Mi sono divertito a battibeccare con i colleghi delle altri parti d'Italia, che sono i pochi che fanno una certa cosa e i pochissimi che vorrebbero farla ma ancora non osano.
E' un mondo un po' cristallizzato perché ci sono ancora poche certezze e molte idee da costruire.
Mi accorgo che fa bene parlarne, al limite anche discutere, accapigliarsi.
Ma la sera accolgo un richiamo. Decido di abbandonare i colleghi con cui avevo fatto un mezzo programma di una cena di lavoro e di seguire il mio istinto, il mio cuore.
Ho bisogno di camminare, di girare, di cercare, di vedere, forse anche dentro me stesso.
Ho bisogno di toccare, come sempre.
E' sempre così quando sono in giro per congressi: vivo l'angoscia sottile di chi è solo, della camera d'albergo appena rifatta, della fascetta sull'asse che ti avvisa che il cesso è stato sanificato, della scrivania sotto la finestra su cui sistemo il MacBook, del letto squadrato e troppo piccolo per accogliere il tuo corpaccione. Ho voglia di scrivere ma non è il momento, mi aspetta la città antica e misteriosa.
La raggiungerò con un taxi.
L'avevo provato anche un paio d'anni fa a Bologna, quando il mio solitario aggirarmi per androni e anfratti mi aveva portato una strana serenità di cui avevo particolarmente bisogno in quel periodo.
Ma stasera mi accompagna la magia, la strana sospensione di questa città squadrata fra un decumano e un cardo, così diversa dalla pianta rotonda della mia Milano.
Cammino continuamente pensando alla mia vita, e mi viene sete ma sono momentaneamente distratto dall'odore acre del kebap che assilla anche il centro di Torino, ma devo bere a tutti i costi.
Perché ho tutta questa sete?
Non incontro nessuno dei miei colleghi: sono solo io a sentire il richiamo di Torino?
Cammino e faccio la pace con Torino, città che ritenevo brutta e triste ma che invece non lo è affatto.
Porticati antichi, vetrine fastose e illuminate.
Un sacco di bella gente e anche qualche personaggio meno bello, come in tutte le città, ma poco conta.
Gallerie illuminate e gallerie nascoste, a delimitare cortili e anfratti misteriosi.
Librerie ricche di volumi polverosi e perciò tanto più affascinanti.
Una confiserie espone cioccolatini meravigliosi, che riescono solo a ricordarmi quanto sono grasso; me ne astengo senza nemmeno particolare rimpianto. Sto diventando un salutista? Spero di no!
Passeggio ancora un po', immerso in pensieri che ho già provato, sospeso fra la mia vita quotidiana e l'atmosfera di una città che è famosa per essere con un piede in un mondo magico.
Mentre cammino, i miei pensieri prendono la forma di un volto, un richiamo di un passato lontano, come l'immagine di Micol Finzi Contini che mi guardava quel mattino a Ferrara dietro la statua di Giordano Bruno.
Mi guarda, mi sorride, parla alla mia anima, sento la sua voce.
Il suo tono lievemente cantilenante è dolce e consolatorio, la sua mano diafana e quasi trasparente, lieve e nobile, mi prende e mi accompagna alla scoperta di un mondo che forse non c'è se non nella mia fantasia di una notte calda e ventosa, con un cielo coperto da nuvole scure, illuminata da mille lampioni.
Cerco di resistere al richiamo di quella voce, ma non posso.
Canto, ma non posso continuare: la gola è arida. Mi giro alla mia destra.
Lei mi osserva. Il suo sguardo è calmo e profondo, il suo volto è sorridente.
Dove vuoi andare? Chi ti manda? le dico non più padrone di me stesso.
Nessuno mi manda. Sono venuta da sola, mi dice sempre sorridendo. La voce è vera? Sembra quasi che io sia l'unico a sentirla in mezzo a tante persone che mi passano accanto.
Chi sei?
Lo sai, risponde tranquilla.
Dove sei stata? Ti ho cercata per tanto tempo. Ti ho parlato così tante volte, sussurro angosciato e a occhi chiusi. Un brivido ancestrale mi percorre la schiena
Lo so. Lo so. Mi prende per mano sorridendo. Poi riprende:
Cammina. Senti il ritmo del tuo passo che si allinea con quello del tuo cuore. Guarda dritto avanti a te e lasciati guidare. E intanto parla con il tuo cuore, con le tue mani, con quelle mani che sono il tuo orgoglio, e mi prende e mi stringe la destra.
Come fai a saperlo, chiedo abbassando lo sguardo.
Io so tutto di te, da sempre.
La guardo, sgomento:
Tu sei, inizio, ma lei mi appoggia due dita sulla bocca:
Sssht! Lascia parlare me!
Poi parla, e la sua voce mi trascina negli anfratti segreti della città misteriosa, nel viaggio dell'anima che si scopre fragile e messa a nudo. E intanto mi racconta la mia vita, le mie tristezze, le mie vittorie e le mie sconfitte, le mie risate e le mie lacrime. E la sua voce scende come un canto nella mia anima.
Poi tace, e io sento l'eco dei miei passi, ma non dei suoi.
Mi giro sgomento:
Dove sei?...
Non la vedo più, ma sento la sua voce:
Sono qui. Sono qui. Toccami.
Allungo le mani, ma non sento più nulla. Una ragazza passa e mi guarda compassionevole, sorride, scuote la testa.
Il vento sposta le nuvole in cielo a comporre strani disegni.
Il volto accanto a me che mi guardava sorridente è scomposto dal vento; i lampioni lo trasfigurano in mille frammenti di un mosaico di luce.
Vorrei afferrarlo ma non ci riesco.
C'è tempesta nel mio cuore in questa sera a Torino.
Mi risveglio sudato, col ricordo di un sorriso carico di comprensione sovrumana; e del vento, che entra negli spiragli della mia anima.
Ci rivedremo, quando saremo nuvole lassù, nel cielo.
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