sabato 29 maggio 2010

La sit-com è finita

Il termine sit-com probabilmente esisteva già sin dagli Anni Cinquanta, quando ci furono i primi telefilm della serie "Lucy", con Lucille Ball. Li abbiamo visti e ci abbiamo sorriso con parsimonia, perché è indubbio che la vulcanica protagonista appartenesse ad un'altra generazione lontana dalla nostra.
No, direi che il termine sit-com per noi attuali quarantenni o giù di lì sia collegato alla serie di "Arnold", quella che nel 1978 fece timidamente capolino sui nostri schermi col titolo "Harlem contro Manhattan".
Il plot narrativo era semplice e, nello stesso tempo, ricco di potenzialità: un ricco signore che vive in un palazzo di Manhattan con la figlia e una governante, riceve in "eredità" dalla sua ex cameriera morta prematuramente due bambini: Willis e Arnold. Il problema è che i due sono neri e vengono da Harlem: ne nascono siparietti un po' moralistici allorquando la scena viene occupata dal rompiballe Willis (interpretato da Todd Bridges), prototipo dei boveri negri sempre polemici con i bianchi ma ben poco propositivi ed anzi pigri ed indolenti; ed equivoci di grana grossa per tutto il resto del tempo, quando cioè in scena c'è Arnold, che diventa prestissimo il vero protagonista della serie.
Arnold, tartufesco, bugiardo, astuto come una faina ed ingenuo come un pollo, fondamentalmente buono e aperto a tutte le gioie della vita, saggio e in grado di tirar fuori il meglio da ogni situazione, comprensivo con tutti, pasticcione, incapace di malizia, fu "il" personaggio della nostra gioventù, quello che - con un pizzico di buonismo - incarnava tutti i facili ottimismi degli Anni Ottanta. E li incarnava al meglio perché si spogliava di ogni edonismo che lasciava volentieri agli altri - il fratello maggiore Willis, bello e montato; la sorella adottiva Kimberly (interpretata dalla sfortunata Dana Plato, morta precocemente dopo una caduta libera nei b-movies pornografici e nella droga) - e proponeva agli spettatori di ogni età solo il buonumore, l'ottimismo e l'allegria.
E' probabile che questa fosse una visione eccessivamente semplicistica, ma ci siamo divertiti tanto con queste sciocche storielle che ci hanno accompagnato per un decennio e che ci hanno aperto un mondo - quello delle sit-com, appunto - fatto di riprese fisse, quasi teatrali, in ambienti chiusi, happy end e risate finte. Da allora ne conoscemmo tantissime altre, molte delle quali nate quasi per partenogenesi come spin-off da altre serie, ma Arnold per noi ne fu l'archetipo prototipo.
Ieri Arnold ci ha lasciati, a soli 42 anni, dopo una vita non facile a causa di una malattia che gli aveva regalato quella bassa statura e quelle fattezze da eterno bambino che furono per un po' - troppo poco - la sua fortuna, e poi la sua condanna. In fondo la notizia non ci ha sorpresi più di tanto: un po' ce l'aspettavamo; e tuttavia non possiamo non avvertire un fremito di dolore nel vedere che un altro frammento della nostra giovinezza se n'è andato. Il piccolo Arnold, con le sue smorfie, le sue faccette, le sue ingenuità e le sue scaltrezze ha incarnato il meglio di un periodo che oggi ricordiamo per lo più vuoto di contenuti, ma che ci ha portato un nuovo genere - quello delle sit-com, appunto - che oggi, di fronte al vuoto pneumatico dei reality più falsi delle finzioni di quei telefilm ingenui e semplicistici, siamo costretti a rimpiangere amaramente

1 commento:

  1. Carissimo Bagnolissimo,
    mi hai fatto ricordare i tempi in cui mio figlio ,m insieme ai suoi amiuchetti,non si perdeva eanche una puntata delle avventure di Arnold.Hai ragione la prima sit-com.Io invece , anche oggi come allora, rifuggo da quelle trasmissioni che utilizzano massicciamente i bambini: mi sembrano tutti destinati a fare molto duramente i conti con una realtà diversa dal mondo dello spettacolo.
    Anche Arnold ha avuto una vita difficilissima , conclusa con una morte prematura.
    Milady

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