sabato 7 gennaio 2012

Work in progress: una piccola anticipazione


“Se lo vuoi fare veramente, dobbiamo fare presto”, dice la donna più anziana trascinando la giovane in cucina.
È una cucina semplice, povera e essenziale, ma pulitissima e non solo per gli scopi per cui è stata progettata: la donna ci fa anche altre cose, come ben sanno le ragazze che, di tanto in tanto, ne hanno avuto bisogno e si sono passate la parola.
La giovane strattona la donna più anziana costringendola a mollare la presa:
“Lo voglio assolutamente. È il motivo per cui sono venuta qui”
“Sei sicura? Tu sei una donna giovane, sana e benestante. Non hai bisogno veramente di fare questa cosa”
“Devo farlo, per mia figlia e per me stessa”
“Te ne pentirai”
La giovane è irremovibile:
“Devo farlo, ho deciso”
L’altra scuote la testa:
“Allora spogliati e sdraiati”.
La donna più anziana si volta verso la cucina a gas dove sta bollendo una cassetta metallica rettangolare e lunga. Spegne il fuoco e, con due presine, tira su la cassetta e la deposita sul lavandino. La apre: c’è un ferro lungo appoggiato su una garza bianca. Lei prende il ferro e, con quello, toglie la garza svelando una serie di ferri scintillanti e umidi, che fumano per la bollitura appena conclusa.
Lei dice:
“Aspettiamo che si raffreddino un po’. Intanto potremmo fare qualcos’altro, per prepararti”.
Prende un altro bollitore e ne versa il contenuto in un bicchiere; i suoi gesti sono calmi, misurati e contengono una saggezza antica. Poi lo porge alla giovane davanti a sé.
“Cos’è?”
“Bevi”
“Cos’è?”, insiste l’altra, sospettosa.
“Fai tante domande. È la stessa cosa che ho dato a tua figlia. Quello che devo fare non è esente da dolori per te”
“Me li merito”
“E perché? Quello che è successo non è colpa tua”
“Invece è colpa mia. Non sono stata attenta e ho messo a repentaglio la vita di mia figlia. Adesso mia figlia non sarà mai felice”
“Non l’hai fatto tu, non potevi sapere”
“È la stessa cosa, non sono stata attenta”
La donna anziana tiene il bicchiere fra le mani:
“È già brutto quello che devo fare – dice a occhi bassi – ma se ci vuoi aggiungere anche il dolore…”
“Non posso farne a meno”.
La donna anziana cerca di fermarla.
Quello che fa, lo fa da molto tempo e molte donne, per lo più giovani, se ne sono servite. Lei si è sempre vista come una specie di istituzione indispensabile, ma tuttavia ha sempre cercato di scoraggiarle tutte, indistintamente. A suo modo si sente la coscienza tranquilla.
“Perché lo vuoi fare? Potresti far nascere il bambino e proteggerlo”
“Perché è un’altra femmina: lo so! Lo sento dentro!”
La donna anziana scuote la testa, sconsolata: la giovane che le sta davanti non cambierà mai, qualunque cosa lei possa dire.
La giovane si toglie il vestito, poi la sottoveste e infine le mutandine; la sua statura è piccola, il suo corpo è magro e delicato. Non è ancora arrotondato come l’altra volta. Rimane con addosso il solo reggiseno, ed è indecisa se toglierselo o no, come se fosse l’ultima barriera al suo pudore; poi, con un gesto quasi inconsapevole, se lo toglie.
Ha deciso che quello che farà fra poco, anche se è un atto di distruzione, la farà rinascere come una sorta di rito pagano. Sa che ci sono vari modi di bestemmiare il nome di dio onnipotente, e che quello che ha scelto è uno dei peggiori, ma quello che è successo ha scavato un vallo invalicabile fra lei e quello che, sino a poco fa, chiamava dio. Non ci sarà più dio, per lei, da ora in avanti: per quello che ha dovuto subire la sua bambina e per quello che lei sta consapevolmente per fare.
“Sei bella”, le dice la donna che ha davanti. Non ha parlato per farle un’avance, non c’è attrazione in lei, la giovane lo sa benissimo: l’ha detto semplicemente come una constatazione, un dato di fatto. Lei però si sente stranamente lusingata e, per un attimo, vive un momento di indecisione; ed è allora che succede un fatto strano.
Non ha ancora avuto consapevolezza di quella cosa che le sta crescendo dentro la pancia, è probabilmente troppo presto, ma in questo momento per la prima volta ha una specie di sussulto; non è certamente un movimento né un battito percepibile, ma forse una specie di premonizione, qualcosa che cerca disperatamente di rimanere aggrappato a lei. Si accorge che se aspetterà ancora un po’ sarà troppo tardi, per cui decide: si sdraia sul tavolo di formica della cucina e divarica le gambe. Riflette amaramente su come sia strano che per la donna, in fondo, sia sempre una questione di divaricare le gambe, ma non c’è spazio per l’ironia, non è il momento.
La donna anziana ha aperto un armadietto basso e ne ha tirato fuori un catino di moplen rosso; lo appoggia su una forcella che fissa al tavolo, fra le sue gambe. È lì che finirà tutto.
Si lava le mani e ci si spruzza sopra dell’alcol; poi si siede fra le sue gambe e accosta a sé un tavolino su cui ha appoggiato la cassetta metallica che contiene i ferri scintillanti. Sembrano ferri professionali; la giovane si chiede dove possa averli trovati. Un attimo di esitazione, poi la donna più anziana chiede con voce risoluta:
“Allora?”
La giovane deglutisce. Poi, con un filo di voce dice:
“Fa’ presto”

3 commenti:

  1. Quindi ? Come finisce (son curiosa e temo il peggio dottore su non può lasciarci così in ansia)? Barbara

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  2. Eheheh...
    Ci sto lavorando dall'estate scorda (ti ricordi come smanettavo sul telefonino?...). Pian pianino sto andando avanti, ma è il tempo che mi manca, mi sa che mi vedrai all'opera anche la prossima estate!
    Baci a tutti,
    Pietro

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  3. ok ... allora niente gavettoni nemmeno quest'anno ? uff :)

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