martedì 28 dicembre 2010

Senza filtro


Dal primo gennaio 2011, con la chiusura dello stabilimento di Lecce, verrà dismessa l’ultima manifattura italiana del tabacco. E' una data importante, perché finisce un pezzo di storia della nostra Italietta, quella che non poteva permettersi Marlboro, Camel e Turmac.
Ma era una storia già archiviata, nonostante tutto.

Il Monopolio di Stato dei Tabacchi, come tale, come lo conoscevamo una volta, non esiste più da un po'. Nel 2000 l'Ente Tabacchi Italiano è diventato una società per azioni e nel 2003 è stato assorbito dalla British American Tobacco. Questa rivoluzione ha tolto alcune marche ormai passate di moda quando non francamente oltre i limiti di una generica pericolosità (Super, Alfa, forse anche le Stop che non vedo più da un sacco di tempo, ma qui non saprei proprio dire), ma soprattutto ha spostato l'asse di un modo tipicamente italiano di fumare, uniformandolo a un'idea di fumo molto americana. 
Molto Marlboro.
Varrebbe la pena di smettere di fumare già solo per quello.


Quando iniziai a fumare, ormai molti anni fa, consideravo la sigaretta una faccenda molto privata; non ricordo una sola volta in cui abbia ostentato una bionda (anzi, nel mio caso preferibilmente una bruna) come motivo di emancipazione, come avveniva per alcuni miei amici. Affascinato dalla gestualità del fumatore, non prendevo nemmeno lontanamente in considerazione Marlboro, Camel, Lucky Strike e Merit, nelle varie formulazioni light e extralight che già si stavano affermando come a mitigare l'idea stessa del fumo. Nossignori: mi facevo gli affaracci miei con le mie sigarette da quattro soldi, e quello era il mio orizzonte di libertà e la mia emancipazione. Nascondevo il pacchetto in un vecchio contenitore di alluminio nello stanzino, perché non le trovasse mia mamma sempre molto polemica nei confronti del fumo (mio papà su questo fronte è sempre stato più tollerante, per ovvi motivi: fuma da quando aveva dieci anni), lo tiravo fuori al momento opportuno e mi godevo il piacere solitario che non è quello che ognuno potrebbe associare a queste due parole...
Le mie prime sigarette furono quindi le Esportazione senza filtro nel pacchetto verde, quelle che fumava il mio nonno Peppino; e solo perché le Nazionali "N blu", quelle da 240 lire al pacchetto, erano pressoché introvabili. L'idea di un prodotto nazionale di qualità non ricercata e che costasse poco; il contatto delle labbra con i pezzetti di tabacco, anche se di bassa qualità; l'odore aspro e forte del fumo che mi inebriava dandomi un'idea di libertà; tutto concorreva a farmi godere il fumo in calma e pensosa solitudine, negli intervalli che mi concedevo fra un capitolo e l'altro dello studio. Dovevano passare anni prima che mi concedessi alle sdegnose americane, e cioè le Camel - che io chiamavo "le cammellacce" - affrontate anch'esse rigorosamente senza filtro e sempre assolutamente per gli affari miei. Le poche esperienze che m'ero concesso di sigarette con filtro mi toglievano sempre qualcosa del piacere che mi concedevo; ché tale era, decisamente, e senza mai diventare un vizio, tanto che quando decisi tre anni fa di distaccarmene fu una scelta priva di trauma. 
Certo, ci furono anche esperienze che sfondavano il confine del dandysmo: le Gauloises senza filtro, per esempio, con le volute di fumo di tabacco scuro e inebriante che scalciava nello stomaco; non ho mai fumato una canna, ma me l'immagino così. O le sigarette fatte con Drum e Old Holborn, arrotolate nelle cartine Rizla (imparai la tecnica a Trento, durante il mio periodo militare, dal mio autista di ambulanze che ci rollava ben altro, nelle cartine). E poi il lento declino, sino alle MS con cui ho chiuso la mia carriera di fumatore; e forse avrei dovuto smettere molto prima, proprio quando ero arrivato alle MS. Forse dovrei parlare anche della pipa, ma non è questa la sede: ci vorrà forse un articolo a parte.

No, non fraintendetemi: non rimpiango quelle vecchie sigarette dannose. 
Prodotti di una piccola Italia in costruzione, quella del Dopoguerra di cui non ho mai fatto parte se non nei racconti di papà, amavo delle Nazionali più che il sapore, l'idea che fossero l'espressione di una popolarità da provincia italiana, quella che aborro quando parlo di opera lirica nel mio sito, ma che è la stessa in cui vivo; quella vissuta e raccontata da Guareschi. Don Camillo in realtà viaggiava a mezzi Toscani - quelli che adesso la British American Tobacco aromatizza vigliaccamente con grappa, caffè e anice - ma teneva in un cassetto della sua canonica un pacchetto di Nazionali perché "...c'è sempre qualche idiota che fuma quella robaccia"

3 commenti:

  1. le nazionali ed esportazione ci sono ancora le fumo io a soli 16 anni.ma c'era il periodo in cui fumavo alfa che ora fanno solo con il filtro. mentra nazionali ed esportazione senza. e secondo me le sigarette italiane sono le migliori.
    secondo me bisogna rilanciarle nel mercato ed anche esportarle.
    Giovanni

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  2. Le Nazionali Esportazione senza filtro restano ancora un onesto prodotto. Che resta in commercio a quanto posso capire perchè gli amatori non mancano. Fumare fa male, ma chi vuole provare ancora a fumare "bene" dovrebbe quantomeno assaggiarle. Scoprirebbe un prodotto genuino, senza false aromatizzazioni alla moda, e appagante.

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  3. La carne fa male ? Certo che fa male se la comperate al supermercato o da macellai che la prendono dall'estero pompata di cortisone antibiotici ,ma anche quella italiana non allevata allo stato brado e senza medicinali fa malissimo,andate a dire a mio nonno centenario che fuma da 90 anni tabacco puro che si fa portare a casa da qualche suo conoscente segreto da sempre io lo ho assaggiato e' amaro e forte ,ditelo a mio nonno centenario che mangia solo polli suoi e carne rossa di allevamenti bradi in toscana .

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