ultimi dieci anni. Ed è così che dal pur bizzarro ed epicureo Gianluigi Marianini, o dal serio Lando Degoli che cadde sulla famosa domanda del controfagotto, Mike Bongiorno è arrivato ad arruolare negli Anni Ottanta il concorrente che rispondeva a domande sul calcio brasiliano vestito come neanche Renato Zero ai bei tempi, o quella Maura Livoli sorpresa con i bigliettini in cabina, sino a Vittorio Sgarbi che non fu concorrente ma antagonista in una memorabile gara di insulti.



Io appartengo alla categoria che andava a letto dopo Carosello; ne consegue che il giovedì sera mi era proibito quel “Rischiatutto” che, ai miei occhi di ragazzetto dei primi Anni Settanta, era il simbolo dell’emancipazione di quel videodipendente che poi – ma allora non lo sapevo ancora – non sarei mai diventato. E la mia prima preoccupazione, quando mi fu concessa la televisione serale, fu di obbligare la famiglia a vedere il quiz del giovedì sera.


Mi andò bene solo perché non c’era ancora Sky…

2 commenti:

  1. Piè, d'accordo su tutto... però... però ricordiamoci che non si sta parlando di un capo di stato, un pontefice o Ibrahimovic (:-))... stiamo parlando di un conduttore televisivo, sic et simpliciter. Ora, che si scomodino i funerali di Stato per un conduttore televisivo solo perchè il suo ex datore di lavoro è diventato presidente del consiglio mi sembra folle. Ma se succede qualcosa al Gabibbo che si fa? Santo subito?
    Con imperitura stima.
    Ste

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  2. Non hai torto, Ste.
    Il mio tono sta - come al solito - fra il serio e il faceto perché sono realmente convinto del fatto che la televisione abbia cambiato i nostri costumi, le nostre abitudini e i nostri gusti.
    Negarlo, mi sembra follia.
    Non sto a disquisire se questa televisione sia un bene o un male; ma di questo modo di fare, Mike Bongiorno è stato uno degli artefici e uno dei massimi interpreti.
    Poi, se mi dici che le esequie in mondovisione sono state un'esagerazione, non posso ovviamente che essere d'accordo; ma poi io cosa cavolo scrivo sul blog?!...

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