Uno degli svantaggi di essere medico e' che, chiunque lo sa, si sente autorizzato a chiederti un parere su un qualsiasi argomento sanitario, preferibilmente non di tua competenza, sempre comunque quando sei in vacanza, sentendosi peraltro offeso se tu non dai una risposta all'altezza delle sue aspettative.
E' stato cosi' che oggi chi, sulla spiaggia di Celle Ligure, mi ha rivolto la fatidica domanda: "Ma voi (inteso come: medici dell'ospedale dove lavori) siete in allarme per l'influenza suina?", si e' sentito rispondere con un'assai poco scientifica risatazza. Offendendosi, ovviamente.
Sara' perche' la mia specializzazione mi porta naturalmente ad evitare tutte le tematiche relative a questioni epidemiologiche di cui non m'importa una pera, o sara' perché' il trascorrere degli anni mi fa vedere queste vicende con un po' di disincantata ironia, fatto sta che non me la bevo. Ma io sono un caso un po' particolare. Non me la bevevo nemmeno, per dire, ai tempi della mucca pazza (gli infermieri spagnoli del mio ospedale la chiamavano "vaca loca", che mi piaceva tanto di più), al punto che, in pieno allarme strombazzato da tutti i TG, andai in una macelleria specializzata in carne chianina a prendermi un'enorme fiorentina che divorai con tutta la mia famiglia con - se possibile - un plusvalore di gusto indotto dall'ambiguo fascino del proibito.
Non mi sentii in colpa nemmeno un po': come il manzoniano Don Ferrante irrido alquanto il batterio e tutte le fobie ad esso correlate, anche se non dovrei visto il lavoro che faccio. Ma forse sotto sotto, più che l'agente patogeno, irrido il comportamento che, di fronte ad esso, assume l'uomo, sempre portato a vedere nell'infezione il flagello contro alle proprie nequizie. Infatti, se rivado indietro ad esplorare la morbosa storia dei microorganismi, non posso fare a meno di vedervi collegata una storia morale dell'umanita', come se accanto al batterio, al vibrione o al virus ci fosse anche - in guisa di moralizzatore - una sorta di piccolo Testimone di Geova che ci ricorda continuamente che stiamo tutti per morire, perché su di noi si abbattera' un castigo veterotestamentario che ci punisce per la nostra iniquità.
Fu cosi' con tutte le varie epidemie di peste documentate dalla Letteratura.
Fu cosi' nell'Ottocento con la TBC: il mal sottile, trasmesso dal bacillo di Koch, colpiva gli strati meno abbienti della popolazione e alcuni elementi dei più alti che vivevano in modo dissoluto; e non e' un caso se Alphonsine Duplessis di Dumas (la Violetta Valery della Traviata di Verdi) proprio di tisi muoia segnando, con la propria infezione, la malattia di un'epoca.
Fu cosi', ai primi del Novecento, con la Spagnola: ogni famiglia italiana ha fra i suoi antenati qualche vittima di questa terribile epidemia influenzale, preferibilmente donna, di solito giovane e bella.
Fu cosi' per la difterite e la polio, che mietevano vittime fra i bambini innocenti; e per il vaiolo, oggi eradicato ma ogni tanto riesumato dalle fiale in cui sonnecchia in qualche laboratorio militare, come se ci fosse qualche scienziato pazzo pronto a scatenare chissa' quale epidemia. Ma le vaccinazioni hanno cambiato la storia dell'umanita', e mi fa orrore sentire di qualche genitore che rinuncia a vaccinare i propri figli perche' "non ci crede": e di quale dimostrazione ha bisogno, di grazia, oltre all'eradicazione di una malattia?
Fu cosi' per il terribile Ebola, subito ribattezzato - e te pareva - "flagello del XX secolo".
Fu cosi', ovviamente, per l'HIV, di cui - a partire da Rock Hudson e Rudolf Nureyev - si iniziarono morbosamente a contare le vittime celebri, sempre associate a consumo di droga, omosessualita' o entrambe.
E fu così, infine, per quei maledetti programmini che si infilano nei nostri pc corrompendoli, scardinandoli e obbligandoci a cambiarli: non a caso, qualche buontempone li ha chiamati virus.
Ecco. Accanto ad ogni agente infettivo, c'è sempre stato qualche sapientone che ha dato al batterio di turno (i virus si conoscono da relativamente poco) una dignità letteraria, in modo tale che - oltre a preoccuparsene - l'uomo li vedesse come dei moralizzatori.
Oggi questo ruolo e' coperto dai giornalisti che - si direbbe - non vedono l'ora di partecipare al mondo un "penitentiagite", perché e' arrivato il Grande Flagello, il Messaggero della Vecchia Mietitrice, quello che riporterà i pochi sopravvissuti ad una specie di civiltà primordiale in cui non avremo più ne' telefonini ne' computer, mangeremo tutti dei pochi prodotti della terra e rifonderemo un'Umanità più giusta e più equa perché incorrotta.
Adesso è il turno dell'influenza suina - nota anche come A/H1N1 (dal nome del ceppo virale) - che si propaga rapidamente grazie alla globalizzazione che favorisce il contagio, ma la cui aggressività è inferiore a quella di tante altre epidemie e pandemie anche recenti.
Ci salveremo, ne sono sicuro; ma chi ci salverà da monatti e untori vari che aspettano impazienti il nuovo virus e preconizzano la distruzione dell'umanità?
E su questo angosciante quesito, vi saluto e vi auguro una buona serata.
