sabato 8 maggio 2010

Stati di necessità


Questo è il centesimo post di questo blog, ed è un traguardo importante per me.
Lo voglio dedicare al Pronto Soccorso del nostro Istituto, quello in cui si svolge una quota non banale della nostra attività. E' un posto difficile, altamente formativo, ricco di umanità e di senso della condivisione.
E' un posto che amo immensamente, perché anch'io - nel mio piccolo - ho contribuito a farne quello che è adesso: una piccola e ben collaudata macchina da guerra, pur se non sempre gioiosa.

Sono su a lavorare al pc della mia scrivania, ascoltando "Allegro" di Rodgers e Hammerstein - sono amante dei musicals americani - quando il cicalino inizia a trillare. Non è il mio personale: è quello del capoturno di chirurgia d'urgenza, che mi tocca sempre il giovedì e, qualche volta, di notte o festivo. Guardo il numero della chiamata: è l'8300, il triage. Rogne in vista, lo so. Sospiro e compongo il numero; è Grazia che mi dice le famose 3 parole che temo sempre tanto: "E' il 118".
Ora, da noi le cose funzionano in modo un po' diverso rispetto all'America immortalata da "ER" e altri prodotti analoghi. Da noi il 118 chiama prima, si informa sulle tue risorse, ti spiega la situazione e ti invia il paziente. Le mie risorse sono disponibili, per cui chiamo a mia volta la Centrale e inizio a farmi spiegare di cosa si tratta; mi risponde l'operatore:
"Motociclista contro macchina...".
Alè, penso: è tornata la primavera e i motociclisti escono dalle loro tane.
"Sbalzato di 6 metri, piombato sul fianco sinistro..."
Quindi fratture costali, magari anche pneumotorace. Rischio milza.
"Emodinamicamente instabile. Frequenza 130, pressione 90/60, non risponde al bolo..."
Questo vuol dire che quasi sicuramente ha un'emorragia, che gli hanno già dato due litri di liquidi e non è migliorato. A meno che non abbia un pneumotorace iperteso.
"Ha un pneumotorace. Gli hanno messo un ago".
Ecco. Appunto. D'altra parte se gli hanno messo un ago, non sarà iperteso spero!...
"Ha l'addome a tavola"
Di bene in meglio!
"Il casco si è spaccato. E' incosciente, Glasgow 7, lo stanno intubando"
Fantastico! Mi aspettano ore di lavoro!
Ci mettiamo d'accorso per le modalità d'arrivo e saluto.

Scendo in PS. Come sempre in questi casi, forse anche per un rito scaramantico, passo dalla radiologia per entrare in sala rossa, dove ci sono già Giorgio e Meg, che stanno preparando l'ambiente per tutte le necessità che si manifesteranno. Il protocollo vorrebbe che facessimo il check-in prima dell'arrivo del trauma, in pratica non serve, mi basta un'occhiata rapida per abbracciare tutto quello che mi occorre e sapere che c'è già: portiamo avanti una tradizione di diversi anni che ci deriva dagli insegnamenti di Mauro Zago, non abbiamo bisogno di tante chiacchiere. Il mio sguardo sfiora appena la cassetta metallica del set da toracotomia; spero sempre di non averne mai bisogno, ma non si sa mai. Una rapida occhiata d'intesa con Giorgio: con lui è diverso, non c'è solo stima reciproca, c'è anche amicizia e confidenza. Come al solito non ho su il camice; allungo la mano nell'armadietto di metallo sopra il lavandino e mi prendo un grembiule di plastica azzurro, di quelli che fanno tanto macellaio o pescivendolo, e che induce il buon vecchio Rino a guardarmi ridendo e chiedermi di affettargli un due etti di cotto.
Rido a mia volta e vado oltre. Entro in area OBI e trovo Stefano che mi considera con ironia e divertimento, sfoderando un sorriso luciferino che tanto mi ricorda il mio vecchio amico Roberto Brambilla (me lo ricorda anche per le generose dimensioni fisiche) e mi dice: "Ah, benvenuto il signorino! Qual buon vento ti porta in questo posto di lavoro invece di star su nei tuoi appartamenti a grattarti le palle?"
"Vento di trauma - lo informo - E' primavera e inizia la stagione di moto e bici"
"Com'è?".
Alzo le spalle:
"Pare brutto. Magari hanno esagerato, vediamo".
Mi faccio portare in sala rossa l'ecografo per la FAST, l'ecografia che mi permetterà di capire subito se dovrò correre in sala operatoria, e mi siedo sulla scaletta metallica, la mia posizione preferita aspettando un trauma. E' il momento dell'attesa, quello della paura dell'evento: non mi abbandona ancora, nonostante ormai siano anni che gestisco questi eventi drammatici, nonostante sia circondato da una squadra di persone meravigliose e pronte a tutto, nonostante l'esperienza ormai abbia creato una specie di algoritmo che entra automaticamente in azione nella mia testa in questi eventi. E' la filosofia ATLS (Advanced Trauma Life Support), quella che ho imparato grazie a Mauro che me l'ha insegnata, quella che ha formato migliaia di medici che, come me, lavorano anche su questi pazienti. Semplifica tantissimo la vita e, in queste situazioni, il controllo della vita che sfugge passa anche e soprattutto attraverso la semplificazione.
E' il momento dell'attesa, che esorcizziamo con battute di spirito, ma c'è il rumore di fondo che disturba, ed è la voce della tua coscienza che ti dice sempre: "Non sei pronto, non ce la puoi fare", e invece sai che sì, ce la farai, perché questo non è un numero solistico, è un lavoro di squadra, e tante persone ti vogliono bene e faranno di tutto per lavorare bene insieme a te, e tu farai lo stesso con loro, perché vuoi bene a loro e avrete fra le mani il paziente più grave che si possa immaginare. Giorgio mi guarda, strizza l'occhio e prova a scherzare ostentando tranquillità, ma è teso come una fionda anche lui; so come vive questi momenti, sembra una mangusta che gira intorno a un cobra. Meg invece lavora serenamente come sempre, con un sorriso quasi timido: è una persona estremamente rassicurante, mi piace molto.
Aspetto che scendano gli anestesisti: sappiamo che il paziente è intubato, quindi la gestione delle vie aeree prevede già di default la loro presenza. Mi domando chi scenderà, non ho parlato io direttamente con loro. Mi andrà bene chiunque, sono tutti bravissimi, ma so che con qualcuno di essi c'è - come con Giorgio - un rapporto che va oltre la stima reciproca: è quella magica combinazione di ammirazione per le doti professionali, di rapida intesa anche solo con uno sguardo, di comprensione e di affetto che trasforma un rapporto di lavoro in qualcosa che va molto oltre.
Il bing-bong dell'altoparlante precede la voce di Grazia che annuncia l'ingresso del paziente traumatizzato accompagnato dal personale del 118 in sala rossa: mi alzo dalla scaletta, indosso i guanti, mi picchio lievemente il pugno destro nel palmo della mano destra. Entrano in sala rossa gli anestesisti.
Si apre lo scorrevole ed entra il protagonista del dramma.
Si parte.

2 commenti:

  1. Che ricordi! Un abbraccio a tutti!

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  2. Anche tu sei sempre nei nostri cuori! Un abbraccio anche a te e Patrizia!

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