Oggi sono a casa di recupero, piove e mi rendo conto che è arrivato il momento di parlare del dottor C.
Abito in un paese, e questo vuol dire aver ogni tanto a che fare con qualche piccolo siparietto che in una città passerebbe più o meno inosservato.
E del resto, solo in un paese ci potrebbe essere posto per un personaggio come il dottor C., glorioso farmacista che sembra ancora calato in una realtà come quella della provincia italiana degli Anni Sessanta.
Quanti anni avrà il dottor C.? Una sessantina? Di più? Difficile da dire: i capelli grigio-bianchi, acconciati come Elsa Lanchester ne "La moglie di Frankenstein"; due o tre golf sotto il camice ormai grigiastro; le unghie lunghissime che servono a rimuovere le fustelle dalle scatole dei farmaci. Al mattino arriva il giornalaio che gli consegna l'Avvenire che lui depone regolarmente dietro al banco; non è dato sapere se lo legga.
La bottega è triste, grigia come il camice del suo proprietario e oppressivamente retrò in tutto: alti scaffali di legno e vetro - Anni Sessanta, appunto - sempre coperti da uno strato di polvere come il salotto di Nonna Speranza; dietro le vetrine articoli innocui come shampoo o pappe per i bimbi; sugli scaffali non c'è nessun preservativo come quelli orgogliosamente in mostra sulle altre e ben più moderne farmacie, ma tutt'al più le mitiche caramelle all'orzo che, fossimo rimasti a vent'anni fa, verrebbero usate come resto in alternativa ai gettoni del telefono. E non è solo questione di preservativi, ça va sans dire: il dottor C. rifiuta l'erogazione della pillola anticoncezionale in quanto immorale, a meno che non sia prescritta come terapia, per esempio per la dismenorrea, e anche in quel caso con molta riluttanza, hai visto mai che la novella Messalina stia cercando di fregarlo...
Il dottor C., come una specie di Re Mida al contrario, ingrigisce tutto quello che tocca, a cominciare dalla sua assistente farmacista, giovane ma quasi prosciugata da questo anziano gentleman cui la provincia in cui abita riconosce un ruolo, uno status sociale di cui egli fa uso e abuso rifiutando decisamente le avanguardie della modernità, si direbbe quasi con civetteria. E se proprio deve assoggettarsi al computer - dove col termine "computer" intendo una vecchia caffettiera, probabilmente un Commodore Vic 20, asmatica e grigia come tutto il resto dell'arredamento - lo fa con ostentato impaccio, come a dire: "Io vorrei anche, ma dovrebbero essere le macchine a seguire i miei ritmi".
Questo vecchio signore, dalle lentezze esasperanti, retrogrado e bolso, vanta un ascendente particolare con le signore - preferibilmente anziane - che lo adorano.
Meglio non entrare nella sua farmacia se come oggi, putacaso, uno ha fretta. Il malcapitato utente di sesso maschile verrà scavalcato con nonchalance dalla vecchietta di turno che lo guarderà con aria fra il finto innocente e il battagliero articolando con malgarbo un: "C'era prima lei?"; dopo di che intratterrà col farmacista un'interessante conversazione di questo genere:
"Sono tre giorni che non vado di corpo. Lei cosa dice, dottore? Posso prendere questo?", dice l'anziana cliente agitando il dorso di una scatola di magnesia.
"Mah, sì - risponde il dottor C. serafico, benché poco convinto - Le funziona bene?"
"Sì, ma se esagero vado di diarrea"
"Sicura?"
"Altroché. E' proprio molle!", conclude scandendo l'aggettivo con voce improvvisamente squillante come quella di Maria Callas in una cabaletta del Nabucco.
A questo punto il dottor C. sorride con aria amichevole, si gira verso l'armadietto dietro di lui, prende un vasetto di Citrosodina e glielo propone quasi con nonchalance:
"Che ne dice di questo? L'ha mai provato?"
La vecchia signora si ritrae momentaneamente facendo finta di frugare nella memoria.
Certo che la conosci, penso io! Compragli 'sta cavolo di Citrosodina così poi riesco a farmi dare il mio Coefferalgan!
