Vi aspettate la festa, la gioia sfrenata, il nunc est bibendum?
Be', spiacente di deludervi.
Nessun trionfalismo, nessun urlo disumano, nessuna scena isterica. Quelle le lasciamo a chi non è abituato a vincere e, quelle poche volte che gli capita (naturalmente senza nessun avversario degno di tal nome), sente il bisogno di esternare a tutti la propria esistenza, il proprio hegeliano da-sein ("esserci").
Noi invece ci siamo da sempre. E' una costante della nostra essenza: la consapevolezza della nostra forza, della nostra superiorità.
Non sono momenti di false modestie: siamo dalle parti dell'Università del calcio, quella in cui stanno squadre come il Barcellona e il Manchester United e non, invece, il Real Madrid degli arricchiti e dei bifolchi, capaci solo di lamentarsi dei nemici e degli arbitri.
In Italia, tradizionalmente, la lotta per lo scudetto è sempre stata fra la decaduta Juventus - che purtroppo non è più riuscita a risollevarsi da quella Calciopoli creata da Moratti per portare a casa qualche cosa - e il Milan, la prima squadra italiana a creare una leggenda oltre i confini della Patria. Negli ultimi anni, invece, le squallide delazioni della banda degli "onesti" hanno ottenuto lo scopo di creare uno sdoppiamento del campionato: da una parte l'Inter che aveva tutti i giocatori presi agli altri, dall'altra tutte le rimanenti squadre che non erano riuscite a risollevarsi dalla baraonda mediatica sollevata dal tristo e livoroso figuro proprietario della seconda squadra di Milano.
Foto 2: Barack Obama e il suo staff seguono Roma-Milan |
Ne è risultato il più grigio quadriennio della storia del calcio, che ha permesso agli "onesti" di portarsi a casa quattro scudetti largamente meritati anche perché se la giocavano da soli, e una coppa dei campioni, vinta con merito ma con la sensazione, vissuta da tutto il mondo sportivo, di irrealtà: nessuno si aspettava che quella squadra di Milano, quella dei bauscia (in vernacolo milanese significa fanfaroni buoni a nulla: è il tradizionale soprannome degli interisti) potesse arrivare sul tetto d'Europa.
Che nostalgia, invece, per gli anni della normalità, quelli in cui tutti ci sentivamo al nostro posto! E non è questione di tifo, ma di giusti equilibri: noi davanti, gli altri dietro, e tutto era al suo posto come la colonna sonora di Happy Days. Si andava tutti d'accordo: il mese di Agosto era quello delle certezze nerazzurre, poi da Settembre si doveva solo pensare a come consolare l'amico interista.
Adesso tutto torna al suo posto: e - si badi - non è stato necessario scomodare gli Invincibili di Arrigo Sacchi, Van Basten, Gullit e Baresi; è bastata una squadra normale, senza particolari voli pindarici, per riportare la normalità e segnalare a tutti che l'intervallo è finito.
Normalità nei rapporti umani: un allenatore giovane e vincente, spregiudicato nella tattica e aggressivo negli schemi ma, nonostante ciò, garbato nell'eloquio e spiritoso nei rapporti con il prossimo: esattamente il contrario del bifolco che vedete nella foto 4.
Normalità nelle destinazioni: Ibrahimovic ritrova la squadra per cui aveva sempre voluto giocare, mentre Leonardo (foto 3) - allenatore poco portato per i derby - finisce nel team dove valorizzano tutti gli incapaci.
Normalità, infine, nei ruoli: e in ciò, c'è qualcosa di quasi cabalistico, di predestinato
Milano ritrova il suo equilibrio: noi davanti e i Perdenti dietro, come è sempre stato, come deve essere, come sarà sempre
Foto 3: Leonardo che pensa ancora di agganciare il Milan |
Foto 4: Un perdente troglodita in una delle sue espressioni più tipiche |
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