lunedì 7 dicembre 2009

Libre elle est née et libre elle mourra!



Per una volta faccio eccezione al mio proposito di non occuparmi di musica, ma vi sono costretto dalla prima della Scala che avanza a grandi passi e che inizierà fra qualche ora. Fra le mille perplessità (fra di esse, la regia affidata ad una deb come Emma Dante che - parole sue - non aveva nemmeno mai visto uno spettacolo d'opera a teatro; il title-role affidato ad una ragazza appena diplomata), una certezza: Carmen non è un personaggio come tanti, è un archetipo e, nello stesso tempo, un coacervo talmente polisemico da sfuggire ad ogni definizione.
Proviamo a mettere su carta qualche elemento che ci possa aiutare a comprendere le sue ragioni, quelle che ai tempi affascinarono Friederich Nietzsche a tal punto da convincerlo a ripudiare Wagner.

Zingara. Zingara, quindi apolide e priva di una precisa identità. Si chiama Carmen ma - come diceva De Andrè nella bellissima "Khorakhanè" - "porto i nomi di tutti i battesimi". Zingara, quindi è tutto quello che la gente pensa: è ladra, bugiarda, strega perché legge il futuro nelle carte e nelle pieghe della mani e regala le pietre che ti faranno amare da tutte le donne; probabilmente anche un po' puttana, non nel senso che si fa pagare (mai!), ma nel senso di quella che molla un uomo per passare ad un altro senza rimpianto veruno. Ma questo lo dicono soprattutto le donne invidiose che la odiano come odiavano Bocca di Rosa, un altro personaggio del Poeta genovese, quella che "lo faceva" solo "per passione": la odiano con "l'ira funesta delle cagnette cui aveva sottratto l'osso". E la odiano perché, in fondo, è la donna che esse vorrebbero a loro volta essere.
Donna. E' la donna che ogni uomo vorrebbe incontrare almeno una volta nella vita. Ti travolge con la sua sincerità, con la sua disarmante franchezza, con la sua ferocia. E - si badi - è una ferocia sempre indirizzata a fini costruttivi, quella di chi riesce a vedere nel fondo dell'animo di un uomo e intende dargli quella possibilità che non ha ancora avuto. A José, soldato rinnegato, che per amore suo tradisce la patria, la mamma, la fidanzata e l'Arma, dice: "Sei come il nano che crede di essere diventato un gigante solo perché ha imparato a sputare lontano". Ti ama per solo tre mesi, ma in quei tre mesi ti senti il Re dell'Universo perché sei il suo Tutto: lei per te rinuncia a qualunque cosa, lei balla e canta per te e per te solo, quindi non puoi decidere improvvisamente di fare il bravo ragazzo e rientrare in caserma solo perché senti la ronda che passa. Lei ti devasta passando sopra di te come un rullo compressore: alla fine non ricorderai nemmeno più come ti chiamavi prima, nella vita precedente. Sì, perché nella vita dell'uomo che è stato devastato da questo uragano esiste un "prima di Carmen" e un "dopo Carmen", e il dopo ci racconta una vita che non è più nemmeno degna di essere vissuta.
Libera. Oggi facciamo un gran parlare di libertà, ma Carmen la libertà l'ha provata sulla sua pelle sin da quando era bambina, a forza di essere vento (e qui torniamo ancora a Faber), perché è nella sua stessa natura e nella natura della sua gente. Ma in lei questa libertà diventa archetipica: per essa sacrifica la sua vita anche di fronte alla constatazione che, probabilmente, come indovinato da diversi registi non superficiali, lei aspetta José in quel momento finale con la consapevolezza non tanto o non solo che la ucciderà, ma che lui, e solo lui, è l'unico vero e grande tragico amore della sua vita. Lei mente, ancora una volta, quando gli getta in faccia l'idea di amare un altro - il torero Escamillo che, in quel momento, ignaro del dramma che si svolge fuori dalla Plaza de toros, sta matando il toro: lei conosce benissimo l'uomo che le è davanti per il semplice fatto che José è l'altra parte di sé. Ma non l'accetta: libera è nata e libera morrà.
Concludo queste note riportando il testo di Khorakhanè e un bel video: è un omaggio al grande Poeta genovese che, con la sua canzone, ci ha aiutati a penetrare nel mondo di Carmen
Khorakhanè - di Fabrizio De Andrè
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento
porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane
per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio che è il viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso
qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura
nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finché un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace
i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via
e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere
ora alzatevi spose bambine c
he è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare
e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio
Cvava sero
po tute i kerava
jek sano ot mori i taha
jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
vasu ti baro nebo
avi ker kon ovla so
mutavia kon ovla
perché l'aria azzurra diventi casa
chi sarà a raccontare chi sarà
ovla kon ascovi me
gava palan ladi me gava palan bura ot croiuti
sarà chi rimane io seguirò questo migrare
seguirò questa corrente di ali

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