Ma la signora non ha fretta e sorride a sua volta alle lusinghe del dottor C. che probabilmente ha toccato una corda nascosta del suo cuore:
"Ora che ci penso - concede - potrei averla provata".
Il volto avvizzito del dottor C. si distende in un ampio sorriso giallastro di tartaro mai ablato:
"Ah! E' un rimedio sovrano"
Santo Iddio!, penso, rimedio sovrano! Quanti anni sono che non sentivo quest'espressione! E' una frase da Soluzione Schoum che, non a caso, campeggia ancora nei suoi scaffali. Deve essere l'ultimo farmacista sulla faccia della terra a venderla.
Il dottor C. continua a sorridere mentre alza il dito indice della mano destra nella sua piccola lezioncina. Tenetelo lontano dal suo Vic 20 e farete di lui un uomo felice, in mezzo ai suoi farmaci. La vecchina pende dalle sue labbra mentre il dottor C. inizia il suo piccolo apologo:
"Vede signora, ne basta un cucchiaio mezz'ora prima dei pasti e le calmerà l'acidità, le permetterà una più rapida digestione e soprattutto l'aiuterà ad andare".
Sì, penso, e fra poco dico ad entrambi dove!
Prego che la vicenda veda la sua fine; la vecchia però finge perplessità anche se è perfettamente convinta dell'acquisto:
"Sì, ma due cucchiai al giorno non saranno troppo? Io la magnesia la prendo ogni tanto".
Il sorriso scompare immediatamente dalla bocca ingrommata del dottor C. che riporta verso di sé la scatoletta bianca e gialla. Il tono di voce non è offeso; è solo triste mentre constata che una cliente non ha avuto fiducia nelle sue capacità:
"Naturalmente se preferisce la magnesia..."
La vecchia capisce di averla fatta grossa:
"Oh no, dottore! Mi dia pure la Citrosodina!"
C'è un attimo di silenzio in cui io prefiguro il disastro incombente. Sospiro. So quello che sta per succedere e chino la testa. Avessi una pala, mi scaverei una fossa e mi ci seppellirei.
Non mi sbaglio, infatti: il dottor C. solleva un indice con l'unghia quasi femminea, mi indica e dice:
"Se non si fida di me, abbiamo qui un dottore..."
La vecchia si gira verso di me. E' chiaramente disgustata: io, immondo rappresentante della schifosa razza medica, non avrò mica il coraggio di contraddire quello che dice il dottor C.?
Non ci penso nemmeno, ovviamente:
"Il dottor C. ha ragione, signora. Vada tranquilla"
"Certo che vado tranquilla! - sibila come una vipera - Ci può giurare!"
Allunga la mano sul vasetto bianco e giallo e paga serena mentre il dottor C. glielo incarta. Ma il farmacista ha ancora un asso nella manica:
"Vorrebbe lo stesso una scatola di magnesia? Sa, per quando finisce la Citrosodina", conclude con aria complice.
E' troppo. La signora, che ha accettato l'alternativa propostale, ha la possibilità di avere anche il farmaco che si era autoprescritta con la benedizione del suo personalissimo guru, le cui parole sono un mantra. La vecchia apre la bocca in un ampio sorriso sdentato e, se non fosse l'età, la verosimile prolungata vedovanza e le circostanze potrebbe forse farci un pensierino, ma si limita ad aprire il portamonete e tirar fuori un altro deca.
Esce.
Tocca finalmente a me. Il dottor C. mi rivolge un ampio sorriso che farebbe la gioia del mio igienista. Osservo quasi rapito il tartaro che ha riempito gli spazi fra un dente e l'altro. La foto del padre a sua volta farmacista, che immagino terribile despota sul povero figlio forse unigenito, mi guarda arcigna dalla vetrina davanti e mi imbarazza. Chiedo rapidamente il Coefferalgan e apro il portafoglio.
La mia richiesta lascia poco spazio alle variazioni, ma il farmacista ha sempre un asso nella manica. Si china, poi riemerge come un folletto su un fungo velenoso e mi dice:
"E' sicuro di non preferire il Tachidol? Forse cambia un po' il sapore..."
Il dottor C. si prende cura della salute di tutto il quartiere
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