lunedì 3 gennaio 2011

Per amore, solo per amore

Ieri non volevo credere ai miei occhi. 
Ho preso il primo "Corriere" dell'anno e mi sono imbattuto in un editoriale di tale Paolo Franchi che mi ha fatto fare un tuffo nella mia gioventù, quella in cui i giornalisti (?) del TG Rai - all'epoca, l'unico disponibile - si riferivano ai terroristi comunisti come a "le sedicenti Brigate Rosse", perché non era fine dire che qualcuno ammazzava il proprio prossimo in nome del comunismo. 
Ieri l'ex editorialista di Rinascita e Paese Sera, ancora in evidente fase di militanza attiva, commentando la vicenda del criminale comunista Cesare Battisti, ha segnalato che "il terrorismo cosiddetto di sinistra" è stato un evento assolutamente minore nella storia recente d'Italia, tant'è vero che è bastata una sventagliata di mitra di Carlo Alberto Dalla Chiesa per sconfiggerlo definitivamente. L'editorialista inoltre adombrava l'idea che il vero terrorismo fosse quello di stato - ecco un'idea originale! - colluso con la mafia che, infatti, ha fatto fuori prima lo stesso Dalla Chiesa e poi, nell'epoca del massimo furore stragista, tutti coloro che si opponevano all'efferata violenza del conformismo imposto dallo Stato e dalla mafia, non necessariamente in quest'ordine. Mancava in quest'eletto elenco Berlusconi, ma presumo che sia stata una svista veniale del compagno Franchi.

Non conoscevo questo tristo figuro cui, a prescindere, devo essere grato per avermi fatto fare un balzo all'indietro in una gioventù che mi sembra sempre più lontana ogni giorno che passa. Ma, gratitudine a parte, devo dire di essere orripilato da un simile travisamento della realtà: nemmeno Mario Capanna in uno dei suoi deliri barocchi in latino, credo, sarebbe stato capace di tanto.
Il terrorismo cosiddetto di sinistra? Un evento minore?
Credo che il compagno Franchi farebbe bene a leggersi "La generazione degli anni perduti - storie di Potere Operaio" di Aldo Grandi (Einaudi 2003): un libro di lettura non sempre agevole scritto da uno di loro, che rende perfettamente l'idea del clima dell'Italia dei primi Anni Settanta e soprattutto del modo in cui si è passati dai poco democratici movimenti della sinistra extraparlamentare alla lotta armata, sempre rigorosamente comunista: Valerio Morucci, Germano Maccari e Adriana Faranda nascono di lì e da lì partono per confluire con Moretti, i coniugi Curcio, Gallinari, Franceschini e tutti gli altri - Dio li strafulmini - nelle brigate rosse. E scusate il minuscolo.
Evento minore? Non direi proprio, tant'è vero che dovettero rivolgersi a un vecchio militare per risolverlo, e questo dopo che un vecchio fascista come Giorgio Pisanò aveva proposto un referendum per  rispolverare il codice militare di guerra che all'epoca predisponeva ancora la pena di morte per situazioni di attacco allo Stato. Lo scopo di brigate rosse e satelliti affini fu, se non ricordo male, quello di portare l'attacco al cuore dello Stato per instaurare la dittatura del proletariato; non proprio una scampagnata, per come ricordo io quegli anni. Siamo in piena area di comunismo militante, lo ribadisco per chi - non avendo vissuto quegli anni - avesse le idee poco chiare.
Erano gli anni in cui, oltre a un partito comunista che raggranellava percentuali bulgare, c'era in parlamento una pletora di partitelli di area comunista come, per esempio, il Partito Socialista di Unità Proletaria che poteva vantare come segretario Lucio Magri, uno che all'epoca veniva considerato l'uomo più elegante di Montecitorio.
Erano gli anni in cui non era prudente girare per un Liceo con il "Giornale" di Montanelli sotto l'ascella.
E, se devo dire, le idee di quei ragazzi - compagni che sbagliano, li chiamavano, anche nelle assemblee del mio Liceo - non nascevano dai Quaderni del dissenso di Giorgio Almirante, bensì da tutti i testi sacri del comunismo, dalle tecniche di guerriglia dei Tupamaros cui si era abbeverato Giangiacomo Feltrinelli, e da ambiti culturali di pari levatura. Testate come Paese sera e Lotta continua erano affini al Partito Comunista Italiano: nulla a che vedere con i repubblichini di cui ancora oggi farnetica Franchi.
Devo dirlo?
Per una volta rifuggo gli eufemismi e dico senza troppi giri di parole che i rivoluzionari con il cachemire - come Bertinotti, o come Franchi - mi hanno rotto il cazzo. Dobbiamo a loro, e alle troie italo-francesi radical chic che aprono le gambe a sinistra per la passione, e a destra perché bisogna pur vivere, se quell'emerita testa di cazzo a nome Cesare Battisti si è trovato una spiaggia brasiliana in cui svernare.
Facciano quello che vogliono, questi maestrini dalla penna rossa: l'hanno sempre fatto, forti di una platea talmente obnubilata da scambiare le loro scoregge per volute d'incenso; ma non pretendano di cambiare la Storia, perché non ne sono mai stati i depositari.
Nonostante tutte le loro canzoni

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