mercoledì 6 maggio 2009

Marcelletti


Chiedo scusa al pubblico dei miei lettori se non mi occupo né dei problemi sentimentali del Presidente del consiglio, né delle farneticazioni deliranti del guitto da avanspettacolo che capeggia l'opposizione. Oggi è successo un fatto più importante: è morto Carlo Marcelletti, cardiochirurgo moralmente discutibile e discusso, che ha sempre fatto di tutto per far parlare abbondantemente di sé.
Tecnicamente invece è sempre stato indiscutibile: si è formato nelle Cattedrali della chirurgia mondiale, come la Mayo Clinic e la Stanford University; dal 1982 al 1995 è stato "il" cardiochirurgo del Bambin Gesù di Roma. E' stato il primo ad eseguire un trapianto cardiaco su un bambino in Italia. Sarà stato il fatto di operare il cuore, sarà che i pazienti erano bambini, ma nell'immaginario collettivo Marcelletti era un eroe, l'uomo degli interventi impossibili, sempre magnificati da quella corte televisiva cui era legato a doppia ritorta.
Nel 2000, il colpo di mano mediatico: il tentativo di separare due gemelline siamesi filippine di pochi mesi, Marta e Milagro, unite per il fegato, il torace e svariati visceri, col presupposto di sacrificarne una, la più piccola. L'operazione chirurgica si svolse sotto l'occhio televisivo, con i giornalisti schierati fuori dall'ospedale palermitano come davanti al pozzo di Vermicino. Fu un massacro: morirono tutt'e due le bambine, portando con sé l'astro del cardiochirurgo che, da quel momento, cominciò a declinare. Nel 2008 le accuse di truffa aggravata, peculato, concussione; ci fu persino spazio per una specie di romanzetto pedopornografico assolutamente incredibile per un uomo come lui che ha dedicato la sua vita a salvare quella dei bambini. Oggi è calato il sipario su un'esistenza vissuta sotto l'occhio dei riflettori.

Da medico mi corre fatto di fare qualche piccola considerazione.
Parlando di Marcelletti, è inevitabile fare riferimento a decine di migliaia di bambini visitati e operati, come se fosse un one man show, in momenti come questi in cui la medicina deve riprendere ad essere un lavoro di squadra, abbandonando una volta per tutte quelle baronie che da sempre infestano soprattutto il lavoro chirurgico.
Ciò che il medico dovrebbe fuggire siccome la peste è proprio il fulgore mediatico che, invece, attira molti di quelli che fanno il mio mestiere.
Il fatto di avere la vita fra le mani, a maggior ragione quella dei bambini, dovrebbe indurre ad una maggior prudenza, anche perché la gente è avida di notizie su eroi che salvano la vita. Nessuno si accontenta più dell'idea della cura; ciò che interessa è la guarigione, meglio se spettacolare, possibilmente con intervento di robot, laser e altri strumenti provenienti direttamente dai manga di cui ci nutrivamo da ragazzini.
Ricordo ancora la rabbia che mi pervase nel 2000 quando questo chirurgo di eccezionale bravura tecnica pensò di ripercorrere il mito del Dr. Frankenstein: l'idea di poter scomporre dei corpi corrotti e martoriati per poter creare la vita ed ergersi così ad arbitro di un destino che appariva tracciato in modo diverso. La mamma disperata, i giornalisti, la gente in fervida attesa collegata in diretta televisiva pressoché continua dalla sala operatoria di un uomo di eccezionale capacità che aveva orchestrato uno show mediatico da far impallidire David Letterman o Oprah Winfrey. E la Natura impose le sue Leggi ferree distruggendo l'ambizione sfrenata di un uomo indomabile, su cui è sceso l'oblio sino all'anno scorso, quando la macchina della Giustizia si è messa in moto.

Marcelletti non è mai stato un uomo di squadra: era piuttosto un fantasista egocentrico, perennemente sotto l'occhio della telecamera.
Per qualcuno è un modo romantico di intendere la Medicina, ma io - chirurgo profondamente attaccato all'idea di squadra - non credo proprio.
E' finita l'epoca di uomini così, nel nostro mestiere.
Per fortuna.

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