lunedì 6 agosto 2012

Lo chiamano maccaia


Caldo sciropposo in questi primi giorni di vacanza, come se il mare volesse creare un'incongrua e non auspicata continuità con l'afa che speravo di aver sepolto a casa, in città.
Non sono ancora pronto per i bagni in mare, sinora timidamente approcciati (ma per la focaccia sì), e allora giro per il paese, consumando caffè e godendomi la silenziosa compagnia del mio iPad, cercando invano un po' di ristoro.
Guardo le persone che passeggiano; sono poche e per lo più corrono in cerca di una forma fisica perduta, oppure parlano al telefonino. 
Entro dal panettiere a prendere la mia pagnotta al germoglio di grano, croccantefuoriemorbidadentro, che mi viene messa caldissima in un sacchetto, e me ne godo il profumo inebriante. Nella bottega del prestinaio mi colpisce una signora relativamente giovane, con una bambina irrequieta che sembra inadeguata all'ostentata stanchezza della madre, che parla lentamente e strascicando le parole come a voler palesare tutta la stanchezza dell'universo: con la sua parlata lenta e ampia - che mi ricorda quella di una vecchia e nobile signora di Porto Santo Stefano - sembra la pubblicità del dragone africano. Usciamo assieme, io dietro di lei; ne seguo affascinato l'ondeggiare maestoso, che frastaglia la sua camminata con un sapiente beccheggio. È il ritmo eterno e maestoso del culo femminile, che sembra riassumere in sé il moto ondoso e l'alternanza delle maree, lo Yin e lo Yang, il sole e la pioggia, la sete e l'acqua, il desiderio e la soddisfazione. Non so se l'ignota e altera signora sia consapevole di tutta la filosofia che evocano in me i suoi quarti posteriori. Scuote inconsapevole la chioma, si asciuga il sudore e cammina ondeggiando con un'armonia che meriterebbe il respiro possente della wagneriana scena dell'Immolazione del Crepuscolo degli Dei.
Anche la non più giovane ma polposa  e ancora appetibile proprietaria del bar dove mi fermo per il caffè, mi propone non so quanto inconsapevolmente una panoramica delle sue natiche che, sotto il tubino giallo, intuisco fasciate da un attraente perizoma.
Mangio la mia focaccia mentre leggo il Corriere sull'iPad.
Il sole si affaccia fra le nuvole grevi di calda umidità, creando riflessi freddi e grigi sul mare arrabbiato e pericoloso.

Questo vento lento, caldo e appiccicoso, greve e sensuale, che richiede anfratti freschi e silenziosi per ritrovare se stessi, qui in Liguria (soprattutto a Genova, per il vero) lo chiamano maccaia

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