Questo articolo è stato composto quasi integralmente sulla spiaggia di Celle Ligure con un BlackBerry 8900 Curve: un bell'aggeggino, decisamente
E' stato cosi' che oggi chi, sulla spiaggia di Celle Ligure, mi ha rivolto la fatidica domanda: "Ma voi (inteso come: medici dell'ospedale dove lavori) siete in allarme per l'influenza suina?", si e' sentito rispondere con un'assai poco scientifica risatazza. Offendendosi, ovviamente.
Sara' perche' la mia specializzazione mi porta naturalmente ad evitare tutte le tematiche relative a questioni epidemiologiche di cui non m'importa una pera, o sara' perché' il trascorrere degli anni mi fa vedere queste vicende con un po' di disincantata ironia, fatto sta che non me la bevo. Ma io sono un caso un po' particolare. Non me la bevevo nemmeno, per dire, ai tempi della mucca pazza (gli infermieri spagnoli del mio ospedale la chiamavano "vaca loca", che mi piaceva tanto di più), al punto che, in pieno allarme strombazzato da tutti i TG, andai in una macelleria specializzata in carne chianina a prendermi un'enorme fiorentina che divorai con tutta la mia famiglia con - se possibile - un plusvalore di gusto indotto dall'ambiguo fascino del proibito.
Non mi sentii in colpa nemmeno un po': come il manzoniano Don Ferrante irrido alquanto il batterio e tutte le fobie ad esso correlate, anche se non dovrei visto il lavoro che faccio. Ma forse sotto sotto, più che l'agente patogeno, irrido il comportamento che, di fronte ad esso, assume l'uomo, sempre portato a vedere nell'infezione il flagello contro alle proprie nequizie. Infatti, se rivado indietro ad esplorare la morbosa storia dei microorganismi, non posso fare a meno di vedervi collegata una storia morale dell'umanita', come se accanto al batterio, al vibrione o al virus ci fosse anche - in guisa di moralizzatore - una sorta di piccolo Testimone di Geova che ci ricorda continuamente che stiamo tutti per morire, perché su di noi si abbattera' un castigo veterotestamentario che ci punisce per la nostra iniquità.
Fu cosi' con tutte le varie epidemie di peste documentate dalla Letteratura.
Fu cosi' nell'Ottocento con la TBC: il mal sottile, trasmesso dal bacillo di Koch, colpiva gli strati meno abbienti della popolazione e alcuni elementi dei più alti che vivevano in modo dissoluto; e non e' un caso se Alphonsine Duplessis di Dumas (la Violetta Valery della Traviata di Verdi) proprio di tisi muoia segnando, con la propria infezione, la malattia di un'epoca.
Fu cosi', ai primi del Novecento, con la Spagnola: ogni famiglia italiana ha fra i suoi antenati qualche vittima di questa terribile epidemia influenzale, preferibilmente donna, di solito giovane e bella.
Fu cosi' per la difterite e la polio, che mietevano vittime fra i bambini innocenti; e per il vaiolo, oggi eradicato ma ogni tanto riesumato dalle fiale in cui sonnecchia in qualche laboratorio militare, come se ci fosse qualche scienziato pazzo pronto a scatenare chissa' quale epidemia. Ma le vaccinazioni hanno cambiato la storia dell'umanita', e mi fa orrore sentire di qualche genitore che rinuncia a vaccinare i propri figli perche' "non ci crede": e di quale dimostrazione ha bisogno, di grazia, oltre all'eradicazione di una malattia?
Fu cosi' per il terribile Ebola, subito ribattezzato - e te pareva - "flagello del XX secolo".
Fu cosi', ovviamente, per l'HIV, di cui - a partire da Rock Hudson e Rudolf Nureyev - si iniziarono morbosamente a contare le vittime celebri, sempre associate a consumo di droga, omosessualita' o entrambe.
E fu così, infine, per quei maledetti programmini che si infilano nei nostri pc corrompendoli, scardinandoli e obbligandoci a cambiarli: non a caso, qualche buontempone li ha chiamati virus.
Ecco. Accanto ad ogni agente infettivo, c'è sempre stato qualche sapientone che ha dato al batterio di turno (i virus si conoscono da relativamente poco) una dignità letteraria, in modo tale che - oltre a preoccuparsene - l'uomo li vedesse come dei moralizzatori.
Oggi questo ruolo e' coperto dai giornalisti che - si direbbe - non vedono l'ora di partecipare al mondo un "penitentiagite", perché e' arrivato il Grande Flagello, il Messaggero della Vecchia Mietitrice, quello che riporterà i pochi sopravvissuti ad una specie di civiltà primordiale in cui non avremo più ne' telefonini ne' computer, mangeremo tutti dei pochi prodotti della terra e rifonderemo un'Umanità più giusta e più equa perché incorrotta.
Adesso è il turno dell'influenza suina - nota anche come A/H1N1 (dal nome del ceppo virale) - che si propaga rapidamente grazie alla globalizzazione che favorisce il contagio, ma la cui aggressività è inferiore a quella di tante altre epidemie e pandemie anche recenti.
Ci salveremo, ne sono sicuro; ma chi ci salverà da monatti e untori vari che aspettano impazienti il nuovo virus e preconizzano la distruzione dell'umanità?
E su questo angosciante quesito, vi saluto e vi auguro una buona serata.
Questo articolo è stato composto quasi integralmente sulla spiaggia di Celle Ligure con un BlackBerry 8900 Curve: un bell'aggeggino, decisamente
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