Oggi sono andato con Giacomo a vedere "La chiave di Sara"; bel film, sia detto per inciso, commovente e asciutto, ottimamente recitato.
Il film - e la lettura del libro da cui deriva - è stato raccomandato dalla prof di Lettere nell'ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, perché quello che è successo non succeda mai più. Ma quello che mi ha stupito è che la prof di Lettere di quello che ai miei tempi si chiamava Ginnasio, non ha spiegato ai ragazzi cos'è la Giornata della Memoria, e che cosa rappresenta ancora per tutti noi la narrazione di una delle più grandi tragedie della Storia dell'umanità; anzi, probabilmente il momento storico in cui l'uomo ha ufficialmente rinunciato alla propria umanità per qualcosa che ancora oggi, dopo settant'anni, è difficile spiegare.
Talmente difficile che i ragazzi non lo accettano proprio più.
Lo rifiutano.
Non ne parlano e, anzi, auspicano che nessuno ne parli più.
Ora, dopo lo shock iniziale di questa rivelazione, ho provato a rifletterci senza pregiudizi.
Io sono nato nel 1965, vale a dire vent'anni dopo che gli Alleati aprirono i cancelli di Auschwitz. Per quelli della mia generazione, è un evento non così lontano da poterci permettere di contemplarlo come un fatto storico.
Anche l'Inquisizione è stata un'abiezione, ma è lontana.
La tortura perpetrata alle donne accusate di essere streghe è un momento orribile, ma si è verificata principalmente fra il 1400 e il 1600. Sono fatti in cui l'uomo si impegnò a ideare sistemi per far del male al proprio prossimo, ma sono talmente lontani da noi da autorizzarci a pensare che la nostra umanità sia andata avanti in modo sufficiente a impedirci di mettere mai sul rogo una donna pensando che sia una punizione adeguata a una strega.
Poi arriva Auschwitz, e per quelli della mia generazione diventa un fatto personale. Sono passati tanti anni dal mio Ginnasio (perdonatemi se insisto a chiamarlo così: nel mio cuore, è ancora il nome della mia scuola) e, su questo specifico aspetto, mi sembra che il tempo si sia cristallizzato.
Certo, dopo di allora l'uomo non è migliorato: c'è stato Stalin (30 milioni di internati nei gulag, 15 milioni di morti, ma le cifre esatte probabilmente non le sapremo mai); Pol Pot (circa 2 milioni di morti per creare una nuova popolazione cambogiana); le stragi di Hutu e Tutsi (circa 1 milione di morti in pochi giorni per questioni puramente razziste); e poi l'11 Settembre 2001 e dio solo sa quante altre occasioni in cui l'essere umano ha rinnegato la propria umanità.
Auschwitz però per quelli della mia generazione è il primo vero confronto con la disumanità nel senso etimologico del termine, e cioè la privazione di quel quid che fa dell'uomo quello che è o che dovrebbe essere.
Giacomo invece mi mette a confronto con le mie rughe e si pone - unitamente ai suoi coetanei - in faccia a questi eventi come quelli della mia generazione di fronte alla persecuzione alle streghe.
Auschwitz occupa un'area non banale della mia libreria: come essere umano e come medico sento il bisogno continuo di cercare di capire come i miei simili abbiano potuto fare quello che hanno fatto.
Giacomo - che pure ha letto il "Diario" di Anna Frank e "Se questo è un uomo" - auspica che scenda l'oblio su questa pagina della storia dell'uomo.
Cerco di capire le sue motivazioni (e quelle dei suoi amici) e forse mi rendo conto che, contemplando questi fatti da così lontano, ciò che essi vedono è un orrore antico di cui - non diversamente da noi - non capiscono le ragioni, ma che per di più non gli appartiene nemmeno anagraficamente.
Si fa presto a dire "Giornata della memoria" e "Nessuno dimentichi", ma è una pulsione normale dell'uomo far calare l'oblio sugli orrori di cui sente parlare.
Specie se non ha nemmeno la vicinanza del tempo, se non per averli vissuti, quanto meno per vergognarsene